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Totò Schillaci: oltre il calcio, un simbolo di riscatto sociale

18 Settembre 2024 4 min lettura

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Totò Schillaci: oltre il calcio, un simbolo di riscatto sociale

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Era uno dei giocatori meno attesi del Mondiale del 1990, ma finì per diventarne il simbolo. In quell’estate che celebrava l’Italia come la patria del calcio globale - dopo dieci anni di investimenti faraonici e successi internazionali dei club della Serie A - e in cui il mondo stava iniziando a cambiare - pochi mesi prima era caduto il Muro di Berlino - un giovane uomo siciliano diventava inaspettatamente un idolo delle folle dello Stivale. Al di là del calciatore in senso stretto, Totò Schillaci è stato un fenomeno sociale particolarissimo dell’Italia dell’epoca, che si è radicato nella cultura nazionale non solamente sportiva. Al punto da venire citato, in qualità di meridionale per eccellenza (“Gran Visir di tutti i terroni”) anche nel film del 1997 Tre uomini e una gamba di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Il drammaturgo siciliano Davide Enia ha ricordato su Facebook come il collega e conterraneo Franco Scaldati una volta gli disse che Schillaci era “il più grande palermitano del XX secolo”. Un pensiero che è in realtà abbastanza comune: per Benedetto Giardina, giornalista sportivo di Fanpage.it, semplicemente “è stato Palermo”. Idolo nazionale e internazionale, perché nessuno nel 1990 si aspettava che quell’attaccante quasi sconosciuto potesse diventare il simbolo di un’Italia già sovrabbondante di campioni (Baggio, Mancini, Vialli, Donadoni, Serena). Amatissimo, nonostante tutto, anche dagli irlandesi, a cui segnò una ustionante rete decisiva nei quarti di finale: nel 1996, l’attore irlandese Colm Meaney indossava una maglietta con su scritto “Fuck Schillaci”, nel film di Stephen Frears Due sulla strada. Qualche tempo dopo, la birra irlandese Smithwick's lo sceglieva come protagonista di un suo celebre spot. Oggi, la Federcalcio irlandese ha ricordato così l’attaccante italiano: “Sarà per sempre parte del folklore calcistico irlandese”.

Una meteora dai quartieri popolari

Per onestà intellettuale, è bene premettere una cosa: Salvatore Schillaci non è stato un grande attaccante, almeno non nell’idea generale che riconosciamo a questa espressione. Nato nel quartiere popolare di San Giovanni Apostolo, esordì nel 1982 col Messina in Serie C2 e da lì seguì la squadra biancoscudata fino alla Serie B, dove nella stagione 1988/89 raggiunse quota 25 gol complessivi. Lì avvenne qualcosa di inaspettato: la Juventus, reduce da una stagione poco soddisfacente, decise di rinnovare il suo attacco, liberandosi di Laudrup e Altobelli per puntare sulla promettente punta del Monza Gigi Casiraghi. Schillaci venne preso come riserva di quest’ultimo, ma si conquistò a sorpresa il posto da titolare.

La sua fu un’ascesa meteorica: nell’agosto del 1989 era un attaccante 24enne semisconosciuto che arrivava dalla B; a marzo esordiva in Nazionale in amichevole; a fine aprile vinceva la Coppa Italia e a metà maggio la Coppa UEFA; a giugno era titolare dell’Italia ai Mondiali, arrivando fino in terza posizione e risultando capocannoniere del torneo; a fine dicembre giungeva secondo nella classifica del Pallone d’Oro, il premio al miglior calciatore d’Europa. Negli anni successivi, però, non seppe più ripetere le prestazioni del 1990: nelle due stagioni seguenti alla Juventus segnò meno reti che in quella d’esordio, ripetendo questo trend anche nei due anni con l’Inter. Nel 1994, prima ancora di compiere 30 anni, partì per il Giappone, andando a giocare con il Jubilo Iwata, che oggi lo ha ricordato con queste parole: “Anche se non potremo più incontrarci di nuovo, l'eredità lasciata dal signor Schillaci al Jubilo continuerà a vivere per sempre nei nostri cuori”.

Il simbolo di un mondo

“Un’icona del calcio” lo ha definito la UEFA, nel suo comunicato. Perché appunto la grandezza di Totò Schillaci va al di là dell’aspetto sportivo in senso stretto: se fosse stato un musicista, avremmo parlato di un one hit wonder, quegli artisti che realizzano una sola canzone di successo, ma che dopo generazioni ancora viene cantata, e va sostanzialmente a identificare un’epoca. E quella di Schillaci non è stata un’epoca semplice, bisogna tenerlo a mente. Certo, c’erano gli sfavillanti Mondiali in Italia e le promesse di una pacificazione politica globale, ma nel nostro paese stava anche salendo l’onda xenofoba della Lega Nord, che si esprimeva in particolare contro i meridionali. Squadre e tifosi del Sud erano costantemente oggetto di razzismo durante le trasferte al Nord per le gare di campionato, in una maniera che oggi risulta in gran parte inimmaginabile.

Essere siciliano, in particolare, significa essere un mafioso, perché era tendenzialmente per questo che l’isola era conosciuta a quel tempo. Nel 1982 era avvenuto l’omicidio Dalla Chiesa, quattro anni dopo era iniziato il Maxiprocesso. Nel resto del paese, i siciliani erano visti, se non proprio come delinquenti, quanto meno come conniventi con Cosa Nostra. In quel 1990, invece, Schillaci riuscì a ribaltare questo stereotipo e diventare simbolo dell’Italia intera, sia nella narrazione interna, sia in quella esterna, in quanto principale goleador della squadra azzurra. E viene da dire che nessuno aveva diritto di esserlo più di lui, che grazie al calcio era riuscito a emergere da quei quartieri umili in cui spesso, per i giovani palermitani, la criminalità organizzata era l’unica alternativa alla fame.

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Questo suo percorso, Schillaci non lo ha mai dimenticato: nel 2017 accettò di diventare il direttore tecnico dell’Asante Calcio, una squadra di Palermo militante nel campionato di Terza Categoria e composta interamente da ragazzi migranti, arrivati in Italia come minori non accompagnati. Un rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali pubblicato proprio nel 2017 segnalava che nel capoluogo siciliano erano presenti 1.507 minori stranieri non accompagnati, pari all’8,7% di tutti quelli accolti in Italia. 

“È giusto dare un'opportunità in più ai giovani migranti fuggiti dalla loro terra in cerca di un futuro migliore”, disse l’ex bomber di Italia ‘90 alla presentazione della squadra. “A me il pallone ha cambiato la vita, mi auguro che possa farlo anche con loro”. Parole che oggi sarebbero anche più necessarie dei suoi gol, in Italia. 

Immagine in anteprima: frame video RAI via YouTube

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