Scuola, ma davvero con carta e penna si impara di più?
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Ogni volta che un nuovo strumento tecnologico entra in uso per la scrittura, si assiste al proliferare di storie e notizie che allarmano sui terribili pericoli per la specie umana derivanti dal rimpiazzare la tecnologia precedente. Quello che poi accade realmente ogni volta è che ampliamo, in base alle risorse economiche e ai bisogni del momento, la gamma degli strumenti per scrivere dotandoci di quelli vecchi e dei nuovi e arrivando, con ampi divari di opportunità, a differenziarne l’uso in base agli scopi individuali.
Proprio alcuni giorni fa è rimbalzata la notizia sullo stato di salute della scrittura tra gli studenti universitari. Un quotidiano con malcelato ardore ha titolato: "I figli di WhatsApp arrivano all'università, ma non sanno più scrivere un testo complesso".
Chissà cosa avrà pensato di un titolo del genere Nicola Grandi, il professore di Linguistica responsabile della ricerca della quale veniva diffusa la sintesi dei risultati! In 45 atenei italiani sono state raccolte le produzioni scritte, spontanee e formali, di oltre 2.000 partecipanti per analizzarle negli aspetti linguistici. La ricerca è partita dopo una lettera inviata nel 2017 da 600 professori al Presidente del Consiglio, al ministro dell’Istruzione e al Parlamento che denunciava le carenze linguistiche degli studenti che nei loro elaborati commettevano errori “appena tollerabili in terza elementare”. A ogni partecipante è stato chiesto di redigere un testo formale tra le 250 e le 500 parole in cui raccontare la propria esperienza durante il lockdown. Gli scritti, analizzati secondo numerosi parametri (tra cui lessico, sintassi e punteggiatura), presentavano in media 20 errori, la metà di punteggiatura. «L’abitudine alla scrittura in ambito informale — ha commento Grandi — sembra aver pervaso l’ambito formale. Una sorta di parlato digitato, con una assai limitata articolazione sintattica e una struttura dell’argomentazione abbastanza “spezzettata”».
Colpa di WhatsApp, dunque? La questione è molto più complessa di come è stata raccontata dai media. Dalla descrizione dello studio si evince che i testi raccolti costituiscono un campione di scrittura digitale, e dai pochi dati diffusi che il contesto culturale e di formazione (classe sociale, scuole secondarie di provenienza e numero di libri letti in un anno) ha un peso rilevante sulla qualità della scrittura dei partecipanti. Non sembra siano oggetto di analisi gli effetti del grado di alfabetizzazione digitale e della consapevolezza individuale delle regole di scrittura digitale, ma le informazioni giornalistiche sono state davvero poche.
Le campagne per la difesa della “scrittura a mano” – e, per la parte più oltranzista, della scrittura in corsivo – si propongono proprio di contrastare la degenerazione dei testi scritti, di preservarci dai cali di apprendimento e di memoria, di proteggere la crescita di bambine e bambini che iniziano il percorso di scolarizzazione e addirittura di accendere e farci usare il nostro cervello.
Si obietterà che anche la scrittura digitale è ‘a mano’, proprio come la scrittura su carta, ma nelle campagne a mezzo stampa questo dettaglio viene trascurato, probabilmente per la volontà di non citare uno strumento tecnologico, rimandando così a un’idea di scrittura con la penna come atto naturale.
Ai suoi tempi, anche l’introduzione della macchina da scrivere provocò i suoi sussulti:
Negli USA la scrittura a mano stava diventando un’arte perduta. Era il giorno delle macchine da scrivere, della stenografia, dei telefoni e dei dittafoni. […]. La scorsa settimana, un’associazione di produttori di articoli di cancelleria, con un interesse egoistico nella scrittura, ha reso pubblico un sondaggio condotto tra 600 insegnanti in tutti gli Stati Uniti. Non è stata una sorpresa per loro che il 70% delle risposte concordasse sul fatto che la calligrafia della nazione non stava migliorando, o che stava peggiorando. In molte scuole le lezioni di calligrafia sono state abolite; in altre, ai bambini viene ora insegnato a stampare, ma non a scrivere. Il tempo dei ghirigori e degli svolazzi, e degli esercizi con le braccia, sembra essere finito. (Time, 1947)
Certo si trattava comunque di una macchina ma neppure l’innocente penna biro ebbe un esordio privo di tumulti:
L’impiego della penna a sfera ha standardizzato la scrittura, l'ha spersonalizzata, spogliandola d’ogni peculiare caratteristica individuale, sia d’ordine psicologico che materiale; ha reso il segno grafico uniforme neutro incolore. (La Stampa, 1958)
All’epoca, l’'atto naturale’ dello scrivere era inteso in riferimento all’uso di pennino e calamaio, oggi alla mano che impugna la penna.
Tuttavia, la scrittura è tutt’altro che un atto naturale se si considerano i tempi necessari ad apprenderla, le forzature dei gesti da automatizzare e il fatto che non tutte le persone possono raggiungere una scrittura a penna sufficientemente fluida. Scrivere è una forma di comunicazione inventata non più di cinquemila anni fa, dai Sumeri, con i segni cuneiformi. Uno stilo fatto di canna veniva utilizzato su tavolette di argilla per incidere dei segni astratti a indicare parole del linguaggio parlato. Dalle tavolette di argilla si passò ai papiri e all’eleganza dei geroglifici egizi.
Alle sue origini, però, poche persone avevano accesso all’arte dello scrivere ed erano uomini di famiglie privilegiate. La continua evoluzione degli strumenti di scrittura ha ampliato progressivamente i segmenti di popolazione ammessi al suo apprendimento. La scrittura digitale dimostra un ulteriore avanzamento, divenendo accessibile anche a chi abbia difficoltà motorie, visive, di coordinazione.
La ricerca scientifica sulla scrittura non fornisce prove di una superiorità della scrittura a penna rispetto alla scrittura su tastiera. Affinché si arrivi a risultati affidabili e solidi, occorre che i campioni di partecipanti siano ampi e rappresentativi, che ogni studio sia replicato e che i risultati resistano alla riproduzione degli stessi esperimenti in diversi laboratori o scuole, per mano di diverse ricercatrici e ricercatori. Allo stato attuale non esistono risultati consistenti che dimostrano il detrimento che la scrittura digitale apporterebbe alle funzioni cognitive e quindi alle regioni cerebrali deputate alla scrittura.
“Non esiste alcuna scienza che dimostri che la scrittura a mano rende gli studenti e le studentesse più intelligenti”, scrive Ann Tucker nel libro del 2016 'The History and Uncertain Future of Handwriting'.“Inoltre, digitare ha chiaramente un effetto democratizzante, rimuovendo i pregiudizi inconsci nei confronti degli studenti con una grafia scadente e livellando l’aspetto della prosa per consentire all’espressione delle idee, e non alla resa delle lettere, di essere al centro della scena”.
C’è da immaginare come le persone con disgrafia o altra difficoltà di scrittura cerchino di sfuggire in ogni modo all’eco delle campagne sulla superiorità della scrittura a penna e, talvolta, si sentano costrette a nascondere in ogni modo la propria scrittura per non essere stigmatizzate.
Ann Tucker documenta come queste campagne non siano sostenute per ragioni genuinamente altruistiche: “Questa lobby affascinante ma sconcertante ci ricorda che la scrittura a mano è un business, dal momento che parte della protesta per l'"arte perduta" proviene da coloro che hanno interessi finanziari” nella produzione degli strumenti di scrittura.
Per fare un primo esempio, nel 2014 Bic, l’azienda produttrice di penne, aveva promosso la campagna per salvare la scrittura dal titolo "Fight for your write", a favore della quale si erano schierate personalità delle scienze e dell’educazione del mondo occidentale. Con la campagna di quest’anno, “La penna per ogni lato di te”, Bic promuove l’espressione delle emozioni attraverso la penna a sfera a quattro colori che permetterebbe la libera espressione di sé. In 65 anni, se ritorniamo alla citazione sopra riportata da La Stampa del 1958, la penna a sfera non solo si è affrancata da ogni pregiudizio ma ha acquisito caratteristiche psicologiche e il suo tratto è diventato a colori!
Un altro esempio è l’evento “Scuola digitale? Il valore imprescindibile di carta e penna”, tenutosi a luglio del 2023 in Senato alla presenza del ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che era “fortemente voluto e supportato da Federazione Carta Grafica”, ente che promuove altre iniziative del genere. L’organizzatore dell’incontro, l’ex senatore Andrea Cangini e attuale Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi, non è nuovo a campagne apocalittiche contro le tecnologie se si ricorda il precedente clamore contro internet, animato dal suo ‘sobrio’ libro ‘Coca web’, costellato di contenuti pseudoscientifici resi in un linguaggio scandalistico.
La situazione attuale è che nell’età adulta si scrive prevalentemente attraverso i dispositivi digitali mentre nelle scuole primaria e secondaria di primo grado si richiede l’uso quasi esclusivo della scrittura a penna. In situazioni di difficoltà di scrittura certificate, non è infrequente che risulti addirittura complicata l’autorizzazione a usare un dispositivo digitale come strumento compensativo previsto per legge.
In generale, l’insegnamento della scrittura, ad eccezione di quanto avviene in alcune classi sperimentali, resta limitato a quella a penna mentre la scrittura digitale è lasciata a pratiche autodidattiche. Introdurre l’insegnamento della scrittura digitale e delle sue regole garantirebbe universalmente l’accesso a strumenti come il controllo ortografico, la sintesi vocale o la digitazione vocale.
Secondo quanto riportato recentemente dalla ricercatrice norvegese Eivor Finset Spilling, assieme ai sui collaboratori (2023),
“Sebbene l'elaborazione cognitiva associata alla formazione di una lettera a mano sia diversa dalla ricerca e dalla pressione di un tasto della tastiera, non è chiaro se l'una sia più semplice dell'altra, ed entrambe richiedono pratica fino al punto in cui le loro richieste arrivano ai processi di livello superiori (ideativo, retorico e sintattico). Allo stesso modo, strumenti come la sintesi vocale [come feedback durante la scrittura] supportano la produzione di testi più accurati, ma i bambini e le bambine hanno bisogno di strategie per utilizzarli in modo tale da non distogliere eccessivamente l'attenzione dalla composizione”.
Nel loro esperimento Spilling e colleghi hanno confrontato lo sviluppo della composizione scritta tra cinque classi di prima primaria, in cui bambine e bambini hanno imparato a elaborare testi scrivendo a mano su carta, e altre cinque prime in cui bambine e bambini hanno imparato a scrivere digitando su un tablet dotato di un software che fornisce la rilettura di quanto scritto tramite sintesi vocale. L’apprendimento della scrittura nei due gruppi è stato monitorato nell’arco di otto mesi, valutando le narrazioni prodotte in base a una serie di criteri che comprendevano sia l’accuratezza del tratto (ortografia, spaziatura, punteggiatura), sia la raffinatezza sintattica e compositiva.
Entrambi i gruppi hanno mostrato graduali miglioramenti nella lunghezza del testo, nell’accuratezza e nella complessità sintattica e narrativa senza differenze rilevanti derivanti dallo strumento usato per scrivere. In base a tali risultati, Spilling e colleghi ritengono che “insegnare ai bambini e alle bambine a scrivere digitando (con simultaneo feedback di sintesi vocale) in una classe di prima elementare, non conferisce né vantaggio né svantaggio allo sviluppo della composizione scritta nel primo anno di apprendimento, rispetto a alunne e alunni a cui è stato insegnato a scrivere a mano con carta e matita”. I loro dati, quindi, non forniscono prove che iniziare a scrivere su un tablet peggiori l’apprendimento della scrittura e allo stesso tempo “non escludono la possibilità di un maggiore beneficio da interventi appositamente costruiti attorno alle opportunità di scrivere su un tablet” fin dalle prime classi della scuola primaria.
Ci si chiederà a chi prestare fiducia in un contesto in cui le notizie sui terribili danni della scrittura digitale e sulle formidabili virtù della scrittura a penna sono così ripetitive e urlate. L'allarmismo è difficilmente in buona fede. Inoltre, se guardiamo alla storia e all’evoluzione che ha avuto la scrittura dall’antica tavoletta d’argilla a quella digitale ci rendiamo conto che il cambiamento non è arrestabile neppure dalle aziende produttrici di carta e cancelleria. Inoltre, il buon senso nel pesare le esperienze quotidiane dirette e osservate ci permetterà di farci un’idea sugli effettivi apporti dei vari strumenti di scrittura nelle nostre vite. Si scrive così tanto, seguendo regole implicite e in base alla dimestichezza con la correzione ortografica, comunque con la giustificazione della rapidità del mezzo.
L’apprendimento della scrittura digitale richiede tempo così come quella a penna e deriva sia da progetti educativi mirati sia dai modelli di comportamento disponibili in famiglia e nella propria comunità. Attualmente, la prima alfabetizzazione a penna e quella digitale sono per lo più segregate nel periodo di scuola primaria, trovando spazio la prima in classe e la seconda fuori da essa. In età precoce, l’integrazione tra i vari strumenti di scrittura in base agli scopi e alle persone a cui è destinata la comunicazione viene appresa solo seguendo i comportamenti delle persone di riferimento che possono essere più o meno consapevoli di una tale responsabilità. Imparare a gestire i diversi strumenti di scrittura (dal prendere appunti all’invio di un messaggio d’amore) per adesso è una questione individuale, condizionata dal contesto sociale e culturale in cui si cresce. La prima alfabetizzazione integrata a scuola garantirebbe equità di accesso agli strumenti e a un loro uso costruttivo e critico, se solo non fosse rallentata dalle accorate campagne conservatrici che, esse sì, ostacolano le opportunità di apprendimento e instillano ansie.
Nel frattempo e nel ripetersi della storia, si continuerà a maneggiare strumenti diversificati per scrivere i propri pensieri e i propri innamoramenti attraverso lunghi testi complessi o brevi messaggi con segni pittografici e muovendo armoniosamente impugnature e tocchi su superfici multiformi.
Immagine in anteprima: Brad Flickinger, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons