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Salvini e il falso allarme su migranti e tubercolosi

15 Settembre 2018 9 min lettura

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Salvini e il falso allarme su migranti e tubercolosi

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"Immigrato malato e in fuga, forse inconsapevole della gravità della sua condizione. Quanti casi come questo? Purtroppo la tubercolosi è tornata a diffondersi, gli italiani pagano i costi sociali e sanitari di anni di DISASTRI e di invasione senza regole e senza controlli. Dicevano che eravamo cattivi, allarmisti, pericolosi... Ce l'ho messa e ce la metterò tutta per invertire la rotta".  In un post su Facebook, tre giorni fa il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha concentrato ancora una volta le sue attenzioni sui pericoli correlati a un'invasione senza regole e senza controlli di immigrati in Italia. Fatto salvo che – come vantato dallo stesso Salvini in diverse occasioni e come mostrato dalle statistiche ufficiali pubblicate ieri dal Ministero dell'Interno – non si può parlare di invasione incontrollata di migranti nel nostro paese, questa volta ad allarmare è il rischio che gli immigrati possano contagiare gli italiani diffondendo epidemie che si pensavano superate, come la tubercolosi.

Immigrato malato e in fuga, forse inconsapevole della gravità della sua condizione. Quanti casi come questo? Purtroppo...

Pubblicato da Matteo Salvini su Mercoledì 12 settembre 2018

Nel post Salvini parte dall'episodio di un immigrato proveniente dalla Guinea, colpito dalla tubercolosi, scappato dall'ex hotel Virginia di Sandrigo, una struttura utilizzata per l'accoglienza dei migranti nel vicentino, per generalizzare e chiedersi: "Quanti casi come questi?". Una domanda – che un ministro della Repubblica non dovrebbe fare ma alla quale dovrebbe al massimo dare una risposta – posta lì per insinuare l'idea di essere davanti a un fenomeno incontrollato e diffondere la percezione della presenza di un potenziale untore. A sostegno di queste affermazioni il ministro dell'Interno non ha citato dati ma ha linkato un articolo del Gazzettino dell'11 settembre.

Il pezzo riportava le parole del presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti (eletto per la Lega Nord proprio nella circoscrizione di Vicenza), che si diceva preoccupato per la fuga di un «immigrato clandestino [ndr, in grassetto nell'articolo originale], (...) potenziale veicolo infettivo» (nonostante l'isolamento degli spazi dove aveva vissuto l'ammalato e lo screening delle persone con cui era venuto in contatto), e per il numero dei casi di tubercolosi registrati nella provincia di Vicenza, passati «dai 16 nel 2015 ai 40 già individuati quest'anno, dato che non va sottovalutato ma nemmeno enfatizzato». «Con il clandestino ammalato di Tbc fuggito da Sandrigo – prosegue il presidente del Consiglio regionale del Veneto – abbiamo una ulteriore riprova di quanto abbiamo detto da anni: la cittadinanza è chiamata a pagare i costi non solo economici ma anche sociali e sanitari di politiche scellerate in cui c'è chi ha fatto i soldi a palate». In buona sostanza, le parole che poi avrebbe ricalcato Salvini su Facebook.

Ma a quali dati si riferiva Ciambetti quando nell'articolo parla di «incremento dei casi di Tbc e la diffusione di questa malattia gravissima tra immigrati ed extracomunitari»? Chi li ha diffusi? Qual è il loro contesto?

Da dove tutto è partito

Tutto è partito da un articolo pubblicato da Il Giornale di Vicenza (lo stesso quotidiano che ad agosto aveva diffuso la presunta notizia della protesta dei migranti per avere l'abbonamento a Sky, rivelatasi poi infondata e smentita anche da fonti ufficiali, come ricostruivamo qui) la mattina dell'11 settembre.

Al reparto malattie infettive dell'ospedale San Bortolo di Vicenza, "l'unico della provincia a essere dotato, per una malattia ad alto grado di contagiosità, di stanze di isolamento", si legge nel pezzo, ci sarebbe un aumento dei casi di tubercolosi al punto tale da parlare di "emergenza". Rispetto al 2017, quando i ricoveri erano stati 38, al 2016 quando si erano fermati a 25 e nel 2015 a 16, nel 2018 la proiezione sarebbe di 40 malati. L'impennata, riporta il giornalista Franco Pepe, negli ultimi giorni, con la segnalazione di "una ventina [ndr, di casi] su un territorio ad alto rischio per la presenza di lavoratori immigrati arrivati da paesi in cui la tbc è endemica".

In serata esce l'articolo del Gazzettino e il giorno successivo, il 12 settembre, Libero dedica un'intera pagina all'argomento, rilanciata proprio dal presidente del Consiglio regionale del Veneto, Ciambetti, sul proprio profilo Facebook, con la didascalia "Importazioni pericolose...". Il riferimento è alla tubercolosi, definita in un'infografica presente sul quotidiano, "malattia di importazione".

Importazioni pericolose ...

Pubblicato da Roberto Ciambetti su Mercoledì 12 settembre 2018

La pagina di Libero ospita due articoli: un focus sugli ultimi casi sul vicentino e un riepilogo sulla diffusione della malattia in Europa e in Italia nel 2016. Il titolo dell'articolo di spalla parla di "boom di casi nel vicentino" e di "40 infettati dall'inizio dell'anno" senza alcun riscontro in quanto riportato nel corpo del testo: i "40 infettati dall'inizio dell'anno" diventano "una proiezione finale stimata dalle strutture sanitarie della provincia di quaranta" e il "boom di casi" diventa un "trend in crescita". Il pezzo riprende i dati citati da Il Giornale di Vicenza il giorno prima e ospita l'intervista del professore Vinicio Manfrin, direttore del reparto di Malattie Infettive dell'ospedale di Vicenza, che, pur parlando di «trend in crescita» (dai 16 casi del 2015, ai 25 del 2016 fino ai 38 del 2017), sottolinea come non si possa parlare «di circuito epidemico». L'articolo di apertura parla di "aumento di tubercolotici in Italia" ma si limita a riportare, decontestualizzati, i dati dei casi di tubercolosi nel 2016 senza alcun riferimento agli anni precedenti per poter stabilire una comparazione. Su quali basi parlare, dunque, di incremento della diffusione della malattia?

In mattinata, Il Giornale e il ministro dell'Interno Salvini riprendono le parole di Ciambetti e le principali testate giornalistiche rilanciano «il ritorno della diffusione della tubercolosi».

Immediate arrivano la replica della Società italiana di Medicina delle migrazioni (Simm) e le precisazioni della Prefettura di Vicenza. Il presidente della Simm, Maurizio Marceca, dell'Università La Sapienza di Roma, spiega che, per quanto riguarda il caso specifico (l'immigrato fuggito dalla struttura di accoglienza nel vicentino), l'azienda sanitaria locale (Ulss 8) era già intervenuta e aveva controllato tutte le persone entrate in contatto con la persona infetta da tubercolosi, e, in generale, non c'è in Italia «alcun allarme tubercolosi legato agli immigrati» come mostrato dalle «Linee guida dell’Istituto superiore di sanità per il controllo delle tubercolosi tra gli immigrati in Italia, pubblicate nel 2018». Rispetto alle parole di Salvini, che aveva associato la diffusione della tubercolosi alla presenza degli immigrati, Marceca aggiunge che «bisogna trattare questo tipo di tematiche con molto senso di responsabilità, perché quando si parla di tbc si rischia di creare allarme, anche laddove un allarme non esiste. Intervenendo con affermazioni poco scientifiche si rischia di creare panico sociale».

Successivamente arriva la rassicurazione del viceprefetto vicario di Vicenza, Lucio Parente, che ribadisce che «sotto l'aspetto sanitario non c'è nulla da temere» perché erano stati fatti tutti i controlli del caso e la struttura di accoglienza ospitava un numero limitato di persone.

Ieri, infine, il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha indirettamente risposto alla domanda del ministro dell'Interno Salvini: «in Italia non c'è alcun allarme per la tubercolosi in relazione alla presenza di migranti» e, se ci fosse stato, «il ministero e l'Istituto Superiore di Sanità lo avrebbero segnalato».

Cosa dicono i dati

"Non stiamo facendo allarmismo: purtroppo i numeri parlano chiaro", scrive Libero nel suo articolo sui ricoveri per tubercolosi all'ospedale San Bortolo di Vicenza. E i numeri, in effetti, dicono in modo chiaro che non si può parlare di "boom di casi nel vicentino" né di "aumento dei tubercolotici in Italia". Da noi contattato, l'ospedale ci ha fatto sapere che "i casi notificati di tubercolosi al 31 agosto sono stati 20 in tutto dall'inizio dell'anno" e che "non è possibile stabilire con certezza una proiezione". Un dato diverso da quanto riportato Il Giornale di Vicenza e da Libero, che parlavano di una "ventina di casi, tutti stranieri, soltanto in questi giorni" e di una "proiezione finale di quaranta". Per quanto riguarda gli anni precedenti, i casi notificati sono stati 39 nel 2017 (38 per Il Giornale di Vicenza e Libero) e 32 nel 2016 (25 per i due quotidiani). I due giornali indicano cifre più basse e poi parlano di impennata, ma in base ai dati che ci ha fornito l'ospedale non c'è nessuna impennata. Sono numeri da non sottovalutare ma che non consentono di parlare né di boom né di incremento tantomeno di epidemia. Va specificato che questi dati non riguardano l'intera provincia di Vicenza ma solo la Ulss 8 di cui l'ospedale San Bortolo fa parte e che copre un bacino di 500mila abitanti.

Osservando i dati pubblicati dalla Regione Veneto, si può notare che i casi accertati in provincia di Vicenza nel 2016 sono stati in tutto 67 (50 stranieri, 17 italiani), la più colpita in termini assoluti.

Tubercolosi nella Regione Veneto – Dati al 31 dicembre 2016

Più in generale, negli ultimi venti anni, si è registrato un calo costante con oscillazioni in alcune annate.

Tubercolosi nella Regione Veneto – Dati al 31 dicembre 2016

Tra gli stranieri, i continenti di origine della maggior parte dei casi, negli ultimi 5 anni, sono l’Europa e l’Africa. Le popolazioni che presentano il numero più alto di affetti da tubercolosi sono quella romena (237 casi pari al 22,3% del totale dei casi tra gli stranieri) e quella marocchina (176 casi pari al 16,5%), seguite da indiani, nigeriani, senegalesi e bangladesi.

Tubercolosi nella Regione Veneto – Dati al 31 dicembre 2016

Anche a livello nazionale si registra un calo costante di casi notificati di tubercolosi. Secondo i dati raccolti dall’ECDC (Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), pubblicati lo scorso 24 marzo in occasione della Giornata Mondiale della Tubercolosi, ogni anno dal 2012 al 2016 (anno cui si riferisce il rilevamento) in Italia il tasso di notifica di tubercolosi è diminuito in media del 1,8% ogni anno e, scrive Cristina Da Rold su Il Sole 24 Ore, "l’Italia rimane un paese a bassa incidenza di tubercolosi (<20 casi/100.000)".

Nel 2016 sono stati notificati 4032 casi di tubercolosi (6,6 persone ogni 100mila abitanti) in leggero calo rispetto agli ultimi 10 anni (7,4 casi per 100mila abitanti nel 2008). Nel 1955 erano stati notificati 12.247 casi di tubercolosi, cioè 25,3 ogni 100mila persone. L'Italia è il paese con l'incidenza più bassa rispetto a Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Anche rispetto al tasso di mortalità, l'andamento è stabile con 0,6 persone morte ogni 100mila abitanti (nel 1955 erano 22,5 su 100mila persone).

La percentuale di nuove diagnosi su persone straniere è aumentata di 6 punti percentuali, passando dal 56% al 62%, anche in questo caso tra i più bassi d'Europa ("in Germania gli stranieri colpiti sono il 69% del totale dei nuovi casi, nel Regno Unito il 70,8% e in Francia il 56%. In paesi come la Norvegia e la Svezia quasi il 90% delle diagnosi riguarda persone non native. In Olanda il 75%").

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Inoltre, come rilevano le Linee Guida del Ministero della Salute, il rischio di malattia è in calo anche tra gli stranieri. Se, infatti, "tali casi vengono messi in relazione con l’aumento della popolazione straniera in Italia, che negli ultimi dieci anni è più che raddoppiata, risulta una diminuzione dell’occorrenza di Tbc, con frequenze più che dimezzate: da 84,1 casi per 100.000 stranieri residenti nel 2006 a 44,5 per 100.000 nel 2016". Il carcere, segnala Da Rold, è uno dei principali fattori di rischio per contrarre la malattia, "25 volte più elevato. Il 6% dei nuovi casi di tubercolosi nella regione europea si è verificato in prigione, con una differenza fra paesi dell’Unione Europea e non rispettivamente di 862 e 1144 casi per 100 mila persone".

Foto in anteprima: Ansa via Corriere della Sera

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