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Parlare male dei morti: l’eredità difficile (e indicibile) di Silvio Berlusconi

13 Giugno 2023 6 min lettura

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Parlare male dei morti: l’eredità difficile (e indicibile) di Silvio Berlusconi

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Come si parla di qualcuno che è morto? O meglio: cosa si può o non si può dire, quale tono è appropriato assumere quando qualcuno che per trent’anni è stato al centro della vita politica di un paese muore anziano per malattia, circondato dal cordoglio generale? Sembra una domanda banale: il cordoglio è per la famiglia e gli amici, mentre giornali e televisioni hanno il diritto e il dovere di parlare del personaggio camminando sul filo fra il rispetto e la verità storica. Silvio Berlusconi è morto la mattina del 12 giugno 2023, e da quel momento è partito sui media italiani una sorta di processo di beatificazione che va ben oltre il rendere giustizia all’importanza dell’uomo politico e dell’imprenditore. 

Una reazione prevista e prevedibile per molti motivi, primo fra tutti che in Italia non si parla mai male dei morti. “Chi nasce è bello, chi si sposa è buono e chi muore è santo” diceva un vecchio proverbio, riassumendo l’atteggiamento che si tende ad assumere nei confronti di qualsiasi defunto: ossequioso, ovattato nei giudizi, perché a cadavere ancora caldo nessuno si azzarda a dire la verità con la stessa chiarezza utilizzata in vita. C’è la famiglia, c’è gente che soffre, e che diamine, un po’ di ritegno. Così passano i giorni, in un susseguirsi di peana ed elegie che mai si spingono a richiamare gli episodi meno edificanti della vita del trapassato, finché tutto si spegne e di quella verità non importa più a nessuno.

Il secondo motivo per cui “Silvio” sembra essere prossimo all’assunzione in cielo è che, molto banalmente, piaceva a tutti. O meglio: piaceva a tutte le persone che l’hanno conosciuto – dicono che fosse affabile, simpatico, ospitale, affettuoso: non si fa fatica a crederci – ma anche a chi, pur non avendolo mai incontrato, ne apprezzava la vitalità, il carisma, la capacità di cadere sempre in piedi, e anche (e soprattutto) quell’atteggiamento guascone, da corteggiatore vecchio stampo. Messa giù semplice: anche chi non condivideva con Berlusconi le idee in materia di politica estera o economica, soprattutto se maschio, non si è mai spinto a considerare il suo maschilismo esibito e spudorato un elemento dirimente nel formare il proprio giudizio politico. 

Silvio, Silvione, il Cavaliere, il Berlusca piaceva agli uomini perché incarnava quello che avrebbero voluto essere: un maschio dominante senza essere apertamente aggressivo. Gli uomini trovavano in lui una sorta di role model vincente e ridanciano, ma non erano poche le donne che lo apprezzavano perché non vedevano quei modi rétro come problematici, e nemmeno l’abitudine nota di fare festa con donne reclutate in modi oscuri da faccendieri che avevano interesse a ingraziarselo. Una visione del femminismo ridotta all’affermazione individuale, in cui le sex worker che popolavano la corte del magnate potevano esistere solo in una sorta di stato liminale, contemporaneamente presenti e non riconosciute, e ogni donna pensava per sé. 

L’approccio galante tenuto dal padrone di casa rendeva difficile riconoscere la matrice comune fra l’accondiscendenza e il paternalismo con cui Berlusconi gestiva i rapporti con le donne che aveva intorno da una parte, e dall’altra il machismo più retrivo che si serve della violenza come mezzo di controllo. Sono due manifestazioni dello stesso fenomeno, ma ci manca la coscienza collettiva che ci permette di vederlo, o anche solo di prestare attenzione ai racconti di chi alle “cene eleganti” a villa San Martino è stato portato senza il suo consenso. 

Con le donne che non poteva controllare o che non erano in qualche modo a sua disposizione, Berlusconi è stato  aggressivo nelle politiche e spesso anche nei toni. Come dimenticare la volta in cui apostrofò Rosy Bindi con le parole “Lei è più bella che intelligente?” O la definizione (da lui smentita, eppure perfettamente integrata nella mitopoiesi berlusconiana) che ancora circonda Angela Merkel, quel leggendario e volgarissimo “culona inchiavabile”? Forse la più limpida rappresentazione di quel maschilismo emerse nel 2009, quando il suo governo emanò un decreto per bloccare lo stop all’alimentazione artificiale di Eluana Englaro, richiesta dal padre per abbreviare le sofferenze della figlia paralizzata a letto da 17 anni in seguito a un incidente. Nello spiegare i motivi di quel divieto, Berlusconi disse che Eluana avrebbe potuto “anche, in ipotesi, generare un figlio”: una donna in coma vegetativo, che non avrebbe mai più potuto scegliere per sé la maternità, veniva tenuta in vita a forza perché in teoria ancora fertile, come una sorta di incubatrice. 

Se questo paese è tuttora paralizzato sul fronte dei diritti civili e sociali lo si deve in buona parte a Silvio Berlusconi, alle sue idee retrograde sui ruoli di genere, le sue posizioni sprezzanti sulle persone LGBTQ+, al suo uso strumentale della televisione per portare nelle case degli italiani eserciti di donne mute e oggettificate, utilizzate come decorazioni. Oggetti erotici, più che persone, usate per creare un efficace contrappunto al compassato decoro della Rai, che fino a poco tempo prima metteva le calze nere alle gemelle Kessler perché le loro gambe in bianco e nero non sembrassero nude, ma che dall’altro lato non aveva affatto lavorato a costruire una presenza femminile che andasse al di là delle “Signorine Buonasera”, volti rassicuranti che comparivano sullo schermo per elencare i programmi della giornata. 

La legge 40 sulla riproduzione medicalmente assistita, un regalo alla Chiesa poi dichiarata incostituzionale, limita l’accesso alle procedure di fecondazione alle coppie eterosessuali sposate, e le regole che pone all'impianto degli embrioni mettono a rischio la vita delle donne. Le cure per l’infertilità sono diventate un lusso per ricchi, e i figli delle coppie lesbiche che vi hanno fatto ricorso andando all’estero hanno dovuto subire, da allora, ripetute vessazioni da parte delle destre che Berlusconi ha contribuito a portare al governo. Non dimentichiamo, inoltre, che il 25 giugno 2008 il governo Berlusconi revocò il provvedimento varato dal governo Prodi pochi mesi prima per impedire ai datori di lavoro di far firmare le cosiddette “dimissioni in bianco”, così spesso utilizzate per licenziare le lavoratrici madri (o in procinto di diventarlo) con maggiore facilità. Un regalo agli imprenditori che complica non poco l’impresa di ritrarre l’ex Cavaliere come paladino delle donne (come hanno più volte tentato di definirlo le deputate e militanti di Forza Italia). 

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Berlusconi non ha certo inventato il maschilismo: lo ha sfruttato e cavalcato riducendo l’onda lunga della liberazione sessuale a una risacca popolata di soubrette scollate e barzellette loffie. Se c’è riuscito è perché la maggioranza della popolazione non vedeva l’ora di uscire dalla sfida presentata dai femminismi e dalla rivolta visibile, tangibile delle donne per ricondurre tutto a uno status quo ante in cui ognuno occupava il posto che gli era stato attribuito dalla società patriarcale. E chi era più patriarca di Silvio, due volte marito (due e mezza, se si conta il semi-matrimonio con Marta Fascina), cinque volte padre, molteplici volte nonno e almeno una bisnonno, gioviale padrone di un impero, figura autorevole per moltissimi e aspirazionale per milioni?

La famiglia Berlusconi ha diritto al suo dolore, e i coccodrilli di questi giorni saranno più elegiaci che puntuali. È inevitabile. Ma se di questa figura titanica, capace di influenzare (più nel male che nel bene) la politica in tutto il mondo parleremo solo con i toni del rimpianto, è anche e soprattutto perché chi controlla i media non rappresenta quasi mai quelle soggettività che hanno fatto le spese delle politiche di Berlusconi e della sua influenza, duratura e ormai consolidata, sulla cultura del paese. Ci sono voci che contano e voci che non contano, e in questi trent’anni quasi niente è cambiato nella direzione di un maggiore equilibrio: ogni opinione dissenziente è “cancel culture”, ogni tentativo di dialettica un fastidio che deve essere sepolto nel ridicolo, il milione di persone presenti al Pride di Roma del 10 giugno 47.000 “secondo la Questura”, le persone migranti precarizzate dalla Bossi-Fini uno spauracchio agitato per ottenere consenso. Riposa in pace, Silvio Berlusconi: hai fatto la storia, ma la storia, per citare un vecchio film, è fatta dalle donne che seguono gli uomini con un secchio in mano.

Immagine in anteprima via Wikipedia

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