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Il socio, il complice e il gonzo: fenomenologia della responsabilità berlusconiana

15 Giugno 2023 6 min lettura

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Il socio, il complice e il gonzo: fenomenologia della responsabilità berlusconiana

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Finiti i coccodrilli agiografici o gli elenchi puntuti di tutti i danni da lui provocati, potremmo iniziare una valutazione più sobria della figura politica di Silvio Berlusconi. Non potremo certo aspettarci ricostruzioni convergenti o un consenso sostanziale. La sua figura è stata divisiva e lo sarà in futuro. Ma c’è, paradossalmente, un punto condiviso sia dalle analisi adulatorie sia da molte ricostruzioni critiche: il presupposto scandaloso, ma ovvio e ripetuto, che Berlusconi avesse capacità sovraumane. Che si trattasse di un individuo fuori dal comune non vi è dubbio. Ma il paradosso sta nel fatto che valutazioni diametralmente opposte condividono l’idea che lui, lui solo, sia riuscito a manipolare gli italiani o a carpirne il segreto, a costruire un incredibile consenso volontario o a fare il lavaggio del cervello a milioni di italiani. Frutto di un incredibile carisma, di enormi mezzi economici, di grande fortuna, intuizione e anche di errori altrui, la quasi onnipotenza berlusconiana è stata l’assunto di molte analisi, entusiaste o rassegnate del suo periodo d’oro.

Eppure, a ben vedere, questo assunto è tanto falso nei fatti quanto fuorviante politicamente. Falso perché, per quanto potente e pieno di risorse, il genio del male (o del bene) non può mai operare da solo, ma può agire solo grazie a collaboratori, fiancheggiatori e a un pubblico che più o meno lo accetta. Fuorviante, perché nel decretarne l’onnipotenza si esonerano tanti soggetti dalle proprie responsabilità storiche e politiche oggettive.

L’errore di questo assunto è stato aggravato dal lavorio di riabilitazione in vita di Berlusconi: negli ultimi anni si sono sprecate espressioni come “padre nobile del centrodestra”, “statista”, moderato tra gli eccessi dei populisti. Formule false poiché, come è noto, l’attuale populismo è stato non solo sdoganato da Berlusconi ma anche largamente anticipato da tutte le sue maschere. L’effetto malefico di queste riabilitazioni ha anche creato una sorta di pantano culturale e politico in cui la grandezza della sua figura (indubbia) è stata pompata di fronte alle sue colpe. La costruzione in vita e, facile profezia, post mortem della sua genialità politica sta avendo un effetto terribilmente deresponsabilizzante. Come se la cifra giullaresca e criminale del non volersi mai assumere le responsabilità delle proprie azioni, emblema comune di Berlusconi e del peggio degli stereotipi italici, sia una delle sue eredità più insidiose.

Ma è evidente che tutto ciò che ha fatto (e non ha fatto) Berlusconi ha potuto farlo con l’aiuto diretto, indiretto o inconsapevole di milioni di persone. È quindi giunto il momento di parlare delle responsabilità storiche di chi ha contribuito in varia maniera al trentennio berlusconiano. La ricostruzione, lungi dal voler stilare una lista di proscrizione, può servire per vedere chiaramente i diversi livelli di responsabilità e poter ripartire da un punto storico. Il tentativo di incasellare le varie figure arcinote o sconosciute, il sottobosco dell’entourage o l’anonimo sostenitore, non può che essere largamente impreciso. E, in piena coscienza di un tentativo impressionistico, vale la pena di tentare una mini-fenomenologia in chiave poliziesca. Le figure variopinte di una truffa collettiva hanno i ruoli arcinoti dei soci, dei fiancheggiatori, degli adescati e degli inseguitori incapaci.

I complici

La prima, ovvia ma non sempre ricordata, responsabilità è quella di chi ha fatto affari con lui, di chi ne ha beneficiato direttamente, di chi ha risposto apparentemente con convinzione ai suoi ordini. Soci, dipendenti e affiliati, politici e aziendali. Compagni di ventura e clientes in cerca di favori, hanno nomi noti e meno noti, in larga parte vivono e lottano insieme a noi (o meglio, contro di noi). Di queste persone in molti casi si è occupata la magistratura con alterne vicende giudiziarie. Ma oltre alla responsabilità penale, di queste persone si dovrà ricordare la responsabilità materiale e la diretta implicazione in disastri collettivi (leggi ad personam e sforamento del debito pubblico) o in farse tristi (il voto del parlamento su Ruby e altre amenità).

I fiancheggiatori

Pur non avendo dipeso direttamente dai suoi favori e dal suo potere, in molti lo hanno giustificato, legittimato e difeso indirettamente. Sostenendo che sì, ci sono ancora i comunisti, che Berlusconi ha promesso la rivoluzione liberale, che non si deve demonizzare il nemico politico, che i problemi sono ben altri, che non bisogna moralizzare la politica. Come emblema insidioso di questa figura, si staglia la posizione di molta stampa terzista che ha legittimato come plausibili le storie più evidentemente false (su tutte, la mitica rivoluzione liberale). Per spirito di parte, come la gran parte del ceto imprenditoriale italiano, o per partito preso contro la sinistra, i fiancheggiatori hanno responsabilità culturali e indirette notevoli, anche quando non ne hanno tratto vantaggi diretti.

Gli adescati

Milioni di elettori comuni lo hanno convintamente votato pensando genuinamente che la sua vittoria li avrebbe avvantaggiati, e che avrebbero potuto, nel loro piccolo, essere come lui (soldi, donne, calcio, immunità). Questa categoria è stata la più bistrattata e incompresa, giudicata moralisticamente come irriducibilmente egoista, o come un branco di pecoroni pienamente abbindolati dalla propaganda implicita di Mediaset. Nel presupporne l’incapacità di intendere e di volere, se ne è implicitamente decretata la non responsabilità morale e politica. Ma si dovrebbe poter dire, senza alcuna presunzione, che anche tutte queste persone sono, in quanto elettori e sostenitori, responsabili dei disastri materiali e politici dell’era berlusconiana. La responsabilità collettiva degli adescati consiste nell’aver imposto a tutti una truffa collettiva, dovuta all’abbaglio continuativo di milioni di persone che hanno pensato di poter beneficiare di promesse mirabolanti pur essendo le prime vittime delle politiche berlusconiane (sul fisco, la scuola, la sanità, etc.). Non si sta dicendo che gli adescati hanno sbagliato perché non hanno votato a sinistra. La sovranità popolare è sacrosanta anche quando comporta esiti collettivi sbagliati. Piuttosto, la responsabilità degli adescati è stata quella di sentirsi rappresentati da qualcuno che non ha fatto altri interessi che i propri, tirando in basso tutto il livello della politica italiana e le aspettative condivise su ciò che è ammissibile in politica.

Gli inseguitori incapaci

Infine, bisogna parlare della responsabilità di chi è stato avversario politico e culturale di Berlusconi. Una vulgata degli ultimi anni addita la sinistra come responsabile di ogni attuale miseria italica ("la gente vota a destra perché la sinistra ha fallito", e così via). Le effettive incapacità di rispondere a problemi reali o di comunicare il poco di buono che ha fatto rendono almeno in piccola parte la dirigenza della sinistra responsabile della stagione berlusconiana. Una responsabilità per non essere stati all’altezza della posta in gioco e per non aver tirato le conseguenze dei propri fallimenti. Ben diversa dalle responsabilità dirette, indirette e materiali, non può dar luogo a condanne o scomuniche ma avrebbe dovuto essere sanata da una collettiva opera di dimissioni da incarichi di potere.

La responsabilità collettiva come antidoto

Parlare di responsabilità collettiva verso un fenomeno così diffuso e controverso può sembrare scivoloso e controproducente. Ma credo sia l’unico antidoto contro due errori storici e politici. Il primo, già accennato, è presumere che Berlusconi sia stato il genio che ha estorto il consenso a una massa di persone inerti e indifese. Il secondo, è il discorso cerchiobottista che, nel ridimensionarne le colpe e nell’ingrandirne i meriti, nasconde i ruoli di chi variamente ha contribuito al suo perdurante successo. Il riconoscere l’ampiezza ma anche il diverso peso delle responsabilità è l’unico antidoto contro la tendenza autoassolutoria verso la massa (Berlusconi invincibile seduttore) ma anche verso i fiancheggiatori, secondo i quali l’attribuzione di responsabilità diffuse non può che portare all’indulgenza plenaria.

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Chi non rientra in queste categorie non può certo cantare vittoria. E non è il caso di reclamare inutili patenti di purezza. La comprensione delle responsabilità serve innanzitutto per ripartire da una situazione in cui l’eredità berlusconiana sembra inevitabile.

Pensando all’ultimo periodo del potere pieno berlusconiano possiamo ricordarci della famigerata “macchina del fango”. E il fango o, meglio, la melma, è stata la sostanza che ha pervaso la vita politica italiana per molti anni, e forse lo fa ancora. Regno dell’indistinto appiccicoso e sporco, la melma attacca tutti. Ma c’è una bella differenza tra chi ha prodotto e chi ha distribuito melma. Tra chi l’ha benedetta come sacra e chi l’ha accettata. Tra chi ci ha sguazzato e chi soltanto non è riuscito a liberarsene.

Immagine in anteprima via Wikimedia Commons

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