Le sanzioni alla Russia stanno funzionando?
8 min letturaQuando nel febbraio del 2022 la Russia di Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, molti Stati hanno imposto una serie di sanzioni contro l’economia russa, più stringenti rispetto a quelle dopo l’occupazione della Crimea. Si tratta di uno strumento importante in un’economia sempre più interconnessa: gli svantaggi economici derivanti dalle sanzioni servirebbero come deterrente per fermare l’invasione.
Vari pacchetti di sanzioni sono stati varati dall’Unione Europea. Allo stato attuale, le sanzioni che colpiscono la Russia riguardano le esportazioni di prodotti per uso civile e militare così come l’importazione di petrolio, acciaio, cemento, legno e superalcolici.
Oltre a queste vi sono specifiche restrizioni riguardanti i membri del governo di Mosca così come individui vicini al regime. Tra questi, appunto, il presidente Putin e il ministro degli Esteri Lavrov: i loro conti sono stati congelati, e si sono visti limitare le possibilità di movimento. Anche il sistema bancario è stato colpito da sanzioni: l’Europa ha infatti vietato le transazioni con la Banca centrale Russa e congelato le riserve, in modo da rendere più difficile per la Banca centrale operazioni di mercato aperto per stabilizzare il rublo, escludendo inoltre varie banche russe dal sistema Swift, che permette di scambiarsi informazioni riguardo transazioni finanziarie.
Altri paesi, come Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Australia, hanno varato sanzioni nei confronti della Russia di Putin, mentre le aziende cinesi si stanno ritirando dal paese proprio a causa delle sanzioni occidentali. Il Regno Unito ha annunciato proprio il primo gennaio di aver interrotto le importazioni di gas naturale liquefatto.
Today the UK has ended all imports of Russian Liquefied Natural Gas.
— Foreign, Commonwealth & Development Office (@FCDOGovUK) January 1, 2023
We’re cutting Putin off from funding his illegal war and supporting countries around the world to reduce their own dependency.#StandWithUkraine pic.twitter.com/AXEHYhZhSK
Nel corso dell’anno appena trascorso si è più volte acceso il dibattito sull’efficacia delle sanzioni. Non tanto sull’impatto che queste hanno sulle economie di tutto il mondo (su questo non c’è dubbio, almeno nel breve periodo) quanto sull’impatto che queste hanno e avranno sull’economia russa.
Per capire se le sanzioni siano o meno efficaci, dobbiamo affrontare due aspetti: il primo è se e quanto le sanzioni stanno impattando, o impatteranno, la situazione economica russa e la capacità di Vladimir Putin di finanziare la guerra; il secondo è se e quanto incideranno sul potere politico di Putin.
La situazione macroeconomica russa e la guerra
In primo luogo, è utile osservare i dati macroeconomici sull’economia russa nel 2022, anno in cui sono entrate in vigore le sanzioni conseguenti all’invasione su larga scala dell’Ucraina.
Partiamo ovviamente dall’indicatore principale, ovvero il PIL. Dopo il calo del 2020, dovuto alla pandemia, e il rimbalzo del 2021, il PIL russo avrà il segno negativo anche nel 2022. Secondo le stime più recenti il calo del PIL russo nel 2022 raggiungerà il 3.4% per il Fondo Monetario Internazionale (IMF), il 3.9% per l’OECD, il 4.5% per la World Bank. Non lascia ben sperare nemmeno il 2023: qui le stime sono estremamente variabili, passando dal 2.3 per il IMF al 5.6 dell’OECD.
Non va meglio sul fronte inflazione. Si tratta di un problema, come abbiamo detto più volte, che non riguarda solo la Russia ma il mondo intero per una serie di fattori. Eppure anche in questo caso è il paese di Vladimir Putin a fare peggio rispetto agli altri: l’inflazione nel 2022 dovrebbe arrivare, sempre secondo le stime, al 13%, per poi scendere nel 2023, con stime che vanno di nuovo dal 6.8% al 5%.
Anche i mercati finanziari hanno mostrano un andamento negativo. Dopo la chiusura della Borsa di Mosca per quasi un mese dopo l’invasione dell’Ucraina, il MOEX, l’indice utilizzato per valutare l’andamento della borsa russa, non si è mai ripreso segnando un calo di un terzo rispetto al periodo precedente alla guerra.
I dati mostrano quindi una netta flessione dell’economia russa dal punto di vista della variabili macroeconomiche. Tuttavia, rispetto alle aspettative, si assiste a un calo meno pronunciato del previsto: ad aprile infatti le stime dell’IMF stimavano una caduta del PIL attorno al 10%. Secondo il settimanale The Economist, le motivazioni sarebbero, di fatto, tre.
Il primo fattore riguarda le politiche adottate. Putin non ha alcuna competenza economica, anche le motivazioni dietro l’invasione russa dell’Ucraina espresse in un pamphlet nel 2021 non hanno nulla a che vedere con gli aspetti economici. Per questo le competenze economiche sono completamente delegate a esperti come Ėl'vira Nabiullina, presidente della Banca centrale russa. Proprio a lei si devono le manovre in grado di stabilizzare l’economia russa: nel febbraio del 2022 infatti ha raddoppiato il tasso di interesse e agito sul controllo dei capitali, così salvando l’economia russa da un’inflazione stellare. Queste manovre sono però costate caro, circa 100 miliardi di dollari in riserve secondo i dati.
Figura 1: Riserve della Banca Centrale Russa, fonte: Banca centrale russa
Il secondo fattore è invece di tipo storico: rispetto ai paesi occidentali, la popolazione russa ha conosciuto più periodi di recessione. Nell’ultimo quarto di secolo infatti i cittadini russi hanno assistito a ben 4 recessioni severe, a partire da quella che gli storici chiamano “shock therapy”, quel periodo negli anni ‘90 dove il programma di privatizzazioni attuato dal Presidente Boris Nikolaevič Eltsin portò a iperinflazione, incapacità da parte dello Stato centrale di pagare salari e pensioni, aumenti del crimine.
Il terzo fattore riguarda il mercato dei beni energetici. L’economia russa dipende infatti dalle esportazioni di petrolio e gas naturale. Grazie all’aumento dei beni energetici, la Russia ha potuto comunque rimanere in piedi e finanziare la guerra in Ucraina. Nel 2022 il paese ha avuto un aumento del 38% rispetto al 2021 delle entrate dei beni energetici, con un elevato surplus commerciale che deriva anche dal calo delle importazioni. Ciò ha in parte attutito il calo netto di altri settori, come quello automobilistico, dove la Russia dipende fortemente dall’estero e che ha quindi visto un ritorno a una situazione novecentesca, anche dal punto di vista degli standard di sicurezza.
Questo scenario però potrebbe presto cambiare: l’Europa ha infatti varato a dicembre un pacchetto di sanzioni sul petrolio greggio, con limitate eccezioni, e a partire dal febbraio 2023 questo si applicherà anche ai prodotti petroliferi raffinati, assieme a un tetto sul prezzo del petrolio a 60 dollari al barile. Non si può valutare ora l’impatto di queste nuove sanzioni, ma i commentatori sottolineavano (già prima dell’accordo) come questo potrebbe avere, assieme alle strategie per la diversificazione delle fonti energetiche da parte dell’Europa, un impatto consistente sull’economia del paese. Sia appunto per il surplus commerciale sia, e forse in maniera più profonda, per i rapporti che la Russia ha avuto con l’Europa in questi anni.
Vi è stata infatti una sorta di simbiosi tra la Russia di Putin e l’Occidente in questi anni. L’Occidente ha rifornito la Russia di tecnologie, per rendere l’economia di quest’ultima competitiva, e di beni di lusso, per allietare la vita degli oligarchi. La Russia ha invece riversato in Occidente gas e petrolio a prezzi convenienti. Il venir meno di questo rapporto sta portando varie imprese occidentali ad abbandonare la Russia, come rivela una ricerca dell’Università di Yale, danneggiando la Russia anche dal punto di vista militare. Il paese non possiede infatti le tecnologie per essere competitiva su quel fronte e secondo gli esperti le sanzioni stanno colpendo Putin anche sul campo.
Giusto per fare un esempio: il blocco alle esportazioni sta spingendo la Russia a impiegare militarmente semiconduttori originariamente destinati all’uso domestico. Anche carri armati e aviazione, settori in cui la Russia dipende dall’Occidente, appaiono vetusti e potrebbero influenzare l’esito delle operazioni militari.
La Russia e le istituzioni estrattive
Come abbiamo visto, le sanzioni stanno avendo un effetto sia dal punto di vista macroeconomico - nonostante l’impatto sia inferiore alle attese - sia dal punto di vista delle operazioni sul campo. C’è però da chiedersi se le sanzioni favoriranno o meno un cambio di regime e un indebolimento della leadership di Vladimir Putin in Russia.
È infatti necessario ricordare che la Russia, come altri regimi, rientra nel campo dei paesi con istituzioni estrattive, un termine reso popolare dal volume Perché le nazioni falliscono dell’economista Daron Acemoglu e dell’antropologo James Robinson. Mentre le istituzioni inclusive salvaguardano le libertà personali e i diritti di proprietà, incentivando quindi i cittadini alla produzione di ricchezza, le istituzioni estrattive sottomettono l’attività economica al benessere di una ristretta cerchia di persone, come avviene appunto in regimi come la Corea del Nord, la Turchia di Erdogan e, appunto, la Russia di Putin.
Dopo la caduta del regime sovietico, infatti, la Russia non è affatto diventata una liberaldemocrazia occidentale, anzi. Prima con Boris Yeltsin e poi con Putin il paese è sempre stato in mano a una ristretta cerchia, gli oligarchi, che si sono arricchiti grazie alla svendita del patrimonio pubblico dell’URSS e ai legami con il potere politico.
Senza la comprensione del legame tra potere politico e potere economico non è possibile interpretare correttamente la situazione russa. E questo legame ha un impatto anche sull’efficacia delle sanzioni. Come evidenziato dai due studiosi William Kaempfer e Anton Lowenberg, l’efficacia delle sanzioni dipende da quanto queste siano mirate rispetto ai gruppi di potere e interessi interni al paese sanzionato.
Quanto le sanzioni varate dai governi occidentali stiano influenzando le dinamiche interne alla Russia di Putin non è dato saperlo. Sappiamo per certo che le sanzioni hanno deteriorato la vita e gli interessi economici di importanti oligarchi. L’esempio più emblematico è sicuramente quello di Roman Abramovich, ex patron della squadra inglese del Chelsea. Nei primi mesi di guerra si pensava a un ruolo di primo piano per l’oligarca: per Putin era un utile fonte di informazioni riguardo i paesi occidentali, per l’Europa un canale diplomatico per aprire i negoziati con il presidente russo.
Tuttavia nel corso di questi anni il potere di Putin è andato sempre più centralizzandosi, anche grazie alle persecuzioni (o alle esecuzioni) ai danni di dissidenti del regime. La gestione del potere in Russia è tanto opaca quanto sfaccettata; non è possibile, con le informazioni pubblicamente disponibili, valutare l’impatto che questo avrà sull’equilibrio di potere.
Sarà da tenere d’occhio proprio l’impatto che le nuove sanzioni sui beni energetici avranno: quello sarà il test per comprendere se il sistema di potere di Putin mostrerà crepe o rimarrà invece granitico nel suo progetto neo-imperialista.
Che cosa accadrà?
Come abbiamo illustrato, le sanzioni imposte contro la Russia di Putin stanno avendo un effetto a giudicare sia dalle variabili macroeconomiche sia dall’avanzamento delle operazioni militari. Gli effetti che vedremo nel 2023 sull’economia russa, viste le manovre dei paesi europei per rendersi meno dipendenti dal gas e petrolio russo, potrebbero avere effetti ancora più devastanti per l’economia russa. Quello che non sappiamo, però, è come si evolverà la situazione politica sul fronte russo: se la recessione minerà il sistema di potere di Putin facendogli perdere il supporto degli oligarchi o se invece il sistema russo resterà in piedi nonostante tutto.
Immagine in anteprima via independent.org