Siria, 10 anni di una guerra che non abbiamo saputo fermare
4 min letturadi Andrea Iacomini - Portavoce UNICEF per l'Italia
Dieci anni che faccio il Portavoce dell'UNICEF Italia. Dieci anni di guerra in Siria proprio oggi. Ho iniziato cercando di parlare di questi poveri innocenti massacrati dalle bombe. Dicono 12 mila bambini morti. Accertati, ma sono molti di più, per me. Almeno 5 volte di più. Ma che dico... 10 volte di più. Un conflitto infinito di cui temo si parlerà anche quando non sarò più nel mio ruolo. Ho visitato tutti i paesi limitrofi della diaspora. Grazie a colleghi straordinari ho conosciuto un popolo con una forza incredibile ma che merita pace.
La guerra è l'unica cosa che conoscono milioni di bambini in Siria, con un enorme impatto sul loro benessere psicosociale. Quasi 5 milioni di bambini sono nati in Siria dall'inizio della guerra nel 2011, con un altro milione nato come rifugiato nei paesi vicini alla Siria. Questi bambini non hanno conosciuto altro che morte, sfollamento e distruzione. I bambini vengono ancora uccisi e mutilati.
Dieci anni di conflitto in Siria. Ho pensato a lungo cosa scrivere su questa catastrofe umanitaria dalle proporzioni assurde e a pochi passi da noi. Ho quasi la sensazione di aver detto tutto, urlato tutto. Chiesto di tutto. Mi rendo conto che se iniziassi a snocciolare tutti i numeri le cifre i dati su bambini morti, rifugiati, sfollati, feriti mutilati, bambini usati come soldato, ragazze date in sposa e chi più ne ha più ne metta (cifre beninteso che l’UNICEF come sempre fornisce puntualmente oggi) vi direi cose che già sapete o che non vi va di sentire (siamo anche entrati in zona rossa) vi indignereste quei pochi minuti che servono a finire di leggere un pezzo, l’ennesimo pezzo, del sottoscritto sulla Siria e via.
E lasciatemelo dire, mi vergogno un po'a riempirvi di facile retorica sulle guerre, sui bambini che non vanno uccisi, sul fatto che questo assurdo conflitto ha “occupato” dieci anni delle nostre vite e che, quelli sì, passano purtroppo velocissimi, portando con sé tutte le grandi questioni di geopolitica internazionale sulle quali non mi dilungo perché come mi disse un diplomatico anni fa (e aveva ragione) “se ti metti a riflettere sul perché la guerra in Siria non la ferma nessuno non ne uscirai mai, lascia perdere, è una questione molto più grande di te, finirà come tra Israele e Palestina”. Allora oggi mi taccio pure su questo e lascio il campo a chi ne sa di più sperando solo che una nuova classe dirigente illuminata mondiale un giorno, chieda perdono a questa generazione di ragazze e ragazze siriane, molti dei quali. come abbiamo visto, nati tra le tante e brutte cose che hanno dovuto vedere e/o subire in un campo profughi dell’Iraq, della Giordania o del Libano. E poi c’è la Covid e non è poco. Lo so.
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Siria allora, non dimenticatelo, vuol dire migranti, morti in mare. Siria è Isis. Siria è Trump e Putin ed Erdogan e gli ayatollah. Siria è Assad, Al Nustra e tutte le sigle che ne sono seguite. Siria è Aylan. Siria è Bataclan, Siria in questi dieci anni è Europa, Germania, Francia, Italia e Regno Unito. Siria è gas nervino, bombe al fosforo e barrel bombs. Siria è bambini in fuga, figli di foreign fighters. Siria è giornalisti che hanno perso la vita, rapiti, rilasciati, decapitati. Siria è bellezza violata, templi distrutti. Prigioni. Siria è Aleppo, ricordate? Siria è il sorriso dei bambini e delle bambine dei campi profughi che vogliono tornare a casa. Siria è resilienza vera. Siria infine è mio figlio che giocava sul bagnasciuga appena un decennio fa e mi chiedeva a gran voce di fare i castelli di sabbia con lui mentre io al telefono chiedevo a mezza tv italiana di andare a raccontare quella che sarebbe diventata una catastrofe umanitaria senza precedenti dove perdeva la vita a causa delle violenze un suo coetaneo al giorno e sarebbero diventati centinaia, migliaia, almeno 5 volte quelli che oggi tristemente dichiariamo come morti. Bambine e bambini. Ripeto morti. Anzi no UCCISI. Siria questa mattina è ancora mio figlio (accidenti sono passati già 10 anni), è il tempo dei bilanci. Lui per fortuna l’ho visto crescere e diventare un adolescente in un paese in pace, proprio lui, Ricky, che ieri sera mi domandava con la cadenza tipica della sua età mentre arrangiavo questo pezzo: “A pà ma parli sempre de Siria?”. E io che lo guardavo un po' sconfortato senza sapere se ridere o piangere e pensavo a quelle ragazze e a quei ragazzi come lui di quella stupenda Terra che un giorno merita di risorgere.
Quindi? Quindi per non farmi prendere la mano dalla retorica vi lascio con Saja che la Siria ve la sa raccontare molto meglio di me e che dice: "È una lotta, ma cos'altro si può fare?".
Saja, 12 anni, ha affrontato un tremendo dolore dopo aver perso la sua gamba e quattro dei suoi migliori amici a causa della guerra in Siria. Il calcio e lo studio sono diventati uno sfogo per lei, mentre i suoi sogni rimangono imperterriti. Saja 12 anni, prima della guerra era libera di uscire. “La vita era veramente bellissima. I miei amici sono morti quando hanno iniziato a bombardare. Io ho perso una gamba. Amo giocare a calcio con gli amici. Quando gioco a calcio non sento di aver perso qualcosa. La mia scuola è molto lontana e mi stanco per raggiungerla. È difficile studiare la notte quando non hai luce, per questo mi alzo al mattino presto per studiare. Ma non sempre capisco tutto. Spero un giorno di avere qualcuno che mi spieghi le cose che non comprendo. In futuro spero di diventare un’allenatrice, perché prima ero una ginnasta. Adesso spero di realizzare il mio sogno. Il mio desiderio per il futuro della Siria è che tutto torni com’era. Spero di poter tornare a uscire ed essere al sicuro”.
Come ha scritto Maissun Melhem su DW: "Dieci anni dopo che i siriani hanno osato sognare la dignità e la libertà, la devastazione è al di là della comprensione. Non c'è modo di tornare al 2011 e la giustizia è l'unico modo per guarire".
Foto anteprima UNICEF