Siria, il ritorno dei bambini a scuola sotto le bombe
9 min letturaLa vita ad Aleppo sotto l’assedio di Assad e della Russia
Aleppo è una città divisa in due. La parte occidentale, ricca, intatta, accogliente, è controllata dal governo e ha una popolazione di 2 milioni di persone. Quella orientale, lacerata, demolita e ridotta in macerie, è nelle mani di 29 gruppi diversi di ribelli. Prima dell'inizio del conflitto era popolata da 1 milione di cittadini, oggi sono rimasti in 250.000. L'esercito del presidente Bashar al-Assad, sostenuto dall'Iran e, anche militarmente, dalla Russia, sta cercando di riconquistare la zona orientale, attraverso incessanti bombardamenti aerei che hanno provocato migliaia di vittime tra i civili. I ribelli, finanziati dai paesi del Golfo e sostenuti dal Regno Unito e dagli USA, sprovvisti di unità aeree, attentano alla vita dei cittadini dell'area occidentale.
This is the Aleppo the regime wants you to see - now compare it with the devastation in the rebel-held areas.
Drone footage shows the stark differences between the two sides of the city.
Posted by Channel 4 News on Monday, October 3, 2016
Gli attacchi proseguono, ma la vita continua nonostante i rischi ai quali i civili sono esposti. Centinaia di persone sono state uccise e più di mille ferite in poco più di una settimana, da quando sono ripresi i bombardamenti aerei siriani e russi nella parte orientale della città, al termine di un fragile cessate il fuoco durato soltanto sette giorni.
«Invitiamo tutti quelli che imbracciano le armi ad abbandonare i quartieri orientali di Aleppo e a lasciare che i civili vivano la loro vita normalmente», ha dichiarato il comando militare in un comunicato. L'esercito siriano e l'alleato russo sono pronti a garantire la sicurezza dei cittadini che, però, continuano a morire sotto le bombe a grappolo, al fosforo e bunker-buster* (create per essere sganciate su basi militari non certamente su edifici civili), utilizzate nel tentativo di forzare la resa dell'opposizione prima di lanciare l'offensiva di terra.
È difficile sopravvivere in condizioni simili in quel che resta della metà distrutta di Aleppo, tra bombe e fazioni dell'opposizione in lotta fra cui gruppi di islamisti, uno dei quali precedentemente legato ad al-Qaeda. Ma non è tutto così. Sono rimasti artisti e attivisti moderati, famiglie e donne impegnate in organizzazioni umanitarie e nelle scuole.
L'assedio sta colpendo duramente: scarseggia il cibo e diminuiscono le scorte di carburante, tant'è che le auto sono quasi del tutto scomparse. Fortunatamente resta la comunicazione con l'esterno, attraverso gli smartphone e internet, nonostante Aleppo sia diventata ormai «una vasta prigione a cielo aperto», come l'ha definita un suo abitante.
Se cibo e assistenza non hanno accesso in città, allora sono le storie ad uscire dai confini. Il Guardian, via Skype e WhatsApp, è riuscito a raggiungere vari residenti di Aleppo per ascoltare direttamente dalle loro parole quello che sta accadendo in queste ore. Sono storie dolorose ma, sempre, piene di speranza.
«Non dormiamo tranquillamente perché gli aerei sfrecciano in continuazione, mi svegliano anche quando provo ad ignorare il rumore», racconta Abo Awad che di professione fa il tassista. «Quando mi alzo, se c'è acqua, faccio l'abluzione prima della preghiera del mattino, altrimenti vado alla moschea, con una ciotola, per prenderne un po'. Di solito trovo altre persone che sono là per lo stesso motivo. Nella mia abitazione non c'è elettricità ed è buio. Uno dei più bei suoni al mattino è quello del generatore del mio vicino che lo accende solo per due ore per risparmiare carburante. Ci incontriamo tutti lì per caricare batterie e cellulari e parlare, davanti a una tazza di tè, di quello che succede ad Aleppo e dei bombardamenti che ci sono stati durante la notte precedente. Quando torno a casa, trovo i miei figli ad aspettarmi. La prima cosa che uno di loro mi ha detto ieri è stata: "Grazie a Dio siamo ancora vivi".»
«Mi sono svegliata alle 7, con una bomba sganciata nei pressi del mio appartamento. I miei figli erano terrorizzati e hanno iniziato a piangere e gridare. A causa dell'esplosione, la casa ha subito qualche danno alle porte e alle finestre. Sono riuscita a tranquillizzare i bambini e poi ho preparato il caffè per mio marito e per calmarmi.» Afraa Hashem insegnava in una scuola media. Dopo la rivoluzione è stata arrestata e rilasciata dietro il pagamento di una grossa cauzione. «Prima dell'inizio dell'assedio andavo a scuola tutti i giorni con i miei figli, di 10 e 12 anni, che vorrebbero studiare, giocare con i compagni, tornare a casa, cenare, guardare la tv tutti insieme. Ma i bombardamenti sono intensi e non risparmiano niente: scuole, ospedali, moschee. Due miei colleghi sono stati uccisi e un altro ferito alla gamba e ai piedi mentre andavano a scuola. Anche se stiamo soffrendo molto, in solitudine, siamo felici, perché stiamo lottando per ottenere la nostra libertà. Anche se dovessi morire, spero che i miei figli crescano in un paese libero e sicuro. Voglio chiedere al mondo, di non inviarci cibo, ma di impedire al regime di ucciderci.»
Ad Aleppo, l'anno scolastico è iniziato a metà settembre, ma nella periferia orientale della città le lezioni sono cominciate ufficialmente l'1 ottobre. In quell'area vivono circa 100.000 bambini e, attualmente, le iscrizioni arrivano circa al 6%. I genitori sono terrorizzati dalla paura che i propri figli non rientrino a casa, dopo le lezioni. La maggior parte delle scuole è stata distrutta dai bombardamenti e gli studenti si riuniscono in classi organizzate in cantine e seminterrati. Anche durante l'intervallo non è consentita l'uscita.
«La cosa più bella che ho visto negli ultimi 40 giorni, dall'inizio del secondo assedio, sono i bambini che vanno a scuola con i loro zaini», ha dichiarato un attivista.
Wissam Zarqa, insegnante, racconta che i suoi alunni spesso rimangono bloccati a scuola oltre l'orario delle lezioni a causa degli aerei da guerra che sorvolano la zona. Dopo aver ascoltato una registrazione con alcune voci di bambini che giocano durante l'intervallo, Wissam non ha dubbi: «Erano suoni che prima detestavo. Ora mi piacciono e basta. La confusione che gli studenti fanno durante la pausa delle lezioni è ormai un segno di vita.»
“Salvare una vita è come salvare l’umanità intera": chi sono i Caschi Bianchi
Moltissimi bambini sono stati salvati dalle macerie dei bombardamenti dai "Caschi Bianchi". Rahed al-Saleh è uno di loro e non uno qualunque. 33 anni, ex commerciante di componenti elettronici, Saleh è ora a capo dei 3.000 membri della Protezione Civile (come viene anche chiamato il gruppo dei Caschi Bianchi) sempre tra i primi a giungere sui luoghi devastati dai bombardamenti, cercando di tirare fuori i sopravvissuti dai resti dei palazzi crollati. Attualmente Saleh è in visita negli Stati Uniti per far conoscere le attività dell'organizzazione e promuovere un documentario, "I Caschi Bianchi", prodotto da Netflix che racconta le storie di alcuni membri sia in ambito familiare che durante i salvataggi.
«A partire dal 2011, dopo l'inizio del giro di vite del governo, ho cominciato a dare una mano attraverso aiuti umanitari e l'evacuazione di feriti nelle zone colpite dagli attacchi", ha dichiarato Saleh in un'intervista rilasciata a The Intercept. «Abbiamo fatto pratica sul campo e successivamente siamo stati formati da una ONG turca. Nel 2013 abbiamo iniziato a fare lavoro di ricerca e salvataggio a seguito di attacchi aerei, e nello stesso anno abbiamo fondato la Protezione Civile.»
L'attività del gruppo ha ricevuto grande attenzione internazionale (anche la candidatura al premio Nobel per la pace, sostenuta ieri in un editoriale dal Guardian che ne spiega i motivi) al punto da renderlo un obiettivo del governo siriano e delle forze russe che ne hanno distrutto tre sedi. «Non sono felici che un progetto che sta riscuotendo successo in Siria stia ricevendo attenzione in tutto il mondo», dice Saleh. «Ci hanno presi di mira perché siamo diventati una fonte critica di informazioni su ciò che sta accadendo ad Aleppo. Documentiamo gli attacchi contro i quartieri civili, e diffondiamo la notizia direttamente a tutto il mondo.»
Per i sostenitori del governo di Assad i Caschi Bianchi - una delle poche organizzazioni umanitarie ancora operanti nella difficile realtà siriana, che ha ricevuto un finanziamento da parte dell'Agenzia americana per lo sviluppo internazionale - sono diventati oggetto di squallide teorie complottiste che includono la partecipazione ad un disegno occidentale che mira ad ottenere un cambio di regime. Saleh è stanco di queste affermazioni che considera lontane dai fatti. Il codice di comportamento dei Caschi Bianchi prevede di impegnarsi per la neutralità politica tant’è che il gruppo salva vittime di bombardamenti a prescindere dal credo politico.
I giorni a venire vedranno, purtroppo, un aumento degli attacchi aerei in quella che potrebbe essere una delle più grandi battaglie della lunga guerra civile siriana. Il lavoro della Protezione Civile ad Aleppo e in altre zone del paese continuerà incessante. Da quando l'organizzazione è stata fondata più di 60.000 persone sono state salvate e più di 141 caschi bianchi sono stati uccisi. Molti sono morti nel corso di secondi attacchi aerei che miravano ai soccorritori, successivi ai primi con cui si bombardavano gli obiettivi iniziali. Anche se la guerra civile ha cambiato irrevocabilmente la sua vita, Saleh e gli altri caschi bianchi sono determinati a continuare il loro lavoro per la religione che professano. Il motto della Protezione Civile è "salvare una vita è come salvare l'umanità intera" e riprende un versetto del Corano.
La situazione in Siria tra USA, Russia, Assad e i ribelli
Nelle ultime ore gli Stati Uniti hanno interrotto i contatti con la Russia per raggiungere una tregua in Siria, rinunciando ad ogni tentativo di ripristinare il cessate il fuoco, a causa dell'intensificarsi dei bombardamenti russo-siriani che stanno randendo al suolo gli ospedali nelle zone controllate dai ribelli. Due ondate di attacchi aerei hanno, infatti, colpito l'ospedale M10 nella zona orientale di Aleppo, una delle ultime tre strutture funzionanti in città. La prima ha colpito l'ospedale uccidendo sette persone e creando una grande voragine vicino all'ingresso. Il secondo attacco è avvenuto mentre i soccorritori stavano ancora prestando soccorso.
Washington ha, inoltre, richiamato il personale militare impegnato con gli omologhi russi nella preparazione delle operazioni di bombardamento congiunto contro lo Stato islamico e i gruppi estremisti.
Poche ore prima, Mosca aveva chiuso i contatti militari con gli Stati Uniti e Vladimir Putin aveva ordinato la sospensione dell'accordo con Washington sulla riduzione delle scorte militari di plutonio.
Dinanzi a questo scenario è legittimo immaginare che la situazione rimarrà a lungo in una fase di stallo senza prospettive che lascino intravedere a breve la fine dei bombardamenti. Se da un lato Mosca sostiene che, senza un atto di forza, la Siria sarebbe finita tutta nelle mani dei terroristi, dall'altro gli Stati Uniti accusano la Russia di aver adottato una strategia barbara, ritenendo indiscriminati gli attacchi aerei sferrati da Putin e da Assad poiché colpiscono indistintamente militari e civili. Le parole di Samantha Power, ambasciatrice americana all'ONU, non lasciano dubbi: «Quello che la Russia sta sostenendo non è la lotta al terrorismo, è barbarie. Invece di perseguire la pace, la Russia e Assad fanno la guerra. Invece di contribuire ad aiutare i civili, la Russia e Assad stanno bombardando i convogli umanitari e gli ospedali.»
Anche l'idea di una vittoria schiacciante di Assad e la Russia, è probabilmente un'illusione. Gli attacchi su Aleppo rischiano di rafforzare il fronte della resistenza sunnita che costituisce la maggioranza della popolazione siriana. Senza una soluzione diplomatica, i russi potrebbero rimanere a lungo sono bloccati in Siria.
L’appello contro Washington e contro Mosca
Di parere diverso un gruppo di 150 intellettuali siriani, formato da scrittori, artisti, accademici e giornalisti che si definiscono avversari democratici laici del regime di Assad, che si è schierato pubblicamente contro Russia e Stati Uniti.
Tutti insieme hanno firmato una dichiarazione per esprimere la propria condanna nei confronti di Washington e Mosca. Tra i firmatari, nomi di livello internazionale come Burhan Ghalioun, professore alla Sorbona di Parigi e primo presidente del Consiglio nazionale siriano negli anni 2011 e 2012, la scrittrice e giornalista pluripremiata Samar Yazbek, il filosofo e professore emerito di filosofia europea moderna all'Università di Damasco Sadiq Jalal Al-Azm.
Da decenni oppositori del regime tirannico di Assad, gli aderenti all'appello condannano senza riserve e con fermezza le politiche russe e statunitensi rispetto alla questione siriana, accusando le due potenze di essersi impegnate contro il movimento di lotta di liberazione della Siria annoverandolo nell'elenco dei nemici della "guerra al terrore" che ha conseguito come unico obiettivo la distruzione di più paesi.
Grande è il sentimento di rabbia e di frustrazione anche nei confronti delle Nazioni Unite, accusate di finanziare l'oligarchia criminale di Assad e i suoi alleati nella guerra sanguinaria contro la popolazione siriana.
Scrittori, artisti e giornalisti siriani vedono il mondo andare dritto verso un assopimento dell'etica senza precedenti. I livelli di paura e di odio aumentano tanto quanto la crescente visibilità dei politici che investono in quegli stessi sentimenti per trarre i propri vantaggi. Il timore è quello di assistere a un arretramento della democrazia in tutto il mondo, mentre la sorveglianza, il controllo e il terrore avanzano progressivamente.
I firmatari dell'appello non credono che il destino dei siriani debba essere dettato da queste condizioni, per cui è giunto il momento di impegnarsi insieme per opporsi a esse, subito e ovunque.
Una Siria distrutta è il simbolo della situazione in cui versa il mondo attualmente. Il sogno di una rivoluzione siriana si è infranto contro il muro della comunità internazionale, non soltanto contro quello delle forze allineate con il regime di Assad. Questa stessa comunità internazionale consente a politici come Obama e Putin di assumere decisioni che violano il diritto del popolo siriano all'autodeterminazione, sia come individui e gruppi, che come nazione. La popolazione siriana non ha eletto né il presidente degli Stati Uniti, né quello russo, né ha accesso a un qualsiasi meccanismo attraverso il quale far rendere conto entrambi delle rispettive azioni.
L'appello si conclude con una richiesta di cambiamento. In soli cinque anni e mezzo è stata consentita la distruzione di una delle più antiche culle della civiltà. Attualmente, il mondo è un problema per la Siria, tanto quanto la Siria oggi è un problema mondiale. E per il bene di questo mondo, per il bene di tutti, viene chiesta la condanna dei politici responsabili di questa catastrofe affinché siano considerati assassini e terroristi alla stregua dei terroristi islamici.