Più segreti commerciali, meno diritto all’informazione. La proposta della Commissione europea
5 min letturaIl 28 gennaio la Commissione Affari Legali dell'Unione Europea ha approvato la direttiva sulla protezione dei segreti commerciali (Trade Secrets Directive) nata nel 2013 da una proposta della Commissione europea.
Uno studio della Commissione valutò che la normativa in materia era estremamente frammentata tra i vari Stati e quindi si rendeva necessaria l'armonizzazione a livello europeo. Localmente, inoltre, la protezione molto spesso deriva solo indirettamente dalla tutela della proprietà intellettuale. Ciò determina notevoli rischi per le aziende, infatti nel corso del 2013 circa il 25% di esse hanno subito almeno un furto di informazioni.
L'obiettivo della direttiva è di creare un livello minimo di protezione dei segreti commerciali da acquisizioni, usi e diffusioni illegali, stabilendo definizione, procedure e sanzioni, così incoraggiando l'innovazione e gli investimenti nelle imprese europee. Lo scopo della regolamentazione è ovviamente di favorire la competizione con le imprese non europee, e quindi con uno sguardo alla legislazione americana, laddove negli Usa i segreti commerciali sono già tutelati, in base all'Uniform Trade Secrets Act del 1979 e l'American Invents Act del 2011.
Dalla lettura del testo, nonostante vari rimaneggiamenti, appare palese l'intento di introdurre una tutela estremamente forte per i cosiddetti segreti commerciali, dello stesso tipo del quale gode il copyright, così rendendo il segreto la regola mentre gli altri diritti (es. diritto all'informazione) diventano delle mere eccezioni, tutelate se non entrano in contrasto con l'aspetto economico. La normativa è quindi piuttosto simile a quella americana.
Segreto commerciale
La definizione di segreti commerciali è abbastanza generica (art. 2). Costituiscono segreto commerciale le informazioni che hanno i seguenti requisiti:
- Sono segrete nel senso che non sono, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili a persone che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione;
- Hanno valore commerciale in quanto segrete;
- Sono state sottoposte, da parte della persona che lecitamente le controlla, a misure adeguate a mantenerle segrete nel caso in questione.
Questa definizione, che sostanzialmente ricalca quella contenuta nel TRIPs, è molta ampia, al punto da essere stata criticata perché potrebbe dare adito ad abusi. In essa possono rientrare non solo i processi di produzione, i prodotti, ma anche le informazioni come gli elenchi dei clienti e i risultati di studi (di marketing ma anche uno studio sulla dannosità di un prodotto), cioè tutto ciò che ha un valore commerciale per l'impresa. Si tratta, quindi della tutela delle informazioni commerciali relative ad un prodotto od una azienda fin quando esse hanno un valore per l'azienda stessa. In tal senso anche uno studio sugli effetti di un farmaco sono chiaramente di valore per l'azienda, anche quando rivelano possibili conseguenze negative, perchè la diffusione dello studio non farebbe vendere il prodotto.
È evidente che occorrerà una specificazione quanto meno del “valore commerciale” e di quali sono le “misure adeguate”.
L'articolo 3 stabilisce i casi nei quali il “detentore del segreto commerciale” ha il diritto di chiedere l'applicazione di misure e sanzioni per la tutela del segreto, impedendo quindi l'utilizzo o la divulgazione illecita del segreto commerciale, o per ottenere un eventuale risarcimento. Oltre varie ipotesi (furto, corruzione, ecc…) nelle quali il detentore del segreto commerciali può azionare gli strumenti previsti dalla direttiva, vi è una ampia clausola di chiusura (“(f) qualsiasi altra condotta che, in tali circostanze, è considerata contraria a leali pratiche commerciali”). È sintomatico il rimando agli usi del settore per la fissazione di una regolamentazione che finisce per incidere sui diritti fondamentali dei cittadini.
Ovviamente la direttiva considera illecito l'uso o la divulgazione di segreti commerciali ottenuti in violazione di accordi confidenziali o clausole di riservatezza.
L'articolo 4 riguarda i casi leciti di acquisizione, uso e divulgazione dei segreti commerciali. In particolare si riferisce alle ipotesi di scoperta o creazione indipendente, di reverse engineering su un prodotto lecitamente posseduto, o in casi di esercizio del diritto all'informazione. Anche qui una clausola di chiusura ritiene lecito l'uso o l'acquisizione ottenuta tramite pratiche commerciali “leali”.
Gli aspetti maggiormente problematici, e che hanno incontrato un particolare interesse anche dell'opinione pubblica, riguardano la tutela delle fonti giornalistiche (informatori) e la mobilità dei lavoratori.
Tutela degli informatori
In materia di tutela della libertà di informazione la proposta di direttiva ha cumulato numerose critiche che sono sfociate in Francia in una petizione per impedire l'approvazione della direttiva.
La direttiva include, infatti, norme a tutela degli informatori (whistleblowers).
L'articolo 4(2) estende le ipotesi relative all'esercizio del diritto all'informazione, garantendo che la direttiva non sia applicabile nei casi di divulgazione di segreti commerciali per uso lecito del diritto alla libertà di espressione e di informazione, per rivelare una condotta scorretta, un'irregolarità o un'attività illecita, a condizione che l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazione fossero necessari e che il giornalista o l'informatore abbia agito nell'intesse pubblico, per la divulgazione da parte di lavoratori o loro rappresentanti, o per proteggere un legittimo interesse.
È chiaro che l'attuazione dipenderà molto dall'interpretazione delle definizioni, in particolare poiché la norma (art. 4(2)(b)) richiede espressamente “una condotta scorretta, un'irregolarità o un'attività illecita” perché la divulgazione sia giustificata, potrebbe limitare la diffusione dei dati da parte di giornalisti. Come detto più sopra la regola è il segreto mentre l'interesse pubblico è l'eccezione, quindi la divulgazione non è illecita se giustificata dall'interesse pubblico, ma l'onere di dimostrare che l'interesse pubblico prevale sul segreto aziendale è a carico dell'informatore.
Mobilità dei lavoratori
Per quanto riguarda l'impatto sulla mobilità dei lavoratori dipendenti, occorre dire che una proposta di emendamento all'articolo 1 introduceva la possibilità di uso di informazioni, conoscenze ed esperienze onestamente acquisite dai dipendenti nel corso del loro impiego. Intesa in senso ampio tale proposta avrebbe potuto estendersi anche alle informazioni costituenti segreto commerciale, con ciò realizzando un contrasto con alcune normative nazionali (es. Inghilterra).
Il nuovo articolo 1, andando incontro alle richieste delle aziende, prevede solo che la direttiva non impedisce la mobilità dei lavoratori limitando l'uso di informazioni che non costituiscono segreto commerciale, oppure delle esperienze e competenze acquisite onestamente, e comunque si vieta l'imposizione di ulteriori restrizioni sui dipendenti rispetto al contratti di lavoro anche nazionali.
Nella seconda ipotesi (esperienze e competenze) potrebbero in teoria rientrare anche informazioni confidenziali, ma in ogni caso sarà importante verificare come verrà interpretato l'inciso “acquisite onestamente”.
L'ambito è di particolare rilievo se pensiamo che potrebbe limitare il passaggio di un lavoratore da un'azienda ad altra se i compiti sono simili e quindi il lavoratore potrebbe “approfittare” di competenze acquisite durante il precedente impiego.
La normativa non esclude, però, la possibilità di concludere accordi di non concorrenza tra datori di lavoro e dipendenti, purché in conformità delle leggi. Le clausole restrittive sono lasciate alla regolamentazione nazionale.
Conclusioni
La regolamentazione, purtroppo, appare troppo vaga e con definizioni incerte, e quindi potrebbe lasciare la porta aperta a possibili abusi. La direttiva di fatto protegge gli interessi e le informazioni commerciali, sotto un'ampia definizione di segreti commerciali, con ciò rendendo possibile impedire la divulgazione ai cittadini di informazioni di chiaro interesse pubblico. Gli esempi non mancano, dallo scandalo del vaccino Gardasil (qui la petizione di 420 medici contro il vaccino) a quello dei LuxLeaks (articolo su IlFatto), dallo scandalo dei pesticidi Monsanto (qui articolo di Repubblica) al DieselGate.
La pratica di impedire ai giornalisti l'accesso e la divulgazione di notizie riservate sui prodotti commerciali è antica, ma con questa direttiva, se impropriamente attuata, potrebbe diventare pratica consolidata a livello comunitario. Con l'articolo 8 si stabilisce addirittura che i “segreti commerciali” devono rimanere tale durante tutto il corso del giudizio azionato dall'azienda.
La direttiva ha subito modifiche nel corso delle negoziazioni. Il periodo di tutela dei segreti commerciali è stato esteso da 2 fino ad un massimo di 6 anni. Inoltre è stato eliminato l'inciso “intentionally or with gross negligence” dall'articolo che stabilisce i requisiti per l'illegittimità dell'uso o l'acquisizione del segreto commerciale, con ciò rendendo la tutela del segreto più stringente.
Infine bisogna ricordare che la direttiva stabilisce solo delle misure minime lasciando la possibilità ai singoli Stati di fissare standard di tutela dei segreti commerciali ben più forti.
In questa prospettiva la direttiva appare un chiaro tentativo di proteggere la competitività delle aziende europee, purtroppo a scapito dei diritti dei cittadini, con possibili gravi lesioni del diritto all'informazione, e ricadute sul diritto alla salute, sull'ambiente, ecc...
La direttiva, se approvata dal Parlamento, il cui voto è previsto a marzo o aprile, dovrà essere poi attuata nei singoli Stati entro due anni dall'approvazione.