Elezioni in Serbia: il voto di domenica rischia di aumentare l’instabilità in Europa
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Aggiornamento 18 dicembre 2023: I Progressisti Serbi, il partito dell’attuale presidente Aleksandar Vučić, al governo dal 2012, hanno rivendicato la vittoria nelle elezioni parlamentari del 17 dicembre e nella capitale, Belgrado. Tuttavia, sul voto c’è l’ombra di gravi irregolarità sia durante la campagna elettorale che nel giorno delle elezioni.
Il primo ministro ad interim Ana Brnabić, ha dichiarato che, con la metà delle schede scrutinate, le proiezioni davano i Progressisti Serbi al 47% e la coalizione di opposizione “Serbia contro la violenza” intorno al 23%.
Grandi attenzioni erano rivolte all’elezione del Consiglio comunale di Belgrado, dove la vittoria di “Serbia contro la violenza” avrebbe potuto mettere in difficoltà il governo di Vučić nel paese. Ma il presidente serbo ha affermato che il suo partito è in testa anche nel voto della capitale, pur aggiungendo che gli accordi di coalizione post-elettorali determineranno chi governerà a Belgrado.
Le opposizioni hanno contestato le proiezioni elettorali diffuse da Brnabić, affermando che ci sono stati brogli elettorali e che avrebbe contestato il conteggio dei voti “con tutti i mezzi democratici”. Secondo il leader dell'opposizione Miroslav Aleksić, “persone che non vivono a Belgrado sono state portate in autobus, furgoni e auto per votare come se fossero cittadini della capitale, e sono stati emessi 40.000 documenti d'identità per persone che non vivono nella capitale”.
Dal giorno dello spoglio si susseguono quotidianamente manifestazioni a Belgrado per chiedere l’annullamento delle elezioni. Il governo di Belgrado ha annunciato che il prossimo 30 dicembre si ripeterà il voto parlamentare in trenta seggi (sugli ottomila aperti durante le elezioni). Ma questo non è sufficiente per i manifestanti e per la coalizione di opposizione che continua a chiedere di annullare le elezioni parlamentari e locali.
Anche gli osservatori esterni e i media indipendenti hanno denunciato irregolarità. Secondo un rapporto, i serbi provenienti dalla vicina Bosnia si sarebbero riuniti per votare in un palazzetto dello sport di Belgrado che non era un seggio elettorale ufficiale. Un altro rapporto afferma che un gruppo di monitoraggio è stato attaccato e la sua auto è stata colpita con mazze da baseball in una città della Serbia settentrionale.
Gli osservatori del Centro indipendente per la ricerca, la trasparenza e la responsabilità (CRTA) hanno espresso “la massima preoccupazione” per i casi di trasferimento organizzato di elettori illegali da altri paesi a Belgrado. Il CRTA ha riferito anche di casi di elettori a cui è stato dato del denaro per votare per il partito di governo e della presenza di persone non autorizzate ai seggi elettorali.
Anche l’OSCE ha denunciato una serie di "irregolarità", tra cui l'acquisto di voti e l'uso di schede precompilate, mentre la Germania ha parlato di situazione inaccettabile per un paese che ambisce a entrare nell'Unione Europea. A sua volta, l’UE ha affermato che il “processo elettorale della Serbia richiede miglioramenti tangibili e ulteriori riforme”.
di Aidan Hehir*
L'esito delle elezioni parlamentari in Serbia del 17 dicembre avrà profonde implicazioni per la pace in Europa. Anche se in qualche modo oscurate dall'invasione russa dell'Ucraina e, più recentemente, dalla crisi nella Striscia di Gaza, le tensioni nei Balcani sono aumentate notevolmente negli ultimi mesi. Se i serbi dovessero rieleggere il principale partito di governo, la probabilità di un conflitto nella regione aumenterebbe.
Il Partito Progressista Serbo (SNS) è al governo dal 2012. Costituito nel 2008, l'SNS è stato inizialmente visto come un partito favorevole all'integrazione nell'UE che avrebbe condotto la Serbia verso l'Occidente.
L'SNS, tuttavia, è diventato sempre più autoritario e la Serbia è oggi ampiamente considerata un esempio di presa di controllo dello Stato. Questa avviene quando un piccolo numero di attori influenti nel settore pubblico e privato si mettono d'accordo per cambiare le regole, promuovere le leggi e cooptare le istituzioni, portando avanti così i propri interessi ristretti a scapito dell'interesse pubblico più ampio.
Secondo l'organizzazione americana Freedom House, l'SNS ha "eroso costantemente i diritti politici e le libertà civili, esercitando pressioni sui media indipendenti, sull'opposizione politica e sulle organizzazioni della società civile". Reporter Senza Frontiere, ONG che difende la libertà di stampa, ha recentemente osservato che i dominanti media di Stato serbi contribuiscono al "dilagare di fake news e propaganda", mentre "i giornalisti sono minacciati da pressioni politiche".
Anche la corruzione è aumentata dal 2012, e secondo il Global Organized Crime Index "le reti criminali sono largamente diffuse". Un'inchiesta dettagliata del New York Times ha rivelato che il presidente serbo, Aleksandar Vučić - membro fondatore dell'SNS - e la sua cerchia ristretta sarebbero strettamente legati a queste bande criminali.
Dal 2012, il governo serbo ha alimentato le tensioni regionali al punto che molti temono che nel 2024 possa scoppiare una nuova guerra con il vicino Kosovo.
Considerato il passato di Vučić - e di molte figure di spicco dell'SNS - non si tratta di una sorpresa. Per tutti gli anni Novanta Vučić ha sostenuto l'aggressivo nazionalismo serbo. Pochi giorni dopo il genocidio di Srebrenica in Bosnia, nel luglio 1995, dichiarò: "Uccidi un serbo e noi uccideremo 100 musulmani".
Destabilizzazione del Kosovo e della Bosnia
L'SNS ha fomentato i sentimenti nazionalisti tra i serbi che vivono fuori dal paese. I tentativi di ridisegnare i confini degli Stati post-Jugoslavia secondo criteri demografici - per creare quello che chiamano un "mondo serbo" - porterebbero quasi certamente alla guerra in Bosnia e in Kosovo.
In effetti, Vučić ha recentemente dichiarato che il 2024 "ci porterà molti più conflitti e disordini dell'anno precedente", indicando in particolare la Bosnia e il Kosovo come probabili focolai.
Vučić esercita un controllo quasi totale sui principali partiti serbi in Bosnia e in Kosovo. Ha incoraggiato ciascuno di essi a minare l'autorità del governo centrale in entrambi gli Stati.
Milorad Dodik, presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (a maggioranza serba), parla apertamente di secessione dalla Bosnia. I serbi del Kosovo favorevoli all'integrazione in Kosovo sono stati costretti alla sottomissione o uccisi.
Oltre a giurare regolarmente di non riconoscere mai l'indipendenza del Kosovo, Vučić ha negato che in Kosovo si siano verificati massacri perpetrati dai serbi. Ha anche minacciato le truppe della NATO di stanza nel paese e ha bollato il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, come "feccia terrorista".
Vučić e il primo ministro dell'SNS, Ana Brnabić, hanno ripetutamente affermato - senza prove a sostegno - che il governo del Kosovo è impegnato in una "brutale pulizia etnica" contro i serbi. A settembre, lo stretto alleato di Vučić Milan Radoičić, vice leader del partito Lista Serba, controllato da Belgrado, ha fatto parte di un gruppo di miliziani che ha attaccato la polizia del Kosovo - uccidendo un agente - in quello che molti ritengono un tentativo orchestrato da Belgrado di scatenare una guerra.
Nonostante i precedenti dell'SNS, i leader occidentali hanno cercato di sostenere che, come dichiarato recentemente dall'ambasciatore statunitense in Serbia, il paese è diretto "verso l'Occidente". Molti hanno posato con Vučić, hanno celebrato le sue vittorie elettorali e hanno "chiuso un occhio" sulle politiche del suo governo in patria e all'estero.
La logica di questa indulgenza deriva dalla volontà di allontanare la Serbia dal suo tradizionale alleato, la Russia. Questo obiettivo è evidentemente fallito.
Dopo l'invasione dell'Ucraina, la Serbia ha rifiutato di aderire alle sanzioni occidentali contro la Russia, perché - dice Vučić - i serbi "amano la Russia". Il paese continua a mantenere strette relazioni con Mosca.
Il governo serbo ha anche coltivato legami con altri autocrati simili in tutta Europa - in particolare con l'ungherese Viktor Orbán - che rifiutano apertamente i valori democratici.
Gli scenari futuri
L'SNS ha firmato un patto elettorale con l'ultranazionalista Partito Radicale Serbo - guidato da Vojislav Šešelj, condannato per crimini di guerra - e probabilmente cercherà nuovamente di formare una coalizione con il Partito Socialista di Serbia, guidato da Ivica Dačić. Conosciuto come "il piccolo Slobo", è stato il portavoce di Milošević negli anni Novanta.
Ci sono segnali che un movimento più progressista - la coalizione Serbia Contro la Violenza - aumenterà la sua percentuale di voti. La colazione cerca di capitalizzare la rabbia dell'opinione pubblica, esplosa a giugno con una serie di proteste di massa contro la violenza delle armi e la corruzione.
Ma l'SNS ha cercato di orientare la campagna elettorale lontano dalle preoccupazioni interne - in particolare l'alta inflazione, che si attesta all'8,5% - verso temi nazionalisti, come la situazione dei serbi in Bosnia e in Kosovo.
In questo ha avuto successo grazie al quasi monopolio che in Serbia esercita sui media, agli attacchi informatici mirati e alle campagne denigratorie contro i critici del governo. Le prospettive di una sconfitta elettorale per l’SNS appaiono quindi remote e si profila lo spettro di un conflitto regionale.
Tuttavia, questo potrebbe ancora essere scongiurato. Nonostante la retorica nazionalista e anti-occidentale dell'SNS, realisticamente la Serbia non può prosperare al di fuori dell'Occidente. La capacità della Russia di sostenere i suoi alleati dopo l'invasione dell'Ucraina è diminuita, come ha scoperto di recente l'Armenia nel Nagorno-Karabakh.
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La Serbia è circondata da Stati membri dell'UE e della NATO e quindi vulnerabile alle sanzioni occidentali. Per questo motivo, una presa di posizione decisa da parte dell'Occidente probabilmente costringerebbe l'SNS a cambiare rotta e a prevenire un nuovo conflitto. Resta tuttavia da vedere se l'Occidente abbia l'unità e la volontà di farlo.
*Aidan Hehir è professore di relazioni internazionali all'Università di Westminster.
Questo articolo è una traduzione dell'originale pubblicato in inglese su The Conversation con licenza Creative Commons.
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