Sblocca Italia, uno scempio da bloccare: ecco perché
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Aggiornamento 6/11/2014: Lo sblocca Italia è legge. Ieri il Senato ha votato la fiducia al testo modificato alla Camera (qui l'"abc" della legge), senza poter esaminare i 45 articoli del decreto. Il Dl, infatti, approvato dal governo a fine agosto e pubblicato in gazzetta il 12 settembre scorso, doveva essere convertito entro l'11 novembre. Se così non fosse stato il testo avrebbe perso efficacia di legge. Il lungo passaggio alla Camera, il contrasto al Dl delle opposizioni, le necessarie modifiche apportate dopo le numerose correzioni richieste della commissione Bilancio e della Ragioneria generale dello Stato, hanno rallentato i lavori.
Per la fretta, però, scrive Giuseppe Latour su Edilizia e Territorio, non sono stati accolti alla Camera alcuni rilievi della Ragioneria:
così ci sarebbero alcune norme traballanti sotto il profilo dei conti pubblici: ad esempio, in materia di deroghe al patto di stabilità per le bonifiche. Visti i tempi ristretti, però, non è stato possibile correggere nulla adesso: la commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama, addirittura, non ha avuto tempo di procedere all'esame di tutti i 912 emendamenti presentati. Qualcosa, allora, potrebbe essere fatto nelle prossime settimane.
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Quarantacinque articoli su edilizia, infrastrutture, ferrovie, appalti, bonifiche, dissesto idrogeologico, cassa in deroga e altro ancora. Questo lo sblocca Italia, l'intricato e ambizioso decreto legge 133/2014 - approvato a fine agosto - del governo Renzi. L'obiettivo dichiarato è quello di sburocratizzare e "sbloccare" il Paese nei più disparati settori. Dopo aver ascoltato decine di enti e associazioni, ieri è iniziata l'analisi in commissione Ambiente della Camera dei 2200 emendamenti (poi ridotti a 700) al testo. Numeri che dimostrano i tanti conflitti e questioni sollevate da questo testo di legge, che hanno avuto un forte riscontro sul territorio nazionale.
Italia a rischio cementificazione?
Matteo Renzi a luglio aveva promesso che con lo Sblocca Italia sarebbero stati sbloccati 43 miliardi per il 1 settembre. Passati due mesi, i numeri però si sono sgonfiati, tanto che Giorgio Santilli, sul Sole 24 ore, ha scritto che tutti quei soldi erano infondati, una farsa. Arrivati all'approvazione del decreto i soldi trovati e destinati a grandi “opere cantierabili in date certe” sono 3,9 miliardi e si trovano all’articolo 3.
Soldi che «però - annota Confindustria durante la sua audizione in Parlamento - generano una complessiva disponibilità di soli 65 milioni nel biennio 2013-2014 e 390 milioni nel biennio 2015-2016, ma di ben 3,4 miliardi dal 2017 in avanti». A queste considerazioni si aggiungono quelle dei tecnici del servizio Bilancio della Camera che hanno chiesto al governo come intenda far fronte alle coperture delle spese, essendo state utilizzate «risorse inerenti opere infrastrutturali strategiche già approvate».
Anna Donati, su Rottama Italia, ebook di Altraeconomia che critica duramente il Dl del governo, denuncia che questi fondi sono destinati «allo sviluppo dell’asfalto». Secondo l’ambientalista «sommando le previsioni tra i diversi progetti, si ottiene che ben il 47% andrà a strade e autostrade, il 25% a ferrovie e solo l’8,8% a reti tramviarie e metropolitane».
Una delle opere sbloccate e maggiormente contestate è quella dell’austrostrada Orte-Mestre, con i suoi 400 km di lunghezza previsti per un costo di 10 miliardi di euro. La costruzione dell’autostrada era stata approvata dal Cipe nel 2013 e avrebbe dovuto usufruire di 1,8 miliardi di agevolazioni fiscali previste dal Decreto del Fare per progetti in project financing. La Corte dei Conti ha però bloccato tutto (qui la sentenza): l’opera infatti era stata dichiarata di pubblica utilità ben prima del 2013 - quando è stata introdotta la defiscalizzazione - e per questo motivo non ha diritto agli incentivi. Con l’articolo 2 (al comma 4) del decreto, il governo ha però poi sottratto l’opera al maglie delle sentenza dei giudici contabili.
Riguardo l'Orte-Mestre, per Legambiente il problema principale è l’insostenibilità dei lavori. Secondo Mattia Donadel, della “Rete stop autostrada Orte Mestre”, intervistato dal Fatto quotidiano «i flussi di traffico previsti dagli stessi proponenti sono talmente bassi che le tariffe proposte andrebbero a superare di gran lunga quelle del Passante di Mestre, già oggi le più care in Europa». Il rischio, insomma, è che alla base dell’opera manchi una valutazione ben fatta del bilancio tra costi e benefici.
Conflitto d'interesse
Con l'articolo 1, l'ad delle Ferrovie dello Stato, Michele Elia, è stato nominato (per 2 anni) "Commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli - Bari". Una carica che non prevede "nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica", né "compensi aggiuntivi".
Ma Raffaele Cantone, presidente dell'Anticorruzione, durante l'audizione in commissione Ambiente della Camera, ha sollevato alcune criticità. Il magistrato ha parlato di «(teorici) conflitti di interesse, per l’ambito dei poteri riconosciuti di incidere su interessi di enti e comunità locali». Cantone si riferisce in particolare al comma 4, in cui viene stabilito che nelle decisioni da prendere, in caso di dissenso da parte di un'amministrazione pubblica, l'ultima parola spetta al Commissario straordinario. Per il presidente dell'anticorruzione il rischio è che in questo modo si «verrebbe a creare un commissariamento di scelte politiche locali da parte dell’amministratore di una società per azioni, anche se pubblica».
Deroghe e semplificazioni, quali rischi
Cantieri riaperti e lavori portati a termine più velocemente. Questo l'obiettivo che si pone lo Sblocca Italia, per raggiungerlo sono previste deroghe al codice degli appalti e semplificazioni delle procedure concorsuali. In questo modo, però, il rischio è di abbassare i livelli di trasparenza e di lotta alla corruzione. Questa tra le più grandi preoccupazioni mostrate dagli enti e associazioni in commissione Ambiente alla Camera nel mese scorso.
Fabrizio Salassone, vice capo del Servizio di Struttura economica della Banca d’Italia, ad esempio, ha invocato «massima trasparenza», visto che, come da lui denunciato, il provvedimento basato sull'«estrema urgenza», introduce «un sistema generale di deroghe molto pervasivo al Codice dei contratti pubblici». Un metodo che in passato si è rivelato «non sempre pienamente efficace, con ripercussioni negative sui tempi e sui costi nella successiva fase di esecuzione dell’opera e vulnerabilità ai rischi di corruzione».
Altra fonte di critiche e dubbi è l’articolo 9, definito da Cantone tra i più importanti dello Sblocco Italia ma che, aggiunge il magistrato, «pone una serie di problemi». Per esempio, il provvedimento introduce per tutti gli interventi che rientrano nella definizione di “estrema urgenza” - e che riguardano la messa in sicurezza degli scolastici, la riduzione dei rischi idraulici e geomorfologici, l’adeguamento della normativa antisismica, la tutela ambientale e del patrimonio culturale - la possibilità di usufruire di «ulteriori disposizioni di carattere acceleratorio per la stipula del contratto, in deroga a quelle del Codice».
La stessa norma, inoltre, permette alle imprese coinvolte nei lavori di non dover fornire alcuna garanzia a corredo dell’offerta. Questa disposizione secondo Cantone, potrebbe portare gli operatori economici a non rispettare gli impegni assunti, senza subire per questo alcun danno.
Un altro aspetto poco chiaro (al comma 2, lettera d) sta nella possibilità di avviare “procedure negoziali” senza dover pubblicare un bando, ma solo invitando almeno tre operatori economici (update: nel testo definitivo diventano 10) , anche per importi molto elevati (l’attuale soglia comunitaria è infatti di 5 milioni e 800 mila euro). Ma su quali basi alcune imprese verrebbero scelte e altre no?
Misure urgenti anche per patrimonio culturale e ambiente
“Accelerazioni” e “misure urgenti” coinvolgono anche procedure riguardanti il patrimonio culturale e l'ambiente. Proprio per questi motivi sono emerse denunce e avvertimenti di rischi della salvaguardia del territorio. Per Andrea Carandini, presidente del Fondo Ambiente Italiano, la cosa più preoccupante è la trasformazione «della deroga in regola».
Per il Fai, ad esempio, l’articolo 25 (al comma 3) consentirà «ai Comuni di rilasciare l'autorizzazione edilizia in aree sottoposte a vincolo paesaggistico anche in assenza del parere della Soprintendenza, al momento, invece, vincolante», o l’articolo 26 che, come scrive la fondazione, vuole «facilitare il recupero degli immobili non più utilizzati del patrimonio pubblico (caserme, scuole e palazzi) semplificando la procedura per determinare la loro diversa finalità d'uso», ma prevedendo «che questa sia stabilita nell'ambito di trattative ‘privatistiche' tra enti», con la chiusura «della partecipazione e al dibattito e non garantendo la trasparenza».
Concessioni autostradali, si tratta di un regalo?
Il presidente dell’Anac si concentra anche sulla revisione delle concessioni autostradali. All’articolo 5 del testo si legge: “i concessionari autostradali possono proporre modifiche ai contratti in essere anche mediante l’unificazione di tratte interconnesse, contigue o complementari ai fini di una loro gestione unitaria". Secondo il presidente dell'Anticorruzione la disposizione appare poco chiara, perché «non indica esplicitamente chi ed in che modo debba approvare il piano predisposto dai concessionari».
La stessa norma viene bocciata anche dall’Autorità nazionale trasporti che non ne condivide l’impostazione perché «attribuisce al singolo concessionario la facoltà di predisporre un nuovo piano economico finanziario finalizzato a proporre l’unificazione di tratte, in assenza di provvedimenti dell’Autorità sugli ambiti ottimali di gestione».
L’Autorità segnala un’altra incongruenza, riguardante la gestione dell’Autostrada del Brennero A22, per la quale era stata da poco avviata una consultazione ai fini del riavvio della procedura di gara per l’affidamento della concessione e che lo sblocca Italia ha invece prorogato.
La norma del decreto sulle concessioni autostradali «non appare di agevole comprensione e comunque contiene aspetti delicati in una prospettiva concorrenziale». Lo ha detto nel corso di un'audizione alla Camera il presidente dell'Antitrust, Giovanni Pitruzzella, spiegando che la norma si colloca tra l'altro «in un contesto che vede alcune concessioni esistenti già scadute (Autostrade centropadane, Autostrade meridionali, A22 del Brennero) e attualmente in proroga». Pitruzzella spiega inoltre che in questo settore proprio le concessioni sono «le uniche forme di stimolo concorrenziale» e che «la possibilità di unificare titoli concessori, aventi scadenze differenziate», potrebbe causarne «l’eliminazione per periodi significativi».
Update: Nel testo definitivo il controllo delle proposte di modifica al rapporto concessorio spetta al ministero delle Infrastrutture. A sua volta il Mit, sentito il l'autorità dei trasporti, trasmetterà il tutto alle commissioni parlamentari competenti (che si esprimeranno entro trenta giorni). Questi procedimenti sono però subordinati al "preventivo assenso da parte dei competenti organi dell'Unione europea".
A ottobre l'Unione europea aveva chiesto approfondimenti al governo italiano sull'articolo 5, in vista di una possibile procedura infrazione sulle concessioni autostradali.
Patto di stabilità, più soldi ai Comuni ma meno alle Regioni
Si allargano le maglie del patto di stabilità interno per i Comuni, ma si restingono per le Regioni. Da una parte si favorisce l’aumento della spesa degli enti locali (+250 milioni di euro), dall’altra però per settori fondamentali come il diritto allo studio e il lavoro dei disabili si richiama al risparmio (-500 milioni).
Gli articoli in questione sono il numero 4 e il 42. Nel primo lo Sblocca Italia ha previsto che i pagamenti relativi alle opere segnalate dai sindaci, in risposta alla lettera del presidente del Consiglio, sono esclusi dal patto di stabilità, entro limite di 250 milioni di euro il 2014.
L'articolo 42 invece stabilisce che “le regioni si impegnano a realizzare misure di razionalizzazione e contenimento della spesa che permettano un risparmio complessivo di 500 milioni di euro”. Risorse recuperate sospendendo l'esonero dal patto di stabilità interno di diverse voci che colpiscono soprattutto l'istruzione. Il che significa, scrive Marzio Bartolini sul Sole 24 ore,
che non ci sarà più l'obbligo di vincolo per la destinazione dei fondi. Nel mirino ci sono appunto i 150 milioni per le borse di studio universitarie, i 100 milioni per le scuole paritarie (sui 220 complessivi), gli 80 milioni per i libri di testo e i 15 milioni per il sostegno agli studenti disabili. A rischio c'è l'erogazione di circa 48.214 borse di studio (l'importo medio di una borsa lo scorso anno è stato di 3360 euro). Un'enormità se si pensa che già oggi siamo fanalino di coda nell'Ue: nel 2013 l'Italia ha erogato solo 141.310 borse, contro le 305.454 in Spagna, le 440.217 in Germania e addirittura le 629.115 della Francia.
Queste riduzioni di spesa hanno provocato le proteste degli studenti che sabato 10 ottobre sono in scesi in tutta Italia gridando «tagliare i fondi non è una buona scuola».
Inceneritori
Questione cruciale in cui si preannunciano forti battaglie è quella sugli inceneritori. Nell’articolo 35 del decreto, infatti, al governo viene consentito di individuare "gli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani o speciali, esistenti o da realizzare per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti". Le regioni con più inceneritori nel proprio territorio (Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, come si può vedere in questa mappa di FederAmbiente) hanno chiesto lo stralcio dell’articolo.
Nel testo si legge che "negli impianti deve essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale" e "autorizzati a saturazione del carico termico (ndr, cioè portati alla capacità massima). Il risultato, scrive Pietro Gorlani su Corriere Brescia (città con il più grande inceneritore d’Europa), è la caduta delle quote di bacinizzazione regionale e l’arrivo dei rifiuti da bruciare da tutta Italia, con il rischio qualità dell'aria nel territorio. L'intera procedura, inoltre, prevede il dimezzamento dei termini previsti "per la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione ambientale degli impianti".
Update: L'articolo 35 è stato modificato, comprendendo una maggiore partecipazione degli enti locali coinvolti. L'ultima decisone spetta però ancora al ministero dell'Ambiente.
Al comma 6 viene confermata la possibilità che nelle regioni con più impianti ci sia il "trattamento di rifiuti urbani prodotti in altre regioni", ma la priorità viene data a quelli prodotti nel proprio territorio "fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno". Con il comma 7 viene previsto un contributo di 20 euro che "i gestori degli impianti sono tenuti a versare alla regione" per ogni tonnellata di "rifiuto urbano indifferenziato di provenienza extraregionale".
La Lombardia (maggiormente coinvolta), che ha presentato a settembre un ricorso alla Consulta contro il decreto, si è opposta all'arrivo di rifiuti da smaltire nel proprio territorio. Claudia Terzi, assessore lombardo all'Ambiente, ha definito "miope" «risolvere la questione rifiuti delegandone la soluzione ai territori che ospitano impianti».
Gas e idrocarburi, aumenta l'estrazione
Contro quanto previsto dagli articoli 37 e 38 si sono schierate le maggiori associazioni ambientaliste del Paese, insieme a quelle di cittadini ed enti locali. Per “aumentare la sicurezza delle forniture di gas” e per “valorizzare le risorse energetiche nazionali” il decreto concede il carattere di “interesse strategico” e di “pubblica utilità” - con semplificazioni e incentivi annessi - ai gasdotti, rigassificatori, alle infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale (come il Trans-Adriatic-Pipeline (Tap) in Puglia) e alle coltivazioni di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas. Il risultato, come scrive il Corriere della sera, è il raddoppio di estrazione di petrolio e gas.
L’accusa a questi provvedimenti è di concedere lo sfruttamento di terra e mare a favore delle multinazionali del settore. Secondo quanto detto dal Wwf in audizione alla Camera l’effetto dell’articolo 37 sarà quello di «una enorme bolla speculativa del gas, nascosta dietro la solita motivazione emergenziale, che porterà non già ad aumentare la sicurezza di approvvigionamento, ma a moltiplicare le infrastrutture senza che si sia fatta una valutazione a monte delle necessità e delle priorità».
Lo scorso agosto Matto Renzi, durante la presentazione delle linee guida dello Sblocca Italia, aveva elencato i numeri del progetto per sviluppare le risorse geotermiche, petrolifere e di gas naturale: «previsti investimenti privati nazionali e internazionali per oltre 17 miliardi di euro, con un effetto sull’occupazione di 100mila unità e un risparmio in bolletta energetica per 200 miliardi in 20 anni».
Dietro questi numeri forniti dal governo c’è il lavoro di Assomineraria, associazione di Confindustria, che durante l’audizione in commissione Ambiente ha dato l’ok al provvedimento, affermando che la tutela dell’ambiente ne esce rafforzata e che si eliminano «sovrapposizioni che negli anni hanno creato il blocco di molti processi decisionali». Infatti, il decreto per accorciare i tempi fa passare la competenza dalle Regioni al governo (nello specifico al ministero dell’Ambiente e a quello dello Sviluppo Econimico). Proprio su questo punto i presidenti delle Regioni si sono schierati contro il decreto e hanno chiesto al governo di rivedere
in sede di conversione del decreto- legge 12 settembre 2014, n. 133 la disciplina di semplificazione energetica, in particolare nella parte concernente la regolamentazione in merito alle attività estrattive di idrocarburi, al fine di coinvolgere, formalmente e sostanzialmente, gli enti sub statali sia nella fase decisionale che in quella esecutivo-applicativa e garantire il pieno rispetto delle relazioni tra Stato e Regioni.
Anche Wwf, Legambiente e Greenpace hanno bocciato il provvedimento, chiedendone “in subordine” delle modifiche tese a un coinvolgimento di Regioni ed enti locali. Inoltre, il Wwf ha definito «fantasiose» le stime fornite da Assomineraria, aggiungendo che «secondo le valutazioni dello stesso ministero dello Sviluppo economico nei nostri fondali marini ci sarebbero circa 10 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 8 settimane» e che «anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata (ndr, uno dei territori maggiormente coinvolti dal provvedimento, con cittadini e associazioni in mobilitazione) il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi».
Secondi i dati del ministero dello Sviluppo economico la produzione di idrocarburi nel 2013 rispetto all’anno precedente ha visto un leggero incremento della produzione di olio greggio (+2%), confermando un lento ma costante trend di aumento degli ultimi anni, con lo stoccaggio in aumento del 5,18%. Di segno negativo invece la produzione di gas naturale (-10%), «dovuto - spiegano dal ministero - al naturale calo di produzione di campi in fase avanzata di coltivazione e al blocco di molti progetti in attesa delle autorizzazioni».
Ma in che modo è stato diviso l’importo che lo Stato, le Regioni e i Comuni hanno ricevuto dalla produzione di idrocarburi nel 2013?
Comuni, rischi bilanci e competenze ridimensionate
L’Associazione italiana comuni italiani, durante la propria audizione alla Camera, ha sì approvato nel complesso il provvedimento, ma ha sollevato nello specifico problemi su norme che «direttamente o indirettamente, determinano un impatto negativo sui bilanci dei Comuni». Ad esempio l’articolo 17 del testo presenta “misure per il rilancio dell’edilizia” che prevedono l’estensione dell’accezione di manutenzioni straordinarie, i permessi di costruire anche in deroga agli strumenti urbanistici e i contributi per il rilascio dei permessi, che per l’associazione guidata da Piero Fassino possiedono varie criticità: sono di difficile applicazione, portatrici di interpretazioni difformi e incerte. Paolo Berdini, urbanista e uno degli autori di Rottama Italia, ritiene che con l’articolo 17 si permette «a chi costruisce un nuovo quartiere di realizzare stralci funzionali invece dell’intera urbanizzazione».
L’Anci, inoltre, si è espressa negativamente riguardo l’articolo 33 che introduce una nuova procedura amministrativa straordinaria “per le bonifiche ambientali e la rigenerazione urbana delle aree di interesse nazionale - comprensorio Bagnoli-Coroglio”. La norma, infatti, scrivono i Comuni «esautora il ruolo degli Enti locali, i quali in nessuna fase potranno esprimersi in merito alla realizzazione degli interventi».
Accelerazioni e sburocratizzazione che, scrivono vari commentatori critici, va a discapito della partecipazione dei territori. Ecco perché l’articolo 24 - “misure di agevolazione della partecipazione delle comunità in materia di tutela e valorizzazione del territorio” - che consiste in “pulizia, manutenzione, abbellimento di aree verdi, piazze o strade” tramite esenzioni o riduzione tributarie da parte del Comune inerenti al tipo di attività svolta è stato criticato da Anna Maria Bianchi. La portavoce di Carteinregola scrive infatti su Rottama Italia che la norma rappresenta la metafora di una filosofia «che riduce la vita collettiva a una somma di esistenze individuali. Non più una comunità che si fa carico del proprio territorio, ma solo singoli che si occupano del decoro del proprio habitat, in base a uno scambio meramente economico».