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Egitto, condannata a 18 mesi di prigione la regista e attivista Sanaa Seif per “diffusione di notizie false”: un altro duro colpo alla libertà di espressione

23 Marzo 2021 5 min lettura

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Egitto, condannata a 18 mesi di prigione la regista e attivista Sanaa Seif per “diffusione di notizie false”: un altro duro colpo alla libertà di espressione

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Un tribunale egiziano ha condannato mercoledì scorso la regista e attivista per i diritti umani Sanaa Seif a 18 mesi di reclusione giudicandola colpevole di "diffusione di notizie false" e "uso improprio dei social" sulla gestione dei focolai di COVID-19 nelle carceri del paese.

La sentenza rappresenta l'ennesimo colpo alla libertà di espressione in Egitto e solleva ulteriori preoccupazioni sull'imparzialità del sistema giudiziario.

Seif, che dal 2014 è stata già imprigionata due volte, era stata prelevata da forze di sicurezza non identificate, senza mandato, e arrestata il 23 giugno scorso mentre cercava di sporgere denuncia per un'aggressione che aveva subito il giorno precedente.

Amnesty International ha analizzato l'ordine di arresto e ha scoperto che includeva informazioni false poiché sosteneva che la donna fosse stata stata arrestata a un posto di blocco e che le fosse stato mostrato un mandato di cattura.

La 27enne è una dei figli di Ahmed Seif al-Islam, avvocato per i diritti umani deceduto quasi sette anni fa, e di Laila Soueif, docente presso l'Università del Cairo e attivista. Suo fratello, Alaa Abdel Fattah, blogger e attivista – che si trova in carcere dal 29 settembre 2019 quando le autorità egiziane hanno lanciato la più ampia campagna repressiva dalla salita al potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi con l'arresto di più di 2.800 persone, di cui più di 111 minorenni – è stato tra i protagonisti della rivolta egiziana del 2011.

Per Amnesty International Seif è stata condannata "con false accuse dovute esclusivamente alle sue critiche pacifiche".

Dalla ricostruzione fornita dalla ONG, il 22 giugno 2020 Seif, sua madre e sua sorella Mona, mentre aspettavano la consegna di una lettera di Alaa Abdel Fattah all'esterno del complesso carcerario di Tora, sono state aggredite da un gruppo di donne che le ha picchiate con bastoni e derubate. Secondo quanto riferito da Amnesty International, un agente di polizia ha spinto Laila Soueif verso le assalitrici e, dalle foto esaminate, l'aggressione ha lasciato segni visibili sui corpi delle tre vittime.

I pubblici ministeri hanno successivamente accusato Sanaa Seif di aver diffuso "notizie false sul deterioramento della situazione sanitaria del paese e sulla diffusione del coronavirus nelle carceri", nonché di "uso improprio dei social media" e offese a un pubblico ufficiale in servizio.

Tra marzo e agosto 2020, il governo egiziano ha sospeso le visite in carcere per timori legati alla diffusione della pandemia di COVID-19 senza però fornire soluzioni alternative per comunicare con i detenuti.

A giugno, i familiari di Alaa Abdel Fattah, tra cui Seif, avevano chiesto alle autorità penitenziarie di ricevere una lettera del loro congiunto per verificarne le condizioni di salute. Come accaduto già altre volte la richiesta è stata rifiutata.

Da quando la pandemia si è diffusa in Egitto e alla famiglia di Fattah è stato negato l'accesso in prigione, Saana Seif ha accusato le autorità carcerarie, via social, di aver gestito male i focolai.

"L'Egitto di al-Sisi è un incubo. Vuole di distruggere le loro vite e la loro salute in prigione #FreeSanaa #FreeAlaa", aveva scritto su Facebook.

In un rapporto pubblicato il 20 luglio scorso Human Rights Watch ha documentato diversi focolai sospetti nelle carceri e nelle stazioni di polizia tra lo scorso marzo e luglio, periodo durante il quale ritiene che almeno 14 prigionieri siano morti per complicazioni dovute al COVID-19.

Il 12 marzo scorso trentuno Stati rappresentati dalla Finlandia – inclusi gli Stati Uniti – hanno espresso una forte condanna contro l'Egitto sottoscrivendo una dichiarazione congiunta, inviata alla 46esima sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, in cui hanno manifestato profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani nel paese.

Nel documento sono evidenziate le restrizioni alla libertà di espressione e al diritto di manifestazione pacifica, la limitazione allo spazio per la società civile e per l'opposizione politica e l'applicazione delle leggi anti-terrorismo contro chi esprime critiche pacificamente, come nel caso di Seif.

I trentuno paesi hanno esortato le autorità egiziane a garantire lo spazio per la società civile – compresi i difensori dei diritti umani – per permettere di lavorare senza timore di intimidazioni, molestie, arresti, detenzioni o qualsiasi altra forma di rappresaglia e hanno chiesto, inoltre, di revocare le restrizioni sui media e sulla libertà digitale, di porre fine alla pratica del blocco dei siti web dei media indipendenti e di rilasciare tutti i giornalisti arrestati nell'esercizio della loro professione.

Pur riconoscendo il ruolo dell'Egitto nel mantenere la stabilità regionale, nella gestione della migrazione e nella lotta contro terrorismo – nel pieno rispetto delle leggi internazionali in materia di diritti umani – i trentuno Stati si dicono profondamente preoccupati per l'applicazione delle leggi anti-terrorismo contro attivisti per i diritti umani, membri della comunità LGBTI, giornalisti, politici e avvocati.

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Per questo motivo hanno sollecitato l'Egitto a porre fine all'uso di capi d'accusa per reati connessi al terrorismo per imprigionare difensori dei diritti umani e attivisti della società civile, alla custodia cautelare prolungata e alla pratica di aggiungere nuovi capi d'imputazione alla scadenza del limite legale per la custodia cautelare.

Il ministero degli Esteri egiziano ha respinto la dichiarazione che ha definito sorprendente e che include "affermazioni basate su informazioni inesatte".

Immagine anteprima via Mai El-Sadany

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