Dopo Navalny
7 min lettura
“Abbiamo espresso le più sentite condoglianze dell’UE a Yulia Navalnaya Vladimir Putin e il suo regime saranno ritenuti responsabili della morte di Alexei Navalny. Come ha detto Yulia, Putin non è la Russia. La Russia non è Putin Continueremo a sostenere la società civile russa e i media indipendenti”. Josep Borrell, Alto rappresentante per gli Affari esteri dell'Ue
"Le notizie arrivano lentamente nelle baracche del campo e ho saputo della morte di Alexei Navalny solo ieri. È difficile trasmettere il mio shock, è difficile tentare di mettere insieme i pensieri, il dolore e l'orrore sono insopportabili.
Eppure non rimarrò in silenzio: dirò ciò che considero importante.
Per me non ci sono dubbi: cosa è successo a Navalny? Non ho dubbi che sia stato ucciso. Per tre anni Alexey è stato sotto il controllo delle forze di sicurezza, che già nel 2020 hanno organizzato un attentato senza successo alla sua vita. Adesso hanno portato a termine il lavoro.
Per me la domanda non è chi è stato ad ucciderlo, non ho dubbi che sia stato Putin, è un criminale di guerra. Navalny era il suo principale avversario in Russia e suscitava odio nel Cremlino. Putin aveva sia motivazioni che opportunità. Sono convinto che sia stato lui a ordinare l'omicidio.
Capisco come la propaganda statale inizierà a manipolare l'opinione pubblica. Diranno che la morte di Navalny non è conveniente per il presidente, che ucciderlo un mese prima delle elezioni è illogico, che Putin è concentrato sulla politica globale e non ha tempo per pensare a qualche prigioniero... Totale sciocchezza, respingetela apertamente. Dopo l’avvelenamento di Alexey nel 2020, la propaganda ha difeso Putin con l’argomentazione “se volesse uccidere, ucciderebbe”. Infatti voleva uccidere e ha ucciso, e non si è fermato a questo, ha ucciso dimostrativamente soprattutto alla vigilia delle elezioni, così che di fatto nessuno dubitasse del coinvolgimento di Putin. Ha anche ucciso così Prigozhin, in modo che nessuno ne dubitasse.
Secondo Putin questo è il modo in cui si afferma il potere: attraverso l’omicidio, la crudeltà e la vendetta dimostrativa. Ma non è il modo di pensare di uno statista, questa è più mentalità di un capobanda. Quindi ammettiamolo onestamente: Putin è il leader della struttura mafiosa che si è fusa con il nostro Stato. È privo di qualsiasi restrizione morale o legale. Mantiene le persone nella paura e imprigiona e distrugge coloro che non hanno paura.
Ecco perché hanno sparato a Boris Nemtsov [ndr, Il leader dell’opposizione russa è stato ucciso non lontano dal Cremlino nel febbraio 2015, Aveva preparato, poco prima di essere ucciso, il dossier "Putin. War" che dimostrava la presenza delle forze armate russe nell'Est dell'Ucraina]. Ecco perché Alexei Navalny è stato ucciso. Per tre anni in prigionia è stato torturato in celle di isolamento e umiliato. affinché chiedesse pietà. Non ha funzionato e così è stato privato della sua vita.
Il confronto tra Navalny e Putin ha mostrato la portata delle personalità di entrambi. Alexey rimarrà nella storia come un uomo dal coraggio eccezionale, che è andato avanti per ciò in cui credeva. Ha camminato disprezzando la paura e la morte, camminava con il sorriso e la testa alta, ed è morto da eroe.
Putin rimarrà solo un piccolo uomo che ha ricevuto per caso un enorme potere. Un personaggio che si nasconde in un bunker, uccide di nascosto e tiene in ostaggio dei suoi complessi milioni di persone. Ma io non desidero che muoia, sogno che risponda dei suoi crimini non solo davanti al tribunale di Dio, ma anche davanti a quello degli uomini.
Alexey Navalny era mio amico, come Boris Nemtsov . Abbiamo lottato per una causa comune e abbiamo dedicato la nostra vita a rendere la Russia pacifica, libera e felice. Ora entrambi i miei amici sono morti. Sento un vuoto nero dentro. E, naturalmente, comprendo i miei rischi: sono dietro le sbarre, la mia vita è nelle mani di Putin ed è in pericolo, ma continuerò a restare fedele alla mia linea.
Stando davanti al corpo di Boris nel febbraio 2015, ho giurato a me stesso di non aver paura, di non arrendermi e di non scappare. Nove anni dopo, in lutto per Alexey, posso solo ripetere questo giuramento.
Finché il cuore mi batterà nel petto, combatterò la tirannia. Finché vivrò, non avrò paura di alcun male. Finchè respirerò, sarò con la mia gente.
Lo giuro.
Alexey, riposa in pace, fratello.
Yulia, Lyudmila Ivanovna, Anatoly Ivanovich, Oleg, Dasha, Zakhar, resistete.
Sono con voi".
Sono le parole di Ilya Yashin che abbiamo potuto leggere sul suo canale telegram, pochi giorni dopo la notizia della morte di Navalny. Yashin è stato uno dei pochi politici dell'opposizione che ha scelto di rimanere in Russia dopo che Mosca ha lanciato l'invasione su larga scala dell'Ucraina, a dispetto delle chiare minacce delle autorità. Si è apertamente opposto alla guerra e ha parlato pubblicamente dei crimini di guerra commessi dai soldati russi - una decisione che gli è costata una condanna a 8 anni e mezzo di carcere per aver diffuso "disinformazione". Anche da dietro le sbarre, però, ha continuato a parlare contro l'invasione e a difendere i diritti dei russi.
In questi giorni è stato pubblicato lo scambio epistolare avvenuto fra marzo e aprile del 2023 fra Navalny e Nathan Sharansky, ex vice primo ministro di Israele all’inizio del nuovo secolo, e figura mitica della dissidenza sovietica nel secolo precedente. Sharansky ha trascorso 9 anni dal '77 all’86 nel gulag siberiano Perm-36. “Sono scoppiato a ridere”, scrive Navanly riferendosi a quando, leggendo il libro di Sharansky ‘Non temere alcun male’, ha riconosciuto la propria punizione inflitta dalla Russia di Putin in quella inflitta a Sharansky dall’Unione Sovietica.
“Il tuo libro mi ha dato speranza - scrive Navalny - perché la similitudine fra i due sistemi - l'URSS e la Russia di Putin - le loro somiglianze ideologiche, l'ipocrisia alla base della loro essenza, la continuità dall'una all'altra, tutto ciò garantisce un ugualmente inevitabile collasso”.
Navalny non era il solo. Abbiamo il dovere di ricordare che in galera per essersi opposti a Putin, al suo sistema criminale e alle sue bugie sulla guerra in Ucraina, ci sono diverse figure: Yuri Dmitriev, Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin, Alexei Gorinov, Lilia Chanysheva, Ksenia Fadeeva, Alexandra Skochilenko e Ivan Safronov. Ilia Yashin, sempre su Telegram, ha espresso la sua forte paura per la vita di Kara-Murza, rivolgendo un appello ai leader occidentali affinché utilizzino tutte le strade diplomatiche per un suo rapido rilascio: "Dopo l’omicidio di Navalny è risultato evidente che la vita di ogni prigioniero politico russo fosse in pericolo. Ma il destino di Kara-Murza è particolarmente allarmante. Da un lato, Alexey e Vladimir non sono affatto simili. D’altra parte hanno molto più in comune di quanto possa sembrare a prima vista. Entrambi hanno creato problemi personali alla cerchia di Putin. Navalny con le indagini e rivelazioni anti-corruzione. Kara-Murza facendo pressioni per sanzioni personali in Occidente... Il sistema carcerario è del tutto spietato nei confronti di entrambi. Alexey e Vladimir non hanno lasciato la cella di punizione e sono stati sottoposti a condizioni di tortura. Entrambi hanno avuto gravi problemi di salute. Infine, la cosa principale: Putin aveva già tentato di ucciderli entrambi. Navalny e Kara-Murza sono sopravvissuti ai tentativi di omicidio organizzati dai servizi speciali".
Intanto Navalny continua a fare paura. Non restituire il suo corpo alla famiglia prima e poi, dopo aver permesso alla madre di vederlo, minacciarla per imporre funerali privati e in segreto denunciano il timore che Putin ha di quel corpo senza più vita ma che ancora rappresenta una forza politica, morale che potrebbe essere deflagrante. Questo scempio nella scempio da parte del potere sembra sottolineare, come ha scritto lo storico Giovanni Savino, "l’importanza del corpo come simbolo e incarnazione della lotta politica e affermazione della propria testimonianza al mondo".
La mancata al momento restituzione del corpo ai suoi cari riconosce questo aspetto, perché vi è il dilemma per il potere delle esequie e della sepoltura: se i funerali si svolgeranno in Russia e Navalny verrà seppellito in patria, si verrebbe a creare un momento di protesta e un luogo di memoria; se invece l’opzione sarà di inviare la sua salma all’estero, il probabile omaggio internazionale segnerebbe ancor di più lo status attuale del Cremlino in Europa. Ancora una volta i funerali, “onore di pianti” di foscoliana memoria, diventano parte della politica e della storia della Russia e possono spiegarci molto di essa.
Ha scritto Tatiana Stanovaya, analista del Carnegie Russia Eurasia Center e fondatrice del centro di analisi R. Politik,: "Navalny è diventato una figura storica e fondamentale perché ha incarnato un'irriducibile posizione politica anti-Putin e ha rappresentato l'alternativa più sostanziale al suo regime dal 2000. Il suo incomparabile livello di visibilità, la sua importanza per le élite e il suo coinvolgimento nella politica interna lo hanno distinto da qualsiasi altro esponente dell'opposizione, consolidando il suo status di politico di spicco". Tutto questo, conclude Stanovaya, crea un problema politico significativo per il regime: "Putin dovrà fare i conti con l'eredità di Navalny. Non ho dubbi che molto presto assisteremo a un'ondata significativa di repressioni anti-Navalny, retate dopo le indignazioni sui social network, cause penali e arresti".
Il regime di Putin dovrà fare i conti con l’eredità di Navalny
Cosa è la Russia di Putin oggi, quale sarà il suo futuro? Un regime sempre più dittatoriale, una repressione sistematica del dissenso, finte elezioni, una macchina propagandistica soffocante. Un paese nelle mani di un criminale spietato e del suo sistema fascio-mafioso.
Ne parliamo con lo storico Giovanni Savino, esperto di nazionalismo russo, ha vissuto e insegnato a Mosca per anni prima di essere costretto a lasciare il paese e tornare in Italia per la sua posizione contro l’invasione dell’Ucraina. Oggi insegna all’Università Federico II di Napoli, e collabora, fra gli altri, con Valigia Blu. E con Maria Chiara Franceschelli, dottoranda in Scienza Politica e Sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, che si occupa di società civile e movimenti sociali nella Russia di Putin. Collabora con diverse testate, riviste e istituti di ricerca, fra cui Ispi, Il Mulino, è anche lei collaboratrice di Valigia Blu. A marzo uscirà il saggio edito da Altreconomia di cui è co-autrice con il professor Federico Varese, "La Russia che si ribella". Nel podcast citiamo l'articolo di Maria Chiara Franceschelli sulle voci del dissenso, di chi ha deciso di lasciare la Russia di Putin e si interroga su come lottare per una Russia diversa. E con un contributo di Marta Allevato, giornalista dell’agenzia AGI per la quale si occupa di Russia, spazio post-sovietico e Iran, autrice del libro 'La Russia moralizzatrice - La crociata del Cremlino per i valori tradizionali'.
Regia: Vudio
Musica: Putin's Ashes - Pussy Riot, Mama don't watch Mama - Pussy Riot