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Chi sono i due gruppi armati d’opposizione che stanno cacciando Assad dalla Siria

8 Dicembre 2024 8 min lettura

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Chi sono i due gruppi armati d’opposizione che stanno cacciando Assad dalla Siria

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Gli eventi in Siria sono ancora in corso e alcune valutazioni potrebbero cambiare nei prossimi giorni, ma di certo sono in atto dinamiche difficilmente reversibili che incideranno nei mesi e negli anni a venire. Metterli in fila può essere utile per provare a leggere ciò che sta succedendo.

Alla fine di novembre due gruppi armati, un ombrello di milizie che va sotto il nome di Hay'at tahrir al-Sham (HTS) e al-Jaysh al-watanì al-suri (SNA, acronimo inglese per Syrian National Army) hanno portato un offensiva nelle campagne a est di Aleppo e in pochi giorni - fatto inusitato - sono riusciti a conquistare la città che, se vogliamo fare un paragone improprio, è la Milano della Siria. HTS, una volta messa in sicurezza la città, ha proseguito verso sud, conquistando Hama e poi dirigendosi verso Homs, direzione Damasco. SNA invece ha portato i suoi combattenti verso nord e nord-est, dove sono stanziate le forze del Hêzên Sûriya Demokratîk o Quwat dimuqratì suri (SDF, Syrian democratic forces) a guida curda.

Primo elemento: HTS e SNA sono milizie formatesi nel nord-ovest siriano, nell'area di influenza turca nata dopo l'"Astana consensus", partito nel 2017, in cui Turchia, Iran e Russia hanno deciso la spartizione della Siria in zone di influenza.

Mentre HTS ha assunto un ruolo politico, non senza produrre una pesante repressione e ricevere la protesta della popolazione, composta principalmente di sfollati dalle aree del regime, molti dei quali deportati sui famigerati "pullman verdi", SNA è rimasta una struttura militare, una milizia di mercenari, assente da qualsiasi dinamica di gestione sociale e politica del territorio.

Ambedue le forze sono state riarmate dai turchi, ma la prima ha maturato una sua forte autonomia. Non è casuale la direzione presa dalle due sigle: SNA, eseguendo sul campo il progetto di Erdogan di creare una zona cuscinetto fra Turchia e aree della Siria governate dalle organizzazioni "comunaliste" a guida curda, ha impattato SDF. HTS, seguendo la sua propria agenda, si è diretta verso Damasco, con l'obiettivo dichiarato di abbattere il regime di Assad.

Non sono dettagli. Quando per giorni l'intero mondo dell'informazione etichetta questi gruppi armati come genericamente "jihadisti" non coglie un aspetto fondamentale, che pure sembra essere caro a tutti coloro che si esercitano nella ginnastica geopolitica: perseguono obiettivi diversi.

Più avanti analizzeremo in profondità il loro jihadismo ma adesso dobbiamo sgomberare il campo da alcuni possibili malintesi. Da tempo ormai i "paesi del Golfo" non danno supporto a queste formazioni. Dopo Astana, vista l'aria che tirava, hanno preferito riabilitare Assad e il suo regime, a suo tempo espulso dalla Lega araba e poi riammesso. I primi a rientrare a Damasco con un ambasciatore sono stati gli emiratini, altri li hanno seguiti, a rimanere "neutrale" è rimasto il Qatar che - non sfugga il dettaglio - è il luogo dove sono più attive le diplomazie, statali o non statali, di mezza Asia sudoccidentale.

Il fatto non è secondario. La storia delle organizzazioni di opposizione al regime di Assad non può essere tracciata senza tener conto dell'impatto sulle organizzazioni armate anti-Assad dei soldi del Golfo. Nei primi anni di guerra si registrava un chiarissimo moto di radicalizzazione islamista dovuto anche - e ovviamente non solo - al fatto che il denaro e le armi arrivavano dal Golfo per organizzazioni allineate agli standard dei finanziatori. Se guardiamo al canale finanziario scopriremo che molte strutture militari, si veda ad esempio il Jaysh al-Islam, sono nate quando il rubinetto è stato aperto, e morte quando il rubinetto è stato chiuso.

HTS e SNA hanno una base islamista-jihadista ma la loro traiettoria è profondamente diversa e oggi, sul campo, la cosa è molto chiara. HTS ha una leadership riconoscibile, un ufficio politico, un comando militare unificato, strutture organizzative che fanno apparire SNA una torma di banditi sguinzagliati a comando dal padrone turco.

Concentrando l'attenzione su HTS si capisce meglio di quale jihadismo parliamo, sempre che questa definizione possa ancora funzionare. HTS per gli Stati Uniti e l'Europa è un'organizzazione terroristica e sul suo capo Ahmed al-Shara', nome di battaglia Abu Muhammad al-Jawlani, pende la designazione statunitense di "specially designated global terrorist". Ma tutto è al-Jawlani tranne che "global" e la sua biografia lo conferma. Tornato nel 2012 in Siria dall'Iraq - dove era stato ospite di Camp Bucca - da leader di al-Qaida nel neonato Jabhat al-nusra in Siria, aveva un anno dopo rifiutato la fusione con l'organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi, il neonato Stato islamico di Iraq e Siria (ISIS). Rimasto fermo sulla sua appartenenza al ramo siriano al-Qaida aveva combattuto l'ISIS nei territori dominati dalla sua organizzazione. In seguito lo aveva sciolto per fondare HTS, cioè un'organizzazione indipendente, non più legata ad al-Qaida, il cui obiettivo era la liberazione della Siria.

Pur rimanendo nei metodi una organizzazione dispotica e violenta di stampo islamista radicale, HTS, e prima di lei Jabhat al-nusra, ha sempre rimarcato le proprie radici in Siria. Dal punto di vista politico, se proprio vogliamo andare nel dettaglio, questo radicamento è l'unica costante della vita di Jawlani come leader militare e politico. Oggi, infatti, come dimostra la recente intervista alla CNN (ma il processo dura da diversi anni), ha dismesso i panni dell'estremista, per presentarsi come un patriota che ha a cuore il proprio paese e ne vuole rispettare le diversità che - parafrasandolo - rappresenta la ricchezza della Siria.

C'è chi ironizza sul fatto, e di certo non bastano le parole a cancellare i crimini, spesso efferati, commessi in passato. Jawlani, tuttavia, invita a guardare ai fatti - che ancora come si diceva non sono che parziali - argomentando sugli errori che si fanno e sul fatto che nella vita si cambia e ci si evolve. Di certo a Idlib ha esperito una comunità "nazionale" di profughi provenienti da ogni parte della Siria che in diverse occasioni, e talvolta anche per diversi mesi di seguito, ha manifestato contro l'oppressione di Jabhat al-nusra e poi di HTS.

Ultima nota: nel nome di battaglia di Ahmad al-Shara' c'è una storia che forse è una minaccia, se non una promessa. Lui nasce a Riyad, in Arabia Saudita, nel 1982, da una famiglia che viene dal Golan, occupato da Israele nel 1967. E non è sfuggito a molti che sulle mura della cittadella di Aleppo, accanto alla bandiera della rivoluzione siriana è stata messa quella della Palestina. La qual cosa ci dà l'occasione per ricordare che i siriani, da sempre, sono solidali con la causa palestinese e non lo hanno mai nascosto anzi, prima della rivolta del 2011, non perdevano l'occasione di manifestare la loro solidarietà in dimostrazioni non autorizzate dal regime, che voleva intestarsi il ruolo di difensore dei palestinesi.

Recentemente al-Jawlani ha iniziato a farsi chiamare col suo nome vero - Ahmad al-Shara' – e anche questo è un ulteriore segnale sulla sua "ripulitura". Credere alle sue buone e inclusive intenzioni non è però il punto. Il punto è guardare ai fatti, senza per forza dar credito a vere o false conversioni sulla via di Damasco, né cancellare ciò che effettivamente sta succedendo.

Passando, dunque, ai fatti vediamo che SNA continua ad avere il suo modus operandi da gruppo mercenario quale è, tanto che da più parti si invoca un repulisti definitivo quando le bocce saranno ferme. Vediamo poi che HTS ha tutto un altro approccio, sembra che la retorica settaria contro sciiti e "infedeli", tipica del jihadismo di al-Qaida (e in maniera ancora più estrema dei "takfiri" dell'ISIS) sia svanita, almeno ufficialmente. Ad Aleppo, dove è stato proibito l'ingresso in città di uomini in armi e dove sono presenti comunità etnico-religiose diverse, non si registrano scontri rilevanti. La prima giornalista arrivata in zona, Jomana Karadsheh di CNN, ha realizzato un report in cui sembra tutto tranquillo (ma sappiamo che questo può non significare nulla). Nell'avanzare HTS diffonde comunicati rassicuranti nei quali si afferma che le minoranze vanno rispettate perché la Siria è un mosaico di comunità diverse e questa diversità non si può cancellare.

A Salamiya, città a maggioranza ismailita (una branca sciita), non sono stati registrati crimini contro civili. Lo stesso a Hama, dove sembra che un 30% degli alawiti locali, appartenenti alla confessione di Assad, non sia fuggito via. Conquistate le città i combattenti aprono le prigioni, dove Assad ha chiuso - spesso torturandole - migliaia di persone sospettate di far parte della rivolta contro il regime. La rete è piena di testimonianze di parenti che si incontrano dopo anni o decenni. In una storia, addirittura, si racconta di una figlia che ha ritrovato suo padre che credeva morto perché il regime gli aveva recapitato il suo certificato di morte. La rete è piena anche di immagini di persone che festeggiano, che abbattono le statue del dittatore o di suo padre o di suo fratello.

È necessario qui rilevare che queste non sono "scene normali" che vediamo "sempre" quando uomini in armi entrano in città. Il regime era entrato in quelle stesse città dopo mesi o anni di assedio, spesso se non sempre tagliando tutti i rifornimenti e riducendo alla fame la popolazione - forse qualcuno ricorda le immagini di Yarmuk, il campo profughi palestinese poi divenuto quartiere alla periferia di Damasco. Nessuno, lì, aveva accolto i governativi a braccia aperte, bensì abbassando la testa.

Tutte queste osservazioni non vogliono far da colore a una cronaca entusiastica. Sono elementi di riflessione pensando al futuro. Il leader di HTS sembra aver capito che, una volta abbattuto il regime, in Siria nessuno riuscirà a governare senza mediazione, quella mediazione che Asad ha sempre rifiutato. Ed è sintomatico che da più parti giunga la notizia che HTS stia valutando l'opportunità di sciogliersi una volta raggiunto l'obiettivo di abbattere il regime.

L'avanzata di HTS sembra inarrestabile, si assiste alla fuga di sodali di Asad e di persone che si sentono in pericolo verso aree che considerano sicure, ma anche a una prima ondata di ritorni alle proprie case di singoli e famiglie deportati a suo tempo nell'enclave filoturca del nord-ovest. Sulla costa, la roccaforte del regime a maggioranza alawita, le milizie fedeli ad Assad organizzano la difesa. Damasco si riempie di reparti assadisti meglio armati e addestrati, insieme a ciò che rimane delle milizie sciite non siriane; Hezbollah è impegnato in Libano, dall'Iraq il leader politico-religioso Moqtada al-Sadr proibisce alle milizie di interferire in Siria.

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I russi sembrano smobilitare. Se HTS prenderà Homs i collegamenti fra la capitale e la costa saranno difficili se non impossibili. A sud, nel governatorato di Suwayda, i drusi hanno cacciato gli assadisti e hanno preso il controllo grazie a ciò che rimane dell'Esercito siriano libero, la formazione armata che nel lontano 2012 raccolse le istanze della rivoluzione siriana pacifica per poi esplodere in decine di piccoli e mal armati battaglioni. Nel settore est la città di Hasake è in mano all'SDF. Scena di festa anche lì e a Deyr az-Zor, dove i lealisti sono fuggiti in direzione Damasco. Ad esclusione delle aree infestate dallo SNA e delle zone dove sacche dell'ISIS provano a rialzare la testa, si registra quiescenza fra SDF e altri gruppi in armi.

I più contano la vita del regime in settimane. La sfida più grande riguarda il dopo-Assad. Alcune risposte, probabilmente le meno digeribili per chi oggi spera in una Siria davvero libera, arriveranno dal vertice di Doha fra Iran, Turchia e Russia, iniziato ieri.

Immagine in anteprima: frame video Al Jazeera

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