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Il Fondo Monetario Internazionale e le previsioni sulla crescita economica russa: numeri manipolati dal Cremlino?

21 Aprile 2023 8 min lettura

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Il Fondo Monetario Internazionale e le previsioni sulla crescita economica russa: numeri manipolati dal Cremlino?

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Dopo oltre un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, le sanzioni varate dall’Europa per contrastare la guerra voluta da Vladimir Putin continuano a colpire il paese. Ne avevamo già parlato a gennaio: nonostante le prospettive per l’economia russa fossero meno catastrofiche di quanto predetto nei mesi precedenti, l’economia russa ha subito una forte frenata nel corso del 2022.

Nel frattempo l’Europa ha varato il suo decimo pacchetto di sanzioni per contrastare il regime di Putin. Il pacchetto va a colpire la Russia su vari fronti. Innanzitutto sul fronte delle importazioni ed esportazioni, in settori di particolare interesse anche sul fronte bellico come il settore elettronico, di vitale importanza per la costruzione di missili, elicotteri, droni. Inoltre si restringono ancora di più i beni con duplice funzione militare e civile: d’altronde, come avevamo detto, per sopperire alla mancanza di componenti il regime di Putin si stava servendo di beni civili. Per la prima volta, le sanzioni colpiscono anche paesi che potrebbero fornire supporto all’impresa bellica di Putin, come l’Iran. 

Il Fondo Monetario Internazionale e le stime da tenere in considerazione

C’è però anche un aggiornamento sulle previsioni. Rispetto alle stime fornite in precedenza, una novità importante riguarda il Fondo Monetario Internazionale. Una stima del FMI, infatti, avrebbe rivisto al rialzo le previsioni di crescita della Russia nel 2023, arrivando addirittura a prevedere una debole crescita dello 0.2%, una valutazione superiore a quella della Banca Centrale Russa, che prevede invece un calo dell’1.5%. La questione però appare quantomeno problematica, come ha ricostruito un articolo di Fortune delle settimane scorse. 

Il problema, secondo l’articolo, è che il Fondo Monetario Internazionale avrebbe semplicemente riportato le stime fornite dal Cremlino. Per calcolare le previsioni, infatti, il fondo ha semplicemente contattato la sezione Russia del Fondo che ha banalmente fornito i dati russi. Ma da quando è cominciata l’invasione non sono più pubblicati dati pubblici sullo stato di salute dell’economia, se non appunto la previsione di crescita che è scappata alla Presidente della Banca Centrale Russa, Ėl'vira Nabiullina, che come avevamo detto in precedenza è uno dei motivi per cui le sanzioni hanno colpito meno del previsto la Russia. Sono state proprio le sue scelte a mantenere a galla l’economia, tanto che, secondo indiscrezioni, le sue dimissioni consegnate a Putin sono state rifiutate. 

D’altronde non è la prima volta che gli uffici di statistica russi forniscono numeri ritoccati sotto pressione di Putin e della sua cerchia. Durante la pandemia, infatti, Rosstat, l’equivalente russo dell’ISTAT, ha manipolato vari dati sulle condizioni di vita della popolazione, a partire dalla mortalità durante la pandemia, dalla possibilità di far fronte a spese mediche e dalle risorse finanziarie per l’acquisto di cibo. 

Quello che è successo, quindi, è che il FMI ha utilizzato cifre confezionate appositamente dal Cremlino come sue previsioni, nonostante perfino le autorità russe e gli oligarchi siano convinti di un anno difficile per l’economia russa. 

Se è vero che il PIL russo avrà una contrazione anche nel 2023, come avevamo però già evidenziato, anche le stime fatte all’inizio della guerra si sono rivelate esagerate. Ciò è stato possibile per vari fattori. Il primo è che, ovviamente, nonostante la produzione sia calata e la domanda interna si sia di fatto ridotta all’osso, nel 2022 la Russia ha continuato a vendere gas e petrolio a prezzi superiori rispetto a prima. Questo, però, potrebbe cambiare proprio nel 2023. 

L’Europa ha inserito infatti nei vari pacchetti di sanzioni che si sono succeduti nel corso degli anni anche i beni energetici, come il petrolio. Per comprendere quanto questo sia importante per la Federazione Russa è necessario osservare l’indicatore che più di tutti ha tenuto in piedi la sua economia nel corso di quest’anno: la bilancia commerciale, ovvero il netto tra valore commerciali di importazioni ed esportazioni, complici anche le sanzioni che hanno precluso alla Russia importazioni considerevoli. Facendo leva sul prezzo del gas, la Russia ha visto aumentare del 38% le sue entrate riguardo i beni energetici sulla base del 2021. 

C’è quindi da comprendere in che modo le sanzioni su gas e petrolio andranno a impattare l’economia russa e la reazione di Putin, in quanto tra i provvedimenti varati, il più importante e più discusso è il price cap sul petrolio e sul gas. Un termine tecnico che indica un tetto al prezzo che l’Europa assieme a USA, Canada, Regno Unito, Giappone e Australia ha coordinato. Nei giorni scorsi, infatti, si è assistito a un rincaro di beni come petrolio e gas a causa di un taglio sul lato dell’offerta. Come fa notare il ricercatore dell’ISPI Matteo Villa, il price cap potrebbe rivelarsi uno strumento errato per ridurre il prezzo del petrolio russo. Vero però che già oggi la Russia, grazie ai tentativi di diversificare le fonti energetiche fatti dall’Europa, soffre di una mancanza di risorse: il Ministro delle Finanze, ad esempio, ha già affermato che il deficit russo rischia di esplodere quest’anno proprio in assenza dei profitti dovuti al gas. 

In secondo luogo, e questo è più drammatico di quanto non si pensi, l’economia è stata tenuta in piedi grazie all’utilizzo del Fondo sovrano russo (NWF). Questo fondo era inizialmente nato per il sistema pensionistico del paese. Dall’invasione però il fondo è servito sempre di più per finanziare la guerra di Putin e l’economia. Secondo le stime infatti il fondo sarebbe passato da 174.9 miliardi di dollari statunitensi a 148.4 miliardi nel giro di un anno.

Negli ultimi mesi il Ministro delle Finanze russo ha proposto di allargare ancora di più i vincoli per l’utilizzo del fondo per far fronte al calo della produzione nel paese, che secondo gli esperti avrebbe avuto un calo nel settore manifatturiero anche del 90%. Tutto ciò ha però un prezzo e rischia di intaccare gli investimenti sul lungo periodo fatti dalla Russia. 

Infine è necessaria una precisazione. Nel 2023 le stime mostrano una recessione “meno dura” per la Russia. Si tratterebbe, però, di una scorretta analisi dei dati: le stime presentate non riguardano il PIL quanto il suo tasso di crescita. Quindi una decrescita minore nel secondo anno di sanzioni non significa affatto che le sanzioni non funzionino, tutt’altro. Questo perché partivamo da un livello più basso nel 2022 proprio a causa delle sanzioni. 

Ma le sanzioni colpiscono anche noi? 

Una delle critiche rivolte ai pacchetti di sanzioni volute dall’Europa è che andrebbero a danneggiare più i paesi europei che non la Russia. Si tratta, ovviamente, di una tesi non suffragata dai dati. Nonostante la crescita nel 2022 sia stata più flebile rispetto alle aspettative anche per i paesi europei, non c’è paragone rispetto al disastro economico russo. Su base tendenziale, infatti, i paesi europei hanno avuto tutti una crescita positiva nel 2022, mentre come abbiamo già spiegato la Russia ha avuto un netto calo del Prodotto Interno Lordo rispetto al 2021. 

Sarebbe però intellettualmente disonesto non riconoscere un impatto sulle economie occidentali da parte delle sanzioni. Il motivo, come ribadito in precedenza, è che la Russia aveva sviluppato con l’Occidente un rapporto preferenziale, garantendo approvvigionamento di beni energetici come il gas a basso prezzo, necessario per il settore manifatturiero e per i consumi individuali. 

Ovviamente un rialzo dei beni energetici ha comportato, in un momento di difficoltà sul fronte energetico, un aumento deciso dei costi per le famiglie, incidendo pesantemente sulle dinamiche dell’inflazione. In una serie di report del Cambridge econometrics si stimano infatti gli impatti della crisi energetica sull’economia europea. Nel nostro paese, giusto per fare un esempio, in media un consumatore italiano ha pagato 1,400 euro in più per i beni energetici e carburanti rispetto al 2020. Questo in media, ma le stime per le famiglie più povere sono ancora più drammatiche: una famiglia del quintile più povero ha raddoppiato la sua spesa per beni energetici. 

Questi aumenti si ripercuotono anche su altri beni. Pensiamo infatti a un’azienda che produce un bene alimentare. Per produrre quel bene l’azienda avrà bisogno di materie prime, ma anche di spendere per il funzionamento dei macchinari. A un aumento dei beni energetici è possibile- la situazione è più complessa e spiegata dopo-che rincari sul bene finale per far fronte proprio a questo aumento. 

Certo, questo aumento è stato fortemente contrastato dalle misure del governo. A certificarlo è l’Ufficio parlamentare di bilancio: grazie alle misura volute dal governo Draghi, l’aumento generale sul paniere è stato meno gravoso rispetto a uno scenario senza interventi. 

Una critica di questo tipo, però, presenta varie problematiche. Se il motivo è di carattere strettamente economico (dobbiamo togliere le sanzioni perché ci danneggiano) non si capisce in che modo poi questo si ripercuoterà sui prezzi dei beni energetici: la Russia dovrebbe ricominciare a vendere gas e petrolio a basso prezzo, e tutti dovrebbero dimenticare di colpo questi anni?Si tratta di uno scenario quantomeno inverosimile, per non parlare del fatto che l’aumento dei prezzi energetici dipende da vari fattori. 

Inoltre, questo aumento dei prezzi si è già diffuso ad altri settori dell’economia, che dovrebbero quindi adeguare di nuovo i prezzi al cambio di situazione economica. Qui le cose sono molto più complicate di quello che pensiamo: le imprese non adeguano istantaneamente i prezzi al mutare della situazione economica. Una metafora proveniente dalla teoria economica è quella riguardante i menù dei ristoranti, che è stata poi incorporata nei modelli teorici. Pensate al proprietario di un ristorante che, cambiando i prezzi, si ritrova a dover ristampare tutti i menù del ristorante. Solo qualora sia davvero conveniente ciò succederà, in quanto dovrà imbarcare il costo di far ristampare tutti i menù. 

C’è infine un’ultima questione: è possibile sfruttare la situazione per accelerare la transizione ecologica? Un aumento dei beni energetici può trainare il comportamento razionale degli agenti economici verso fonti di energia rinnovabili e un cambiamento radicale della struttura economica. Questo, d’altronde, è già successo negli anni ‘70, quando lo shock petrolifero portò a uno shift verso l’economia dei servizi, meno energivora rispetto all’industria.

Purtroppo questo non dipende solo dall’aspetto razionale, ma anche dalla volontà dei governi. Finora il governo Meloni ha preferito puntare sull’estrazione di gas naturale italiano e su sussidi alle aziende. Più che a motivazioni economiche e ambientali, il governo Meloni sembra quindi rispondere a interessi di tipo politico, che spingono per un maggior utilizzo di risorse naturali italiane. Non si tratta certo di un caso isolato: anche in sede europea il nostro paese si era contraddistinto per un tentativo di frenare la transizione ecologica nel ramo dell’automotive, anche in questo caso per motivazioni strettamente politiche. 

Che cosa succederà?

La situazione è di sicuro incerta: non sappiamo ancora se le sanzioni riguardanti i beni energetici avranno o no effetti consistenti sull’economia di Putin. Ed è possibile che, dopo due anni di calo, nel 2024 la Russia vedrà una crescita del proprio PIL: un effetto rimbalzo come quello a cui si è assistito nel 2021 per le economie colpite dalla pandemia. 

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Ma le conseguenze delle sanzioni e dell’invasione di Putin sono già oggi catastrofiche per la Russia, che ha incrinato il rapporto privilegiato che la legava all’Europa, lasciando come unica via d’uscita quella di legarsi a doppio filo e in una posizione di inferiorità con la Cina. Le risorse che le autorità russe stanno utilizzando per tenere in piedi drenano risorse alla crescita di lungo periodo del paese. 

Non è infine corretto dire che le sanzioni danneggiano più i paesi occidentali che la Russia: basti pensare che nel 2022 nessun paese ha assisto a un calo del prodotto interno lordo al di fuori della Russia di Putin. 

Immagine in anteprima: USA Today via Twitter

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