Come il ministero dell’Istruzione vuole contrastare la dispersione scolastica
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Aggiornamento 6 luglio 2022: Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha firmato il decreto che stanzia i primi 500 milioni per interventi sulla fascia 12-18 anni. A questo primo step, seguiranno altre due tranche di finanziamento, la prima dedicata a favorire l’acquisizione di un diploma ai giovani che hanno abbandonato precocemente gli studi, mentre con la seconda saranno attivati progetti per il potenziamento delle competenze di base per superare i divari territoriali e anche alcuni progetti nazionali nelle aree più periferiche delle città e del Paese. Con i primi 500 milioni verranno finanziati progetti in 3.198 scuole, che riceveranno direttamente i fondi, senza procedere attraverso bando.
Alcuni membri del gruppo di lavoro attivato dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, hanno contestato pubblicamente la modalità con cui sono stati distribuiti i fondi, arrivando a scrivere una lettera al ministero in cui invitano il dicastero a rivedere i criteri di attribuzione dei fondi. Tra questi, la sociologa Chiara Saraceno, che ne ha parlato su La Stampa, e Marco Rossi Doria, intervenuto su Avvenire e sulla sua pagina Facebook per dire che i criteri utilizzati per l’assegnazione delle risorse, “hanno escluso molte scuole di quartieri difficili, con un decreto che assegna le risorse ma non definisce il chi, il cosa e il come usarle”. Anche alcuni sindacati della scuola, come la Flc Cgil, hanno parlato di "interventi a pioggia”.
Intervenuto alla presentazione del rapporto Invalsi, Bianchi ha però difeso l’intervento del ministero e ha parlato di “polemiche ingiuste”. “Abbiamo ragionato nell'ottica dell'autonomia. Ci è stato consigliato di non fare bandi per uscire dalla rigidità del sistema e mobilitare direttamente sul territorio le varie scuole. L'autonomia è responsabilità". Bianchi ha poi aggiunto che se “ci sono situazioni ultra critiche che sono in quartieri difficili si faranno interventi specifici. Partiremo dai dati Invalsi, che intervengono sull'intera popolazione”.
Nel 2020, l’anno in cui è scoppiata la pandemia da COVID-19, l’Italia ha registrato una delle percentuali di abbandono scolastico più alte d’Europa: il 13,1% dei giovani ha lasciato prematuramente il suo corso di studi senza raggiungere la licenza superiore. Percentuali maggiori si sono registrate solo in Romania (15,6%), Spagna (16%) e Malta (16,7%), a fronte di una media europea del 9,9%. L’andamento era stato lentamente positivo: dal 2011, anno in cui la dispersione scolastica aveva toccato il 17,8%, il fenomeno è andato a ridursi, pur continuando a essere ancora molto più rilevante rispetto a Germania (10%) e Francia (8%). L’abbandono scolastico, quindi, non è un’ emergenza nata con la COVID-19, ma come altre problematiche del settore istruzione (sovraffollamento delle aule, scarso uso degli strumenti digitali) che la pandemia ha enfatizzato.
Il PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, destina 1,5 mld a interventi straordinari che serviranno per ridurre i divari territoriali nella scuola di secondo grado. E per individuare le linee guida da mettere a disposizione delle scuole, il ministero dell’Istruzione ha istituito un Gruppo di lavoro che “definirà le indicazioni generali per il contrasto alla dispersione e il superamento dei divari territoriali”.
Il compito del Gruppo di lavoro, quindi, è “elaborare un documento che integri saperi e competenze diverse e che dia al ministero un indirizzo su come agire per iniziare a superare i divari e utilizzare al meglio quei fondi”, spiega a Valigia Blu Marco Rossi Doria, insegnante, ex sottosegretario all'Istruzione e membro del Gruppo. Ne fanno parte, insieme a lui, Ludovico Albert; Franco Lorenzoni; Massimiliano Morelli; Andrea Morniroli; Massimo Nutini; Vanessa Pallucchi; Don Marco Pagniello; Chiara Saraceno e Valentina Scavone.
"Stiamo lavorando, e in tempi molto stretti produrremo un documento di indirizzo che dia un segnale sia alle scuole che al terzo settore: un modello che indichi un intervento sistemico nelle aree più fragili del Paese", aggiunge Rossi Doria, che è il presidente dell’Impresa sociale Con i Bambini, impegnata dal 2016 ad attuare i programmi del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
Il problema dell’abbandono scolastico, infatti, è strettamente correlato ai divari territoriali che attraversano il paese; primo fra tutti quello fra Nord e Sud della Penisola. Se al Centro-Nord troviamo dati in linea con i paesi del nord Europa (Emilia-Romagna 9,3%; Molise 8,6%; Friuli Venezia-Giulia 8,5%; e Abruzzo 8%); al Sud invece le percentuali toccano quote molto più alte: Sicilia 19,4%; Campania 17,3%; Calabria 16,6%; e Puglia 15,6%).
“Perdiamo troppi ragazzi: bisogna fare un lavoro preventivo nelle scuole e intorno alle scuole. Bisogna costruire stabili comunità educanti nei territori fragili - continua Rossi Doria - il nostro obiettivo è far arrivare le risorse ai territori, ai soggetti deboli e a chi se ne prende cura: vogliamo attivare alleanze paritarie tra scuole, terzo settore e comuni che permettano la piena realizzazione del PNRR”. Inoltre, per superare lo “spaesamento educativo che ha coinvolto in maniera significativa adolescenti e preadolescenti”, spiega il presidente di Con i Bambini, bisogna “tornare al verde, alla città educante, e dare parola ai giovani, alle loro esperienze, sofferenze e difficoltà, ai loro bisogni attraverso il protagonismo di ragazzi e bambini, che devono essere sempre più ascoltati”.
Antonella Di Bartolo, dirigente dell’Istituto Comprensivo ‘Sperone-Pertini’ di Palermo, ha raccontato a Valigia Blu gli sforzi fatti durante il lockdown per non far allontanare i suoi studenti, e l’impegno messo per ricostruire il tessuto sociale sfibrato dopo i mesi di pandemia. “Abbiamo chiamato gli studenti uno ad uno, ogni giorno, finché non sono tornati a scuola - racconta - abbiamo fatto tutto ciò che era possibile fare, provando a immaginare una didattica attraente, motivante. Dobbiamo riformare tutto, a partire dagli stili di apprendimento e il numero di alunni per classe”. La dirigente, quindi, è d’accordo sul potenziamento dei Patti territoriali, ma sottolinea l’importanza di legare questo aspetto a un maggior numero di docenti e una didattica diversa. “C’è bisogno di investire in maniera strutturale sul personale: solo così è possibile abbassare il numero di studenti per classe. Quando un docente ha davanti 30 alunni, cosa può fare? Se ne avesse 20, invece, potrebbe stabilire con loro un rapporto dialogante, in cui ci sia vera reciprocità. Se vogliamo cambiare la didattica, bisogna fare delle precise scelte politiche, degli investimenti sul personale. Per lavorare sulle persone, ci vogliono le persone”.
Per Franco Lorenzoni, maestro e fondatore del centro di sperimentazione educativa Casa-laboratorio di Cenci, il PNRR può essere “un’occasione per promuovere e sperimentare strategie che poi dovranno diventare sistema”. Anche se, per l’educatore, “non bisogna cominciare da zero, ci sono molte buone pratiche da valorizzare: l’idea è proprio quella di mettere in contatto scuole che hanno attivato progetti in questo senso, con istituti più in difficoltà”. L’obiettivo del Gruppo di lavoro, quindi, di cui Lorenzoni fa parte, è “individuare scuole e territori più fragili e in questi attuare un processo di cambiamento”.
Tra le buone prassi da adottare, secondo Lorenzoni, c’è una didattica focalizzata sul protagonismo di chi impara, l’utilizzo di linguaggi diversi (audiovisivo, immagini) in un’ottica laboratoriale, e la collaborazione con il Terzo settore. “Dobbiamo promuovere una didattica attiva, capace di produrre cose visibili - spiega Lorenzoni - le scuole dovrebbero organizzare più mostre, rappresentazioni teatrali, attivare energie positive negli studenti e trasmettere loro il messaggio che possono fare qualcosa. La cosa peggiore è una scuola che giudica gli studenti come incapaci. Bisogna offrire a questi giovani una possibilità di credere nel loro futuro, di arricchire il loro immaginario”.
Attivare un cambiamento della didattica è uno dei temi centrali nel dibattito sulla scuola, ma anche questo aspetto è intrecciato con la necessità di una politica di investimenti strutturali senza i quali ogni innovazione rischia di diventare un caso isolato. Quale sarà, quindi, il futuro dell’Istruzione quando le risorse del PNRR saranno esaurite? Per Franco Lorenzoni, “la situazione è molto negativa: continuiamo a non investire sulla scuola. A livello governativo, non c’è stata nessuna svolta sulla quantità di fondi destinati al comparto Istruzione e Ricerca, non c’è stato nessun cambio di passo. Continuiamo ad essere uno dei Paesi che investe meno in questi ambiti”.
Il Documento di Economia e Finanza del 2022, approvato dal Consiglio dei Ministri del 6 aprile, conferma questa tendenza: se nel budget 2021-2023, per l’anno 2022 era previsto un investimento nella scuola per il 4% del PIL, nel Def 2022 la percentuale si è ridotta al 3,5% del prodotto interno lordo.
“Il messaggio che arriva è che c’è mancanza di interesse per questo settore. Il PNRR può essere una base di partenza, ma poi queste strategie devono diventare sistema - spiega Lorenzoni - la politica però non sembra mostrare interesse per la scuola: continua a non essere considerata una questione nazionale. Ci sono tantissime persone che lavorano con impegno, sia a livello centrale che locale. Ma tutto questo non è sufficiente”.
Secondo Lorenzoni, un altro aspetto fondamentale che rende più complesso il percorso del PNRR è la procedura con cui è stato scritto ed elaborato. “Nelle indicazioni dell'Europa c’è un esplicito riferimento alla condivisione e al coinvolgimento dei territori nella distribuzione dei fondi. In Italia è stato fatto molto poco a livello di partecipazione - dice l’educatore a Valigia Blu - Questo è un peccato, perché le trasformazioni funzionano se la spinta viene sia dall’altro che dal basso. Le riforme più interessanti sono state fatte quando c’erano spinte convergenti”.
Anche Antonella Di Bartolo si è detta “perplessa sul fatto che si sta parlando di scuola senza che docenti o dirigenti siamo stati chiamati a esprimere la loro opinione”. Rossi Doria, però, replica che prima di iniziare i suoi lavori, il Gruppo per il contrasto alla dispersione scolastica ha svolto una serie di audizioni con alcuni dirigenti scolastici che avevano anni di esperienza alle spalle su questi temi.
Il Gruppo di lavoro consegnerà al ministero dell’Istruzione il documento finale con le riflessioni degli esperti entro la fine del mese. “I tempi sono molto stretti, bisogna rispettare le scadenze”, dice Lorenzoni, che infine ricorda: “Questo Piano nazionale di ripresa e resilienza non è un regalo, se non in minima parte. Il resto è debito, che stiamo scaricando su figli e nipoti. Questo debito deve offrire maggiori opportunità di conoscere a chi non ne ha e valorizzare le nostre scuole e le nostre città. Per chi ha un destino segnato, la principale possibilità di emancipazione resta la scuola. E se uno studente frequenta una scuola degradata, il messaggio che arriva è che della scuola non importa niente a nessuno: è l'immagine che il mondo adulto dà ai più giovani sulla rilevanza che l’istruzione ricopre nella nostra politica. Noi dobbiamo trasmettere un messaggio diverso. Noi adulti abbiamo enormi responsabilità”.
Immagine in anteprima via invalsiopen.it