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Cinismo, opportunismo e radicalizzazione: il caso Sánchez e l’erosione democratica di politica e media

3 Maggio 2024 13 min lettura

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Cinismo, opportunismo e radicalizzazione: il caso Sánchez e l’erosione democratica di politica e media

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Dopo qualche giorno di riflessione il premier spagnolo Pedro Sánchez ha comunicato la decisione di proseguire la sua avventura di governo. Nei giorni precedenti, il sindacato legato agli ambienti neo franchisti di estrema destra Manos Limpias aveva sporto denuncia contro la moglie del Premier, Begoña Gòmez, e la procura aveva aperto un’inchiesta per influenze illecite. Non si tratta però di un caso isolato: la polarizzazione politica in buona parte dei paesi occidentali è aumentata. La conseguenza di una tale polarizzazione, assieme alle nuove tecnologie, è l’utilizzo di tecniche di character assassination attraverso la diffusione di notizie false e accuse farsa.  

Il contesto spagnolo tra indipendentismo e franchismo

Per comprendere più a fondo la questione, è necessario fare un passo indietro. La polarizzazione che contraddistingue l’odierno contesto politico spagnolo risale almeno al tempo del referendum per l’Indipendenza della Catalogna del 2017. La consultazione elettorale, voluta fortemente dal Presidente della Generalitat de Catalunya Carles Puigdemont, aveva generato tumulti, violenze e ripercussioni legali, che avevano portato all’arresto di vari esponenti indipendentisti. Per riportare la situazione sotto controllo il governo spagnolo allora in carica, guidato da Mariano Rajoy, si era avvalso dell’Articolo 155 della Costituzione Spagnola, un articolo che garantisce potere di coercizione da parte dello stato centrale nei confronti di una delle comunità autonoma in cui è divisa la Spagna. Questo esacerbò ancora di più i rapporti tra Madrid e la Catalogna. 

Ed è proprio sulla questione delle autonomie che Sánchez ha trovato terreno fertile per rilanciare la sua carriera politica. Diversamente dall’Italia, la costituzione spagnola prevede la sfiducia costruttiva: non è possibile sfiduciare un governo senza avere una proposta alternativa. Nel 2018, mentre il Partito Popolare era attraversato proprio da scandali di natura giudiziaria legati al caso Gürtel, il Partito Socialista di Pedro Sánchez presentò una mozione di sfiducia, trovando l’appoggio non solo del partito di sinistra radicale Podemos, ma anche di vari partiti regionalisti e indipendentisti tra cui il PDeCAT, partito di centro a favore dell’indipendenza della Catalogna, e la sinistra indipendentista catalana. Questi stessi partiti, insoddisfatti dalla scarsa considerazione di Sánchez nei confronti dell’indipendenza della Catalogna, non votarono la Legge di Bilancio nella primavera del 2019. Ciò costrinse Sánchez e il suo governo a elezioni anticipate, che al secondo tentativo portarono alla formazione del governo Sánchez II. 

Se la questione autonomia/indipendenza ha aperto un varco all’interno della politica spagnola, a peggiorare la situazione c’è il legame tra il Partito Popolare e la formazione di destra radicale Vox. Dopo la fine del governo Rajoy il Partito Popolare ha provato a rilanciare la sua attività politica con Pablo Casado, un leader giovane, ma più a destra del precedente Primo Ministro. La leadership di Casado non ha retto allo scontro con Isabella Diaz Ayuso, Presidentessa della Comunità di Madrid. Nel 2022 infatti Ayuso venne indagata per un appalto legato alla fornitura di dispositivi sanitari: secondo l’accusa il fratello di Ayuso avrebbe ricevuto un lauto compenso per la sua attività di mediatore tra l’azienda e la Comunità di Madrid.

Ayuso era stata convocata dalla direzione del PP per avere formazioni in merito e qualche mese dopo aveva accusato il suo partito di aver raccolto informazioni su di lei e sulla sua famiglia tramite detective privati. Vista anche la fragilità della leadership di Casado, questo era stato costretto a dimettersi, lasciando spazio a un politico all’apparenza più moderato, Alberto Núñez Feijóo. Ma come faceva notare Francesca de Benedetti su Domani, non c’è nulla di moderato in Feijóo una volta che si approfondisce la sua figura. Tanto che la sua politica nei confronti delle alleanze sul territorio con Vox consisteva in un modo elegante di lavarsene le mani, lasciando decidere ai dirigenti locali. 

La virata a destra del partito, che ha rinsaldato il legame con Vox, si è consumata nel dibattito riguardo la Legge sulla Memoria Democratica del governo Sánchez, che aggiornava una precedente legge voluta del Governo Zapatero riguardante il passato franchista. La ferma condanna della dittatura non è andata giù negli ambienti della destra spagnola: nel corso del dibattito, il moderato Feijóo ha definito la legge “smemorata”. La fine del cordone sanitario che aveva estromesso Vox da qualunque collaborazione politica, non ha fatto altro che contribuire alla situazione di profonda frattura della politica spagnola, soprattutto per via delle posizioni di Vox nei confronti dei partiti indipendentisti come vedremo tra un attimo. 

Nella primavera del 2023 il governo Sánchez II è arrivato al capolinea. A sancirne la fine è stata la debacle della sinistra alle elezioni locali del maggio di quell’anno, assieme alle crescenti tensioni tra il gruppo di Podemos e i sostenitori della ministra del Lavoro Yolanda Diaz. In un salto nel vuoto, quindi, Sánchez ha convocato le elezioni per la fine del mese di luglio, nonostante i sondaggi sfavorevoli. Grazie alla mossa avventata di Sánchez però, potendo rivendicare l’azione di governo e grazie allo stato di ottima salute dell’economia spagnola, si è assistito a una rimonta del PSOE che è riuscito, di fatto, a pareggiare le elezioni con il PP di Feijóo. Tuttavia, nessuno dei due principali partiti aveva ottenuto una maggioranza chiara in parlamento. 

I tentativi del PP si concentrarono prevalentemente su Vox, il partito di destra radicale con cui già governava a livello locale. Ma, anche contando i seggi di Vox, che aveva avuto una performance sotto le attese alle elezioni, Feijóo non avrebbe avuto la maggioranza. Per ottenerla avrebbe dovuto far affidamento su partiti regionalisti e, soprattutto, indipendentisti. Non scorre però buon sangue tra questi e Vox, che aveva definito ad esempio il referendum catalano come un “golpe permanente”, rendendo quindi le due scelte mutualmente esclusive e sbarrando la strada a un’investitura di Feijóo come primo ministro. Sánchez, come spiegato in precedenza, aveva già avuto a che fare con i partiti regionalisti e indipendentisti. 

Il punto delicato, però, riguardava le concessioni che avrebbe dovuto fare per ottenere l’appoggio di Junts, la lista che raggruppa i partiti moderati che sostengono l’indipendenza della Catalogna. Ciò ha generato l’insurrezione delle formazioni di destra e varie proteste di piazza. Nei mesi scorsi è stata sempre la Catalogna a creare forti contrapposizioni, questa volta nella maggioranza. Nonostante i partiti indipendentisti avessero richiesto un’amnistia per le persone indagate o imputate per il referendum sull’Indipendenza tra le condizioni per sostenere l’investitura di Sánchez, quando il progetto di legge era arrivato in parlamento non l’avevano votato, sostenendo che non fornisse abbastanza garanzie. Solo in un secondo momento, grazie a ulteriori negoziati, si è giunti all’approvazione del progetto di legge sull’amnistia, generando anche in questo caso l’ira dei partiti di destra. Commentando la proposta di legge sull’amnistia il leader del PP ha usato parole forti, definendo Sánchez un antidemocratico che avrebbe “venduto” la patria. 

Nel frattempo il Presidente della Generalitat Pere Aragonès ha dato le dimissioni, dopo che la sua finanziaria non era stata approvata dal parlamento catalano, portando quindi ad elezioni anticipate. Una delle motivazioni, però, sembra essere il fatto che la legge sull’amnistia sarà approvata, se tutto va secondo i tempi, a luglio. Questo impedirebbe quindi al leader indipendentista Puigdemont di candidarsi alle elezioni, dove invece i socialisti sono dati per favoriti. 

Il caso Manos Limpias 

È in questo clima, quindi, che si inserisce la denuncia dello pseudosindacato vicino agli ambienti di estrema destra Manos Limpias, i cui attacchi contro esponenti della sinistra e del centrosinistra si sono spesso rivelati infondati. Dopo la denuncia, la procura di Madrid ha aperto un’indagine sulla moglie di Pedro Sánchez, Begoña Gómez, per influenze illecite. Secondo quanto riportato dall’accusa, la moglie di Pedro Sánchez avrebbe sfruttato la sua posizione per favorire aziende private nell’erogazione di fondi pubblici durante la pandemia. In particolare, si starebbe discutendo di incontri privati avuti con Javier Hidalgo, amministratore delegato del gruppo turistico che possiede la compagnia aerea Air Europa. Proprio la compagnia avrebbe ricevuto un finanziamento ingente nel contesto della crisi economica causata dalla pandemia. Nei giorni immediatamente successivi però la procura di Madrid ha chiesto che il caso venisse archiviato. 

A seguito della notizia, Pedro Sánchez ha sospeso i suoi impegni istituzionali e ha riferito, con una lettera aperta ai suoi concittadini, di dover riflettere se valga la pena restare al governo visti i continui attacchi da parte della destra e della destra radicale. Non si tratta infatti di un caso isolato: nel corso degli anni Sánchez e la moglie sono stati spesso al centro di accuse lanciate dall’opposto schieramento. Nel corso degli anni, come riporta il Guardian, gli attacchi a Gómez, moglie di Sánchez, sono stati tra i più vari: ad esempio, accuse di essere transgender, di traffico di droga in Marocco, di gestire un giro di prostituzione. Nei confronti di Sánchez, più volte la destra lo ha definito autoritario, lo ha dipinto come un politico machiavellico che sta cercando di riportare la dittatura. Addiritura Ayuso lo ha chiamato “figlio di puttana”, nonostante il suo staff abbia tentato di confutare. Durante una protesta nel giorno di capodanno, un gruppo di estremisti di destra ha esposto un’effigie di Sánchez, in un clima ancora più teso dopo gli accordi con gli indipendentisti catalani per la formazione del nuovo governo.  Non sono mancati gli attacchi dopo che Sánchez ha ricevuto il supporto della sinistra indipendentista basca, con il leader dei popolari che in un dibattito televisivo gli ha chiesto come facesse a dormire. 

Oltre a questi attacchi, il premier ha anche ricevuto sostegno da più parti, a cominciare dai suoi alleati di governo, nonostante le tensioni con gli indipendentisti legate alle prossime elezioni in Catalogna, dove il PSOE è avanti nei sondaggi. A Madrid si sono viste manifestazioni a sostegno del primo ministro. Il silenzio di Sánchez è durato fino a lunedì quando dopo un colloquio con Re Filippo VI ha deciso di continuare la sua esperienza di governo: smentite quindi non solo le voci di dimissioni, ma anche quelle di un voto di fiducia in parlamento. Nell’annunciare le sue intenzioni, Sánchez ha ribadito la necessità di difendere la democrazia da questi attacchi brutali, che non riguardano solo la Spagna. 

La polarizzazione sta erodendo la democrazia

Il caso spagnolo, infatti, non è isolato: l’aumento della polarizzazione sociale (affective polarization), quindi del disprezzo tra i principali schieramenti nonché tra sostenitori di partiti differenti, sta portando sempre di più a metodi non politici per sbarazzarsi degli avversari. Tra questi c’è, appunto, il lancio di accuse o di pettegolezzi che possano danneggiare l’avversario. Due cose paradigmatici provengono dal passato recente.

Il primo riguarda la campagna elettorale per le presidenziali francesi del 2017, quando l’ondata di Marine le Pen fu contrastata dal movimento dell’ex ministro delle finanze socialista, poi dimessosi, Emmanuel Macron. Nel corso della campagna, erano emerse delle indiscrezioni secondo cui Macron avrebbe usato la moglie Brigitte come copertura della propria omosessualità, avendo in realtà una relazione con il direttore di Radio France Mathieu Gallet. Questo avrebbe dovuto, secondo i detrattori, danneggiare l’immagine pubblica di Macron. 

Il secondo invece riguarda le riprese di una festa privata dell’ex ministra capo finlandese Sanna Marin. Nonostante il video non contenesse alcun reato, i critici lo hanno utilizzato per screditare Marin, accusata di non avere un comportamento degno del ruolo che ricopre, insinuando anche l’uso di droghe. Successivamente sono emersi altri video di Marin, dove flirtava con un uomo diverso da suo marito - la coppia avrebbe poi ufficializzato il divorzio da lì a pochi mesi. 

Questo tipo di pratiche, che prende il nome di character assassination, sono state amplificate dalla cassa di risonanza offerta dai social media, che permettono di raggiungere un maggior numero di persone. Le modalità di contagio dei social media infatti permettono di raggiungere un pubblico più ampio in un singolo evento (broadcast diffusion) e allo stesso tempo, grazie alla tendenza di formare gruppi di persone con vedute simili, di innescare una viralità di tipo strutturale (anche se la questione è estremamente più complessa). Inoltre, uno studio riguardante le proteste negli Stati Uniti suggerisce la validità della tesi “amplificazione della destra”: secondo questa tesi la struttura sociale e tecnologica conferisce maggior visibilità ai contenuti di destra. Altri ricercatori hanno invece evidenziato come determinati social media come Facebook tendono a dare maggior visibilità a post che generano rabbia: l’algoritmo pesava in maniera diversa i like e le angry reactions, dando più peso a quest’ultime. Anche i media tradizionali hanno contribuito a questa dinamica e alle sue asimmetrie. In Network Propaganda (2018) i ricercatori del Berkman Klein Center hanno hanno analizzato l’asimmetria dell’ecosistema informativo negli Stati Uniti: mentre i media progressisti sono più vicini a fonti centriste, i media di destra, pensiamo ad esempio a Fox News, sono più aggressivi e di parte. 

Le modalità di diffusione sui social network hanno dato luogo a due trasformazioni nel campo dell’informazione. Da una parte abbiamo assistito all’emergere di siti o profili dediti alla diffusione di questo tipo di accuse. Dall’altra, anche i giornali e siti tradizionali hanno via via sfruttato sempre più il clickbaiting o la diffusione di notizie non verificate, facendo da megafono invece che da filtro. 

Se di per sé la character assassination pone comunque dei problemi (non sappiamo se la notizia diffusa sia vera o falsa) è ancora più problematico il caso del lawfare, cioè la strumentalizzazione della legge per danneggiare avversari politici. Un caso italiano appartenente al passato recente è quello riguardante l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. Durante il suo mandato, gli venne imputato di aver fatto cancellare delle multe della sua “Panda Rossa”, divenuta poi famosa durante il caso, e di aver pagato cene private con la carta del comune. Questi problemi costrinsero Marino alle dimissioni, poi ritirate. Ma le dimissioni in massa di esponenti del suo stesso partito lo fecero decadere nel 2015. 

Un altro esempio sono, al contrario, le querele temerarie (o SLAPP). Si tratta di quelle querele sporte da politici o altri individui nei confronti di giornalisti o anche di singoli cittadini senza che vi sia un reato. Nel caso del giornalismo, la querela temeraria si trasforma in uno strumento per mettere a tacere il giornalista. 

Il problema del lawfare, come fa notare José Luis Martí, professore di filosofia del diritto all’Università Pompeu Fabra di Barcellona, risiede nel paradosso che per accertare l’infondatezza di determinate accuse è necessario l’intervento di quello stesso sistema giudiziario che si ritiene politicizzato. Non solo: questo fenomeno può essere il trampolino di lancio per minare la credibilità di un personaggio politico (o di un personaggio pubblico), usando la forza dei giornali e dei social media per diffondere la notizia. 

Come salvare l’informazione nel mondo del capitalismo algoritmico

Il caso spagnolo, quindi, non deve essere visto come isolato, quanto come caso di studio di pratiche alla lunga destabilizzanti. Ma risolvere il problema potrebbe essere più difficile di quanto non si pensi. Vale però la pena porre l’accento su due aspetti. Il primo riguarda la trasparenza degli algoritmi e delle regole di moderazione. È opportuno chiedersi ad esempio se e in quale misura gli Stati debbano intervenire sugli algoritmi e sulle regole di moderazione dei social media che hanno poi un impatto sul futuro politico del paese. 

Su questo fronte vi sarebbe anche la discussione, da tempo trattata, dell’esistenza di account, spesso bot, il cui ruolo nei social è proprio rilanciare determinate notizie per supportare una determinata parte politica. Dopo l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, la questione si è fatta ancora più seria: nonostante Musk in pubblico parli di aumentare la trasparenza, ha eretto un muro per i ricercatori e gli analisti, mettendo a pagamento l’accesso all’API del social media. Il costo dell’accesso non è sostenibile per singoli ricercatori e questo sta peggiorando il monitoraggio di quello che succede sulla piattaforma, che dalle poche informazioni che si hanno si è spostata verso contenuti più controversi. Anche altre piattaforme stanno smantellando apparati contro la disinformazione e l’hate speech

In questo caso la questione si fa delicata: proposte come l'autenticazione tramite i documenti personali per accedere a un social appare come una soluzione a portata di mano, ma in realtà non risolverebbe il problema della diffusione di notizie false. Nemmeno la Legge Francese, che permette a un giudice di richiedere la rimozione di una notizia falsa dal web, sembra essere uno strumento adeguato: questo tipo di proposta rischia in realtà di lasciare ampia discrezionalità all’autorità giudiziaria, con possibili rischi sul fronte censura. 

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Il secondo aspetto riguarda invece il mondo dell’informazione, soprattutto quello legato ai blog e giornali online. Nella sua intervista a Hoy por Hoy, Sánchez ha dichiarato che serve indagare più approfonditamente sui finanziamenti ai vari siti web che diffondono notizie. Una maggior trasparenza riguardo i finanziatori è sicuramente un passo in avanti, ma ciò non risolve la crisi del mondo dell’informazione in un contesto di crescente polarizzazione e disuguaglianze come quella di oggi, stretto da una parte dalla presenza di blog/siti internet dediti alla diffusione di notizie false e dall’altra da grandi giornali o gruppi editoriali in mano a personaggi che hanno i loro interessi economici. Pensiamo ad esempio a Jeff Bezos che dal 2013 possiede ilWashington Post e che nel corso del 2022 (a torto o ragione, qui la discussione non è accademica) ha utilizzato il giornale per contrastare le idee di Biden sul ruolo delle grandi aziende nel trainare l’inflazione. Un altro esempio è quello di Rupert Murdoch: l’ex primo ministro australiano Kevin Rudd ha dichiarato nel 2021 che durante la sua permenenza in politica si è sentito costantemente spaventato dalla capacità mediatica detenuta da Murdoch, che avrebbe influenzato più elezioni per sfavorire il Labour Party. Questo sentimento, riporta Rudd, è condiviso da molti politici di sinistra del paese. In precedenza l’impero di Murdoch era stato attraversato dal Phone Hacking Scandal: i giornalisti del News of the World e di altri giornali di Murdoch avevano instaurato una vasta rete di intercettazioni illegali per ottenere informazioni sensibili. 

Il rischio quindi non viene soltanto da blog o siti internet, ma dalla stessa stessa industria dell’informazione in cui grandi proprietari spingono per una determinata linea politica, costi quel che costi.

(Immagine anteprima via Flickr)

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