La scuola che vorremmo vedere nei programmi elettorali (spoiler: non c’è)
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“Nel 2032 (...) mi immagino uno scenario diverso dall’oggi. Finalmente sono stati risolti tutti i problemi di selezione e formazione dei docenti: abbiamo docenti non precari, esperti sia di endecasillabi danteschi che di gestione e cura dei processi di apprendimento. Finalmente è finita quella teoria che impone la formalizzazione dell’apprendimento in “classi” e “aule” costruite sul modello del libro Cuore. (...) Si lavora in ambienti curati, colorati ed ergonomici, sia dentro che fuori, a classi aperte, con ogni alunna/o che segue le proprie passioni ed emozioni. I docenti guidano e favoriscono curiosità e ricerca. (...) L’insegnamento non è più basato sull’apprendimento meccanico, sulla trasmissione del principio di autorità, ma sull’esaltazione della libertà: si insegna a trasgredire, l’educazione è pratica di libertà e di pensiero critico”.
Questa la scuola vista da Carmelo Adagio, dirigente molto amato dell’Istituto comprensivo di Gaggio Montano, le scuole ‘della montagna’, in provincia di Bologna, su in Appennino, in un contributo pubblicato all'inizio dell'anno su Il Resto del Carlino. Adagio, con un dottorato in storia contemporanea, diversi anni di ricerca alle spalle e di impegno politico nel contesto bolognese, aveva abbracciato il suo percorso di docente e poi di dirigente con immensa passione e con la voglia di cambiarla, quella scuola, per mettere al centro sempre i bambini, le bambine, le ragazze, i ragazzi. E così, nel mezzo della pandemia, si era fatto promotore della scuola all’aperto, coinvolgendo sindaci e comunità a mettere a disposizione spazi, e tavoli, e strutture per poter continuare a fare scuola senza stare chiusi in aule che aumentavano il rischio di contagio. Carmelo Adagio, improvvisamente morto nei primi giorni di questo anno scolastico, era uno dei protagonisti attivi di quella comunità educante, che vede al lavoro molti dirigenti e insegnanti, che non si dà per vinta e che, nonostante la mancanza di risorse e di visione da parte delle istituzioni che sulla scuola fanno calare decisioni spesso faticose e raramente utili, continua a lavorare per renderla, la scuola, un luogo aperto, di passione e libertà, di possibilità, di crescita e di uguaglianza. Una comunità educante che non riunisce però al suo interno, purtroppo, l’intero mondo della scuola, abitato anche da persone a volte disilluse, a volte disinteressate, a volte non motivate o banalmente non adeguate. Ma, soprattutto, una comunità educante che è spesso trascurata, non supportata né capita e troppe volte addirittura maltrattata da altri pezzi di società, in primis appunto dalla politica che alla scuola continua a sottrarre risorse e attenzione.
E infatti la scuola è la grande assente, anche stavolta. A pochi giorni dal voto, se andiamo a leggere e studiare i programmi politici, il mondo della scuola viene considerato in due modi contrapposti e altrettanto poco utili. O entra di striscio, citata en passant, relegata a qualche riga frettolosa e poco circostanziata, oppure finisce in un profluvio di proclami accompagnati da poche idee, piuttosto confuse, che poco dicono sulla strada che davvero si intende percorrere. Perché quando per parlare di scuola si finisce a discutere di massimi sistemi immaginando di cambiare l’intero ordine mondiale facendo leva sulla forza bruta di una manciata di seggi in parlamento, nei fatti si finisce con il fare comunque un errore di valutazione e di comunicazione, stare nel vago e non indicare percorsi concreti e attuabili. Perché un programma politico deve sì tracciare l’orizzonte teorico, valoriale, etico al quale quel partito fa riferimento ma deve, anche e soprattutto, indicare concretamente che cosa quel partito intende fare una volta portati i suoi candidati in parlamento. Rispetto a quanto fatto finora, allo stato dell’arte.
Certo, in quanto a carenza di idee, la scuola è in buona compagnia in questa campagna elettorale, così priva di attenzione ai temi che dovrebbero essere al centro delle discussioni politiche. Crisi climatica? Crisi ecologica? Ruolo centrale della ricerca scientifica? Citati, sì, perché sarebbe davvero impossibile non farlo. Ma, come per la scuola, la sensazione è che ci si ponga, nei confronti dei propri elettori, come di fronte a un pubblico credulone, privo di interessi e di problemi, privo di visioni, privo della capacità di decifrare quella carenza di intenti e di proposte. In altre parole, la lettura dei programmi è un’operazione che rende molto evidente la scarsa conoscenza che la classe politica ha delle persone, delle comunità, dei reali bisogni e del loro grado di conoscenza e competenza rispetto a questi.
È perfino banale dover sottolineare perché questa ennesima rimozione del problema scuola sia così grave. La scuola è fondamentale per lo sviluppo democratico di un paese, ma per assolvere a questo ruolo deve essere in buona salute, deve funzionare. E la scuola italiana è in grande, immensa e perenne crisi. Soffre dentro e fuori, come abbiamo molte volte raccontato anche qui su Valigia Blu.
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Dal punto di vista dei luoghi fisici, in larga parte ancora insicuri, inadatti, improntati, come diceva Adagio nel suo contributo, a una visione di scuola vecchia e ormai ampiamente superata. La stragrande maggioranza dei quasi 50mila edifici che ospitano circa 8 milioni di persone tutti i giorni, tra studenti, docenti e amministrativi, non hanno sistemi adeguati di ricambio d’aria, hanno innumerevoli fragilità, in molti casi non hanno nemmeno i sistemi di sicurezza di base come i certificati antincendio. Mancano i laboratori, le palestre, le mense. Mancano le connessioni veloci, i computer, i tablet. Per ognuno di questi aspetti abbiamo raccolto più volte i dati, mostrandoli e commentandoli, anche qui su Valigia Blu, in molteplici occasioni.
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Ma poi le scuole soffrono anche e soprattutto di una crisi strutturale. C’è una classe docente tra le più anziane e sottopagate d’Europa (i dati OCSE fotografano, anno dopo anno, una situazione impietosa), con un percorso formativo continuamente messo in discussione ma mai riorganizzato in modo chiaro; concorsi fantasma e altri che si tengono con modalità a dir poco bizzarre, che basta frequentare un po’ i forum e i gruppi di discussione degli insegnanti online per capire quanto sia difficile persino capire su cosa prepararsi. Modalità di assegnazione delle cattedre che in confronto il Processo di Kafka pare un raccontino scialbo. I dati ci dicono anche che, con più di due anni di scuola al tempo del Covid alle spalle, abbiamo un aumento di divario molto consistente per quanto riguarda le cosiddette povertà educative. Un incremento netto e continuo delle disuguaglianze sociali ed economiche nel paese non aiuterà certo a ridurre queste povertà. E la scuola, al di là degli enormi sforzi messi in campo da molti docenti e dirigenti, non ha né le risorse né le competenze per riuscire a gestire da sola il problema e anzi, in molti casi, finisce con il contribuire ad allargare la distanza tra chi ha accesso a un percorso formativo che risponde ai suoi bisogni e chi deve accontentarsi di quello che c’è, magari non adeguato, raramente rispondente a necessità e aspettative.
Insomma, proprio perché la pandemia ha mostrato quanto le scuole italiane siano in difficoltà ci saremmo aspettate, avremmo sperato di vederla messa al centro dei programmi politici. E invece no, come vi raccontiamo qui di seguito.
La scuola nei programmi elettorali. Un’analisi fatta con strumenti collaborativi
Per vedere cosa propongono sulla scuola le varie formazioni politiche, abbiamo usato due strumenti molto utili, che dimostrano la potenza della collaborazione nel contesto informativo. Il primo è una collezione Pinpoint organizzata da Slow News. Uno strumento che mette a disposizione dei giornalisti una raccolta di documenti, dai programmi depositati e non, ai curricula e ai casellari dei candidati, agli statuti e altri materiali, in una collezione che può poi essere analizzata per parole chiave, nomi propri, tipo di documenti o regioni di appartenenza.
Il secondo è invece un database costruito e messo insieme dall’associazione OnData che lavora per promuovere una cultura dei dati aperti. Si tratta di un repository su github in cui OnData ha raccolto tutti i programmi, anche qui sia quelli depositati che quelli estesi che si trovano sui siti dei partiti e che spesso sono più elaborati e completi. Il repository poi può essere analizzato attraverso un altro strumento open access, DocumentCloud, che permette anch’esso di fare una ricerca e analisi comparata per parole chiave. Entrambi gli strumenti sono di grandissima utilità e dimostrano che il lavoro cooperativo, nel giornalismo e nel tentativo di produrre una informazione data-based solida e basata sui documenti disponibili e non sulle opinioni, può enormemente beneficiare dalla messa in comune di risorse, competenze e anche voglia di approfondire. Nel nostro caso, abbiamo lavorato con entrambi anche per testarli e capirne le potenzialità.
Facendo dunque una ricerca capiamo, anche visivamente dato che navighiamo nei documenti originali, lo spazio che i diversi programmi elettorali dedicano al settore istruzione nel nostro paese. Siccome entrambi gli strumenti consentono un accesso aperto, anche se nel caso di pinpoint è necessaria la registrazione con email e invece con il repository GitHub questo passaggio non è richiesto, potete verificare anche direttamente i contenuti, che qui di seguito proviamo a mettere a confronto. Abbiamo scelto di includere nell’analisi i programmi delle formazioni principali, che in virtù dei numeri potrebbero avere la chance anche solo di proporre concretamente, nei lavori parlamentari, la realizzazione delle proprie proposte. Ci sono però anche proposte specifiche sulla scuola da parte di qualche formazione numericamente più piccola e dunque vi invitiamo a dare comunque un’occhiata ai documenti originali che potete accedere dai link indicati qui sopra.
Brevissimo interludio. Riprendendo un tema che anche qui su Valigia Blu è stato più volte trattato, OnData evidenzia la scarsa adeguatezza del modo in cui i programmi vengono resi disponibili. I documenti depositati a inizio settembre erano 32, per 35 partiti iscritti nelle liste ministeriali, quasi tutti in pdf, formato non leggibile dai programmi di analisi e ricerca e che ha dunque richiesta l’applicazione di OCR per abilitare la ricerca testuale. “È un bruttissimo segnale - sottolinea OpenData - che il 75% dei programmi consegnati da partiti, movimenti o gruppi politici al Ministero dell'Interno non abbiano il testo leggibile. Sia dal lato di chi consegna, sia dal lato di chi riceve, che dovrebbe pretendere dei documenti senza alcuna barriera, garantendo l'accessibilità, nel rispetto dei diritti di cittadinanza digitali.”
Nel merito, la scuola che i partiti ci propongono com’è?
Alleanza Verdi e Sinistra
Questa è la formazione, tra quelle che partecipa alla competizione elettorale, che più dedica spazio alla scuola. Si tratta di tre pagine su 38 di programma, in una sezione che si intitola “Sapere è democrazia”. Una sezione che comunque arriva a pagina 23, preceduta dai capitoli sulla protezione degli animali, dalla difesa dei centri storici e della bellezza e da altri temi.
La prima parte del capitolo scuola è un’ampia digressione teorica, sistematica, che inserisce la riflessione sulla scuola all’interno di un quadro di critica da un lato all’autoritarismo crescente e dall’altro al rapporto tra libertà e capitalismo globale. Seguendo il filo della critica al PNRR e alle scelte del governo in carica, il programma dichiara che “La formazione e la ricerca, la loro libertà, la qualità e le finalità che le orientano sono una grande questione democratica. Sono, anzi, componente essenziale delle democrazie, in un'era in cui, all’inizio di un secolo e di un millennio, assistiamo alla loro profonda crisi, al consolidarsi di una loro involuzione autoritaria (che guerra e riarmo non possono che accelerare), ad un pericoloso mutamento del rapporto tra libertà e capitalismo globale. Occorre ribaltare la funzione prevalentemente produttivistica del sapere, nel linguaggio come nella sostanza.” Si fa appello dunque a una scuola “plurale, aperta, partecipata, in cui ogni individuo possa riconoscere le proprie aspirazioni e le proprie potenzialità”, sottolineando che la scuola deve tornare a essere vettore di mobilità sociale e non cristallizzatore o moltiplicatore delle disuguaglianze sociali.
Ci sono anche indicazioni più precise. Per esempio la necessità di coinvolgere il mondo della scuola nei processi di riforma e cambiamento perché non può essere oggetto di “provvedimenti imposti dall’esterno”. In linea con la premessa, c’è un esplicito riferimento alla necessità di svincolare il percorso formativo dalle esigenze del mercato e dalla visione aziendalistica della formazione. E per questo, il programma propone di abolire l’attuale legge sull’alternanza scuola-lavoro, di aumentare gli organici e riportare sia i progetti formativi che i sistemi di valutazione dentro alla scuola e ai suoi organi collegiali.
Il documento poi parla esplicitamente di una proposta di legge che in sintesi preveda una serie di cambiamenti piuttosto consistenti: riduzione del numero di studenti per classe a un massimo di 15; recupero di spazi pubblici per nuove aule; estensione del tempo pieno in tutto il paese e, “tra l’altro”, dell’obbligo scolastico ai 18 anni. Per ottenere questi primi risultati, l’Alleanza chiede di abrogare il decreto Tremonti del 2008, quello che sta dietro la riforma Gelmini, che ha ridotto le risorse e il numero di insegnanti e, di conseguenza, ha aumentato il rapporto alunni/docente.
In continuità con la proposta di più scuola, più spazi, classi meno numerose, il programma prevede anche di rendere totalmente gratuito l’intero percorso formativo, dal nido all’Università, per chiunque, riportando il diritto universale al sapere a carico della fiscalità generale. Il patto intergenerazionale viene espressamente citato per sottolineare l’importanza di questo impegno e nel ricordare la necessità di mettere al centro gli alunni e le alunne, si indicano anche il superamento della valutazione numerica e la realizzazione di una pedagogia critica dell’era digitale, non meglio specificata e francamente piuttosto oscura. Un tema chiave sollevato da Verdi e Sinistra è il fatto che a scuola si realizzi una disparità, una disuguaglianza profonda tra i ragazzi con cittadinanza italiana e quelli ai quali, nati nel nostro paese ma da genitori stranieri, il diritto di cittadinanza è negato.
Si parla poi espressamente di mettere più risorse nelle scuole che sono maggiormente in difficoltà, e non su quelle già forti, capaci di accedere a fondi e progetti. E contestualmente di assumere un numero (imprecisato) molto più ampio di docenti a tempo indeterminato stabilizzando “coloro che insegnano precariamente da più tempo”. Molti più insegnanti, dunque, non si sa quanti, ma soprattutto scelti in base all’anzianità di servizio o di precariato senza alcun riferimento alla competenza e preparazione. Per fare questo, dicono Verdi e Sinistra, è necessario alzare gli investimenti pubblici in scuola portandoli al 6% del PIL, in linea con la media europea. I numeri non tornano del tutto (la media UE è in realtà più bassa, attorno al 5%) ma la sostanza è che l’Italia ha drasticamente ridotto i suoi investimenti, soprattutto dal famoso 2008 in poi, e oggi si attesta sul 3,8% del PIL in istruzione. Un dato che da solo indica tutta la distanza da colmare. Verdi e Sinistra sostengono che sia necessario “Abbandonare la logica del risparmio che ha contraddistinto tutti i recenti provvedimenti in materia di assunzione e reclutamento del corpo docente” auspicando una riforma che garantisca invece percorsi lineari e costanti per un lavoro stabile e una formazione rigorosa, seria e gratuita.
Quello che non troviamo nel programma sono indicazioni su come e dove si possano trovare queste risorse. Si fa appello a una unità del sistema educativo nazionale, contro la frammentazione originata dall’autonomia differenziata ma non è chiaro come questo sia raggiungibile anche solo in linea teorica. Altrettanto genericamente, si parla di investimenti in sicurezza ed edilizia, che - detto per inciso - fanno capolino in molti programmi come vedremo e che - sempre per inciso - entrano nei proclami di impegno sulla scuola da più di un decennio senza che davvero siano stati fatti progressi consistenti al di là di una serie di interventi su una manciata di scuole, poche migliaia, che nel conteggio totale sono più l’eccezione che la regola.
Movimento 5 Stelle
In linea con una comunicazione sempre diretta e portata talora a una certa oversemplificazione dei discorsi, il programma del movimento è organizzato a box grafici, con diversi slogan sui vari temi, a partire dal titolo dell’intero documento “Dalla parte giusta - cuore e coraggio per l’Italia di domani”. La strategia del Movimento è quella di mettersi “Dalla parte di…” oppure “Per…” e dunque di indicare una serie di azioni dirette in favore delle diverse necessità e richieste della società. A pagina 10, troviamo il riquadro “Per la formazione” che ha come slogan “Scuola, università e ricerca sono le fondamenta della nostra società”. Seguono sei punti programmatici, tre per la scuola e tre per il mondo dell’Università. Per quanto riguarda la scuola, si propone di “adeguare gli stipendi degli insegnanti a livello europeo”, in linea dunque con quanto indicato dall’Alleanza Verdi e Sinistra. Si parla poi di “Benessere a scuola” con una indicazione precisa, che è quella di “portare più psicologi e pedagogisti a scuola per fornire sostegno alla comunità scolastica”. Infine, si sostiene l’introduzione di una non meglio circostanziata ‘scuola dei mestieri’ per ‘recuperare la tradizione dell’artigianato italiano’ senza però alcun riferimento né alle esistenti scuole tecniche né a quelle professionali, che invece vedremo citate in altri programmi. Gli altri tre punti riguardano l’università, dove pure si parla di aumento dei fondi, di riduzione del numero chiuso e poi di accesso aperto ai risultati delle ricerche, ma senza descrivere o definire nessuna di queste tre proposte oltre lo spazio di una riga. Non ci sono ulteriori spiegazioni e non si capisce se queste, nella testa di chi ha scritto il programma, siano altrettante proposte di legge o di riforma o rimangano dichiarazioni di principio.
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista
Anche il Partito Democratico dedica alla scuola un certo spazio, pur mettendola comunque a pagina 18 di 24. Per la verità, la dichiarazione di intenti sulla necessità di investire “nella scuola e nell'istruzione universitaria e professionale, strumenti di emancipazione e riscatto delle persone e ossigeno per l'intera società” viene fatta già nelle prime pagine del programma, ma poi l’analisi del quadro di riferimento valoriale etico-politico così come delle proposte più concrete arriva nella sezione “Conoscere è potere: scuola, cultura, socializzazione”. Il punto chiave del discorso è l’idea che la scuola torni al centro e al mestiere di insegnante venga restituito “il ruolo di dignità e centralità che merita, garantendo una formazione adeguata e continua” e riportando - indovinate! - “gli stipendi in linea con la media europea.”
Partendo dalla considerazione che la scuola e le infrastrutture sono sociali nel contrastare le disuguaglianze, vengono espressamente citati dati che dimostrano come nel Sud gli studenti facciano meno ore di scuola, per assenza dell’offerta di tempo pieno, e abbiano meno accesso a palestre e mense. La scuola - si dice dunque - accompagni tutti i genitori, le bambine e i bambini dai primi anni di vita. Da qui l’idea di rendere obbligatoria la scuola d’infanzia, gratuita per tutti. Continuando sulla linea dell’idea di una scuola che non discrimini, il programma propone anche l’istituzione di un Fondo che sostenga le spese per tutte le altre attività che integrano l’aula: gite scolastiche; attività musicali; viaggi studio; attrezzature e attività sportive. Se fin qui il ragionamento fila, viene poi inserita in questo stesso paragrafo una proposta un po’ appesa: quella di usare l’orientamente per “incentivare le ragazze nella scelta delle materie STEM”.
A questo punto però il programma prende una infilata che risulta difficile riportare sul piano della concretezza: siccome ‘lo spazio è un terzo educatore’, si parla della creazione di ambienti di apprendimento sostenibili, accessibili, sicuri, innovativi, con promozione di incontro tra le scuole (che però solitamente hanno tutte problemi di spazio…). E da qui si vola alto: trasporto locale gratuito e libri scolastici gratuiti per le famiglie a medio e basso reddito; mense gratuite per tutti i bambini e le bambine; accesso gratuito ai servizi psico-pedagogici per studenti di medie e superiori con equipes multidisciplinari presenti in tutte le scuole… Ora, non è chiaro come si possa passare dalla scuola attuale, con 7 milioni di studenti ammassati in aule inadeguate e non aerate e con carenza di insegnanti e totale assenza di servizi a questa scuola da mondo ideale. Anche perché, va sottolineato, il Pd non è stato esattamente all’opposizione negli ultimi 20 anni e nessuna di queste proposte è stata messa a terra nemmeno negli anni in cui ha governato direttamente. Certo finora non avevamo un PNRR cui attingere. E infatti, mentre l’Alleanza Verdi e Sinistra espressamente critica l’adozione del PNRR anche nella sezione dedicata alla scuola perché lo accusa di aumentare le disuguaglianze tra scuole e tra territori, il programma del PD al contrario lo indica come “strumento chiave nella liberazione delle risorse per la transizione ecologica, la digitalizzazione del Paese, la mobilità sostenibile, l’istruzione e la formazione, il potenziamento delle infrastrutture sociali, la tutela della salute”.
Allontanandosi dalle posizioni del PD, il programma di +Europa che pure fa parte della coalizione di centro sinistra, propone invece un’idea di scuola che è decisamente più rispondente al mercato. Per esempio, si menziona esplicitamente la necessità di ridurre il disallineamento tra domanda e offerte di competenze di Scuola, Università e mondo del Lavoro attraverso la creazione di un canale unico di Istruzione e Formazione Professionale (IcFP).
Azione, Italia Viva con Calenda
La natura imprenditoriale e di ispirazione liberale della formazione guidata da Renzi e Calenda è molto evidente anche nella parte dedicata alla scuola. In primis perché invece del valore intrinseco di una scuola pubblica universale si fa esplicitamente riferimento alla libertà di scelta educativa tra statali e paritarie. Tirando in ballo addirittura una “rivoluzione copernicana nel modo di governare le politiche scolastiche”, il programma propone di passare dal concetto di autonomia scolastica a quello di scuole realmente autonome. La famiglia sceglie dove far studiare la prole, lo Stato si tiene l’“imposizione di standard di qualità che definiscano un’offerta qualitativamente uniforme”. E per poter realizzare questa “libertà di scelta educativa” vanno messi in campo strumenti di sostegno economico (buono scuola, rimborsi fiscali, costo standard...) che consentano a tutti di poter scegliere l'educazione dei propri figli senza limiti dovuti agli ostacoli economici.
Nel capitolo Scuola, Università e Ricerca, che si trova a pagina 22 di 52, citando esplicitamente le pessime performance del nostro sistema scolastico in tutti i sistemi comparativi con gli altri paesi e l’alto tasso di abbandono, il programma esplicita che “Dobbiamo recuperare efficacia e offrire ai giovani concrete prospettive di crescita culturale e professionale. Ci sono tutti gli strumenti per dare a ogni intelligenza e talento la propria strada.” Similmente agli altri partiti di sinistra e centrosinistra, viene fatta la proposta di innalzare l’obbligo scolastico fino ai 18 anni e di adottare il tempo pieno per tutti, ma con una proposta di riordino dei cicli scolastici in allineamento con gli standard europei: 12 anni di scuola, con ingresso all’università ai 18 anni, per non perdere opportunità in confronto ai colleghi degli altri paesi. Nei fatti, sottolineano Azione e Italia viva, lo spazio di apprendimento sarebbe poi recuperato attraverso una estensione del tempo pieno in tutte le scuole primarie. E per farlo, ci sarebbe anche l’introduzione del diritto alla mensa e di sussidi per le famiglie meno abbienti.
Punto centrale della proposta di Azione e Italia Viva sulla scuola è quella di una sua funzionalità al mondo produttivo. Non solo il programma sottolinea la necessità di promuovere la formazione professionale sul campo attraverso l’alternanza scuola-lavoro per favorire le piccole e micro-imprese artigiane. Ma va oltre, proponendo di allineare le scuole professionali a quelle tecniche, con l’idea di migliorarne le performance, e introducendo “professionisti nelle scuole tecniche e professionali a fianco dei docenti che seguono percorso classico di reclutamento”, come strategia per rappresentare un legame concreto con il mondo del lavoro. Quello che ci pare chiaro qui manchi è un’analisi del perché le scuole professionali italiane siano finite con il diventare un bacino di situazioni difficili, critiche, e ad alto rischio di dispersione. Non si fa accenno minimamente ai meccanismi di orientamento scolastico che indirizzano i ragazzi alle diverse scuole, non solo e non sempre in base alle capacità espresse nel corso della scuola media ma anche in base a considerazioni di natura sociale, economica, di ‘posizionamento’ della famiglia. E dunque si propone una soluzione del tutto esterna senza capire e spiegare perché queste scuole soffrano più di altre. Un tema che da solo meriterebbe un approfondimento a parte, ma che certo non si risolve inserendo un paio di professionisti nell’organico né ‘allineando i percorsi’ a quelli degli istituti tecnici.
Un punto interessante e di differenza con i programmi dell’Alleanza Verdi e Sinistra e del PD è l’idea di usare tutti i dati a disposizione, inclusi quelli degli Invalsi e dei tassi di occupazione nei diversi territori, per fare una mappatura delle aree di crisi intesa come strumento di superamento delle disuguaglianze. Come questa mappa dovrebbe essere usata però non è chiaro. Si parla anche di riconoscimento di un incentivo economico ai docenti che permangono per più di un anno in una scuola “ad alta concentrazione di studenti a rischio di abbandono e con tassi di dispersione superiori alla media nazionale”. Ci permettiamo di sottolineare che un meccanismo di questo tipo rischia di innescare una girandola di docenti motivati dal rimanere nella scuola più a rischio solo per il tempo necessario a prendere l’incentivo e non per quello utile a mettere in campo una strategia efficace contro la dispersione scolastica.
Si parla poi - come non farlo! - dei precari, il cui numero andrebbe riportato sotto una soglia fisiologica, non meglio specificata. Oltre alla firma del contratto scaduto, il programma propone di prevedere il riconoscimento delle figure di ‘middle management’ e cioè delle competenze e professionalità che affiancano i dirigenti nelle varie mansioni e funzioni. Non manca un riferimento alla necessità di avere classi meno numerose. E ovviamente c’è il richiamo della necessità di parlare di edilizia scolastica, e dunque si promette una “riqualificazione in 10 anni di tutte le scuole, con un generale ripensamento dell’edilizia scolastica (spazi per diverse attività, etc),” sic et simpliciter.
Lega Salvini - Fratelli d’Italia - Forza Italia
Sono otto i punti dedicati alla scuola nel programma della formazione di centrodestra. Otto righe e poco più, mezza pagina in tutto. Non mancano nemmeno qui piani per “l'eliminazione del precariato del personale docente e investimento nella formazione e aggiornamento dei docenti” e ovviamente quelli per l’”ammodernamento, messa in sicurezza, nuove realizzazioni di edilizia e scolastica e residenze universitarie”. Ma i punti che maggiormente esplicitano e rendono chiara l’idea di scuola di questa formazione politica sono altri. Ci si chiede se attuare un buono scuola per riconoscere la libertà di scelta educativa. E poi si menziona l’intenzione di “Rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico” e di promuovere un “Maggiore sostegno agli studenti meritevoli e incapienti”. Insomma, siamo lontani dalla scuola universale e pubblica e gratuita per tutti e anzi si ragiona molto in termini del valore delle esperienze individuali legate all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
La Lega poi è andata oltre, producendo un programma di 202 pagine, non disponibile sul sito ministeriale (dove il programma depositato è ben più corto) ma in quello del partito stesso. In questo secondo documento, Matteo Salvini, parla esplicitamente di scuola in presenza, di docenti formati in didattica generale e speciale, pedagogia generale e speciale rivolta ai bisogni educativi speciali, pedagogia sperimentale, didattica disciplinare, laboratori pedagogico-didattici. Ma la riflessione si sposta poi su questioni valoriali ed ecco la chiamata per uno “Stop alla propaganda a scuola” laddove si parla di progetti relativi a bullismo, educazione all'affettività, superamento delle discriminazioni di genere e di orientamento sessuale, pari opportunità, dispersione scolastica, educazione alla cittadinanza e alla legalità e ogni altra iniziativa che coinvolga l'ambito valoriale e dell'educazione sessuale. In tutti questi casi, dice Salvini, deve esserci l'esplicito e libero assenso dei genitori o di chi ne fa le veci! Ah, dimenticavamo. Anche la Lega, ovviamente, è per il superamento del precariato!
E dunque, alla fine…
Non abbiamo ancora citato il programma di Possibile, la formazione fondata da Pippo Civati, che è entrata nell’Alleanza Verdi e Sinistra ma ha comunque un suo programma autonomo anche se non depositato in sede ministeriale. In realtà, Possibile è il partito che sulla scuola fa il discorso più visionario. Non solo perché lo vincola ai principali temi di attualità contemporanea, per cui la scuola viene chiamata, simbolicamente, “La scuola di Greta”, in riferimento naturalmente alle lotte di Greta Thunberg e all’idea che a scuola anche gli ambienti dovrebbero certificati come sostenibili, grazie a sistemi di risparmio energetico ed ecosostenibilità. Ma anche perché Possibile immagina una scuola dove le istanze ambientali sono fortemente connesse con quelle sociali, culturali, perfino economiche.
Si tratta, in questa visione, di una scuola che “salva il mondo” e non semplice “anticamera del mercato del lavoro”. Al contrario, la scuola è il luogo “in cui l’intera comunità educante immagina e produce il futuro”. È una scuola “inclusiva e che rispecchia il modello di società che vogliamo costruire, dove nessuno si senta cittadino di serie B. La scuola è ripensata negli spazi, nella didattica, nella formazione per valorizzare le molteplici intelligenze e ogni tipo di bisogno educativo.”
Al di là delle differenze più o meno marcate, su due punti, potremmo quasi dire, sono tutti d’accordo: niente più precari nella scuola, tutti assunti e con uno stipendio più alto, e scuole messe in ordine dal punto di vista architettonico, della sicurezza e di gestione degli spazi in tutto il paese. Dovrebbe essere una buona notizia, perché al di là di chi prenderà in mano il governo del paese queste misure potrebbero essere votate praticamente all’unanimità, a giudicare dai programmi. È chiaro però che tra gli intenti dichiarati e la realtà ci sono di mezzo i soldi, e nel caso delle proposte contenute dai programmi, ne servirebbero molti. La rivista Tuttoscuola, ad esempio, ha fatto una serie di calcoli, per stimare quali costi aggiuntivi dovrebbero essere messi sul comparto scuola per realizzare anche solo alcune di queste promesse, come l’estensione del tempo pieno a tutti e tutte e l’obbligo di frequenza della scuola materna con accesso alle mense. Si arriva a calcoli che stanno tra i 12 e i 15 miliardi all’anno, almeno come ordine di grandezza. Una cifra considerevole, considerato che la spesa pubblica annua italiana su tutti i comparti sta attorno agli 800 miliardi e quella dedicata all’istruzione, nell’ultimo decennio, è tra i 60 e i 70 miliardi l’anno. Immaginare dunque che il budget dedicato alla scuola venga alzato del 15-20% sembra davvero difficile.
Ci piacerebbe, assieme a Carmelo Adagio, immaginare una scuola molto diversa da qui a 10 anni. Duole dire però che siamo abbastanza pronti a scommettere che così non sarà. E che alle elezioni del 2032 ci troveremo nuovamente qui, a spulciare i programmi elettorali senza aver ancora visto molte di quelle innovazioni e cambiamenti prendere davvero piede e realizzarsi. A meno che…
Immagine in anteprima: Tommasopaiano, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons