La Siria di Assad ha documentato le atrocità che ha commesso e il mondo non deve ignorarle
3 min letturaCon un articolo pubblicato sul Guardian Sara Afshar, regista del documentario di Channel 4, candidato ai BAFTA (i premi conferiti ogni anno dalla British Academy of Film and Television Arts alle migliori produzioni cinematografiche), "Syria's Disappeared: The Case Against Assad" (Gli scomparsi della Siria: il caso contro Assad), è tornata nuovamente a spiegare l'importanza delle fotografie scattate da Caesar, pseudonimo che protegge l’identità di un ex fotografo della polizia militare del regime siriano, alla luce di nuove prove emerse.
A partire dal 2011 e per due anni, Caesar ha fotografato i corpi dei detenuti uccisi nelle carceri siriane fino a quando non ha scelto di disertare, portando con sé in Occidente le copie delle immagini. Immagini che rappresentano una testimonianza fondamentale dei crimini contro l'umanità avvenuti in Siria (per fare in modo che simili atrocità non restino impunite) e un monito per quei Paesi che hanno ripreso in tutta normalità le relazioni con il presidente Bashar al-Assad.
Le fotografie (30 delle quali fanno parte di una mostra fotografica “Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura” allestita in varie città italiane e nel mondo) ritraggono i corpi torturati, seviziati e mutilati di circa 6700 persone le cui famiglie non hanno più ricevuto notizie dal momento dell'arresto. Accanto ad ogni cadavere viene mostrato un foglietto con un numero identificativo della persona e un numero di riferimento della struttura detentiva dove la persona era reclusa. Nessun nome, solo numeri.
A maggio 2014, anche grazie a queste immagini, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso una bozza di risoluzione per deferire la Siria al Tribunale Penale Internazionale. Tredici dei quindici membri hanno votato a favore mentre Cina e Russia hanno posto il veto. Il presidente Assad ha sempre contestato l'autenticità delle immagini definendole “fake news” in occasione di un'intervista rilasciata lo scorso anno a Michael Isikoff di Yahoo News e chiedendo, in maniera provocatoria, se qualcuno le abbia mai verificate.
Nuove prove emerse indicherebbero che sia stato proprio il regime siriano a verificarne l'autenticità. Gli investigatori dei crimini di guerra dell'ONU hanno recentemente scoperto una serie di documenti che forniscono una conferma dell’autenticità del materiale di Caesar da parte del regime stesso, come ipotizzato in un pezzo pubblicato dal Guardian lo scorso anno della giornalista Nicola Cutcher, co-produttrice del documentario “Syria's Disappeared: The Case Against Assad”, e qualche giorno fa dalla stessa Afshar su Channel 4 News. Gli investigatori hanno trovato le evidenze tra centinaia di migliaia di documenti abbandonati dal regime siriano quando ha perso il controllo in alcune aree occupate dalle forze di opposizione.
In particolar modo la documentazione che più di tutte attesterebbe che si tratterebbe di materiale di archivio dell'esercito siriano si riferisce a comunicazioni avvenute tra il capo della struttura di detenzione numero 227 e quello dell'intelligence militare, in cui vengono fornite informazioni su arresto, interrogatorio e decesso dei detenuti, con riferimento ai loro cadaveri con numeri che si sono rivelati essere gli stessi di quelli fotografati da Caesar.
I documenti ritrovati includono elementi di straordinaria importanza: nomi dei detenuti, informazioni relative al momento dell'arresto, ai dettagli raccolti durante l'interrogatorio, al giorno in cui sono morti e alla destinazione dei cadaveri, confermando che l'esercito fosse a conoscenza di tutto.
Afshar ritiene probabile che esistano altri documenti perché quelli ritrovati indicano che il capo dell'intelligence militare chiedesse di essere informato di ogni singolo decesso e di essere consultato per stabilire la destinazione dei cadaveri. Evidentemente, dato il ruolo ricoperto, si trattava di una persona che si riferiva direttamente al presidente Assad.
Un ulteriore e sconcertante dettaglio emerso nei documenti è il riferimento ai corpi dei detenuti sepolti in un "luogo conosciuto". Conosciuto dal regime, ma non dalle famiglie delle vittime a cui viene negato qualsiasi tipo di informazione, non avendo così la possibilità di poter piangere il proprio caro su una tomba ma che potrebbero aver riconosciuto tra le migliaia di fotografie scattate da Caesar.
Foto in anteprima via Guardian