Wagner, Prigožin e l’ultradestra: il futuro sempre più nero della Russia
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Nelle ultime settimane si manifestano ulteriori movimenti all’interno del campo nazionalista russo: la morte di Vladlen Tatarskij a seguito dell’attentato in un bar di San Pietroburgo dove avrebbe dovuto tenere un incontro sembra esser stato l’inizio di una nuova fase per i sostenitori della guerra a oltranza. Immediatamente dopo l’esplosione, le voci dei voenkory e dei leader d’area sono state unanimi nel richiedere una ulteriore svolta all’interno della Russia, in grado di mobilitare tutte le risorse umane ed economiche del paese, eliminando allo stesso tempo chi si oppone alla guerra. In quest’ultima categoria, però, non rientrano solo gli emigrati, le decine di migliaia di arrestati, le centinaia di prigionieri politici vittime della repressione voluta dal Cremlino, ma la quinta colonna, composta da ministri, funzionari, ufficiali considerati, coscientemente e no, al servizio dell’Occidente. Una visione della realtà sdoganata dallo stesso Putin in numerosi discorsi durante quest’anno di guerra, dove si invitava a sbarazzarsi dei “traditori della nazione” e a perseguirli, sempre però a norma di legge. Una categoria di pensiero di per sé portatrice di significati complottisti, e ribadita con maggior forza dagli oltranzisti, con una differenza: bisogna portare sul banco degli imputati anche quelle personalità considerate vicine al Cremlino o parte della macchina burocratica.
Evgenij Prigožin, sin dai primi mesi della cosiddetta operazione speciale, ha fatto della lotta al nemico interno la propria bandiera. Un nemico che però, nell’interpretazione del capo della Wagner, è annidato tra quegli insospettabili sostenitori di Putin, spesso coincidenti con i suoi nemici personali. È il caso del governatore di San Pietroburgo, Aleksandr Beglov, a più riprese accusato di alto tradimento e al centro di numerosi esposti presentati da Prigožin all’Fsb, alla Procura generale e al Comitato Investigativo, e di chiunque si opponga alla presenza pervasiva della Wagner e della holding Konkord (di cui fanno parte anche media e canali Telegram). Per dare un fondamento alle proprie accuse, l’imprenditore diventato capitano di ventura, in un articolo per certi versi programmatico apparso il 14 aprile, ricorre alla definizione di Deep State, facendo propria la terminologia del complottismo d’Oltreoceano. Secondo Prigožin,
il Deep State è una comunità di élite vicine allo Stato che operano indipendentemente dalla sua leadership politica e hanno stretti legami e una propria agenda. Queste élite lavorano per padroni diversi: alcuni per il governo esistente, altri per quelli che son scappati da molto tempo, ma, grazie ai loro legami, anche dopo la fuga di questi, rimangono al loro posto.
Poiché militarmente è impossibile sconfiggere la Russia a causa delle proprie specificità climatiche e geografiche, scrive il capo della Wagner, gli Stati Uniti hanno bisogno di una lunga guerra per convincere il Deep State russo a sabotare dall’interno lo sforzo bellico e a frantumare il paese in tanti potentati. Tra le righe è possibile leggere il timore di un fronte interno fragile, senza sostegno di massa alla guerra, convincimento espresso da Aleksandr Dugin in un articolo apparso qualche giorno prima, l’11 aprile, sul sito Katechon, parte dei media della holding Tsargrad di Konstantin Malofeev. “Il processo di patriotizzazione – scrive Dugin – va troppo a rilento, e va lento come la nostra avanzata a Occidente”.
L’annunciata e al momento non ancora avviata offensiva ucraina è al centro delle riflessioni sia di Prigožin che di Dugin, con una differenza fondamentale: come continuare l’operazione speciale militare. L’inizio della guerra è stato rimandato per troppo tempo (e la preparazione è stata inadeguata), afferma il filosofo d’estrema destra, e fermare le operazioni adesso vorrebbe dire fermare il processo di indipendenza della civiltà russa, favorito dall’emergere di nuovi eroi al fronte, in grado di diventare classe dirigente e di epurare l’establishment.
Prigožin sostiene, invece, la necessità di un primo bilancio dei quattordici mesi di guerra e fare i conti per capire come e in che modo proseguire. “E per le autorità e per la società nel suo complesso – si legge nell’articolo - oggi è necessario fissare qualche punto all’operazione speciale militare: l'opzione ideale è annunciarne la fine, comunicare a tutti che la Russia ha raggiunto i risultati che si era prefissata, e in un certo senso li abbiamo effettivamente raggiunti. Abbiamo distrutto un numero enorme di combattenti delle forze armate ucraine e possiamo dirci che abbiamo raggiunto gli obiettivi dell’operazione speciale militare”. Nel motivare questa proposta, si spiega come Mosca abbia già distrutto “gran parte della popolazione maschile attiva dell'Ucraina e intimidendone un'altra parte, fuggita in Europa”, e si è appropriata di un importante parte del territorio ucraino, collegando la Crimea alla frontiera russa pre-24 febbraio 2022. “Adesso resta solo una cosa: trincerarsi saldamente, mantenere con le unghie e con i denti quei territori che già controlliamo”, conclude il ragionamento Prigožin proponendo il passaggio a una nuova fase del conflitto.
Non si tratta, come erroneamente titolato da alcuni giornali italiani, di suggerimenti di fermare la guerra. Lo stesso Prigožin scrive chiaramente “che la Russia non può accettare alcun tipo di accordicchio, solo una battaglia leale, da cui nel caso se ne esca malconci, aggiunge, non c'è nulla di cui preoccuparsi”. Un tentativo per recuperare le forze, di fronte al sostegno occidentale all’Ucraina, e in questa interpretazione una possibile offensiva rappresenterà una opportunità per eliminare ogni illusione in concessioni e negoziati. D’altronde, conclude nel testo,
il popolo russo non è mai crollato e non crollerà mai. Per questo, solo una battaglia leale! E prima inizia, meglio è (…) O le forze armate ucraine saranno sconfitte in un combattimento leale, oppure la Russia si leccherà le ferite, rafforzerà i muscoli e di nuovo distruggerà i suoi rivali in un combattimento leale; pertanto ritengo che gli accordicchi siano impossibili per il futuro della Russia.
Una previsione che si incrocia anche con l’avvicinamento tra Russia Giusta, partito nato nel 2006 con posizioni vicine a una moderata socialdemocrazia nell’ambito del progetto (poi accantonato) dell’amministrazione presidenziale di costruire un sistema bipartitico in sostegno al Cremlino, e Prigožin. Il tratto sociale della formazione guidata da Sergei Mironov, già presidente del Consiglio della Federazione tra il 2001 e il 2011, è ormai accantonato (come l’adesione all’Internazionale socialista) in favore del sostegno a rivendicazioni nazionaliste e all’adozione di posizioni oltranziste sulla guerra, dovute anche alla fusione, avvenuta nel 2020, con il movimento Za Pravdu (Per la verità) dello scrittore Zachar Prilepin, già seguace di Eduard Limonov e volontario per un breve periodo in Donbass.
Proprio Russia Giusta ha proposto di legalizzare la Wagner (ancora oggi il codice penale russo prevede pene per la costituzione e la partecipazione a compagnie di contractors), e Prigožin ha inviato una mazzola, simbolo delle esecuzioni dei mercenari, a Mironov per esprimere il suo apprezzamento. Il presidente di Russia Giusta ha dichiarato di essere in costante contatto telefonico con l’imprenditore e di apprezzarne le iniziative, aggiungendo che non vi è posto per quegli esponenti di partito contrari all’adozione della linea pro-Wagner; per tutta risposta, l’intero gruppo di deputati dell’Assemblea legislativa di San Pietroburgo ha annunciato la propria uscita dalla formazione di Mironov per fondare un nuovo movimento il primo aprile scorso.
Già in passato nel 2019 vi era stato il tentativo di acquisire il controllo di Russia Giusta da parte di Konstantin Malofeev, con l’obiettivo di farne la base per una nuova formazione nazional-conservatrice e legata alla Chiesa ortodossa, ma l’oligarca abbandonò l’impresa dopo gli ostacoli frapposti da Mironov e dall’amministrazione presidenziale. In questo caso vi sono delle differenze, perché Prigožin è in buoni rapporti con il presidente del partito e si tratterebbe di una partnership paritaria, ma permane la contrarietà di Sergei Kirienko, figura centrale dell’amministrazione presidenziale e in contrasto con la Wagner, ritenuta fuori dal proprio controllo.
Le ambizioni politiche di Prigožin, d’altronde, non rappresentano una novità: dell’imprenditore sono conosciute le attività nel settore militare e nella cosiddetta fabbrica dei troll, ma la Konkord mantiene a libro paga esperti e polit-tekhnologi (tecnici della politica, letteralmente, figure un po’ spin doctors, un po’ pubblicitari, un po’ politologi) ormai da anni. Un piccolo esercito in abiti civili utilizzato in campagne elettorali locali, operazioni di diffamazione a mezzo stampa e social, consulenze e altre iniziative.
Se al momento per il magnate si tratta anche di avere una sponda istituzionale contro Beglov (uomo di Kirienko e in passato molto vicino a Putin), non sono da escludere ulteriori sviluppi. Una eventuale discesa in campo targata Wagner potrebbe avere delle peculiarità: alle elezioni presidenziali del 2024 Mironov ha già dichiarato che Russia Giusta sosterrà Putin, e Prigožin si vede a capo della nuova opričnina (l’esercito personale di Ivan il Terribile), come osservato dal politologo Evgenij Minčenko.
Ma qualche domanda sul post-Putin nell’area oltranzista inizia a esserci, ed è Dugin a esporre la propria visione di chi e cosa dovrà fare il potenziale erede del presidente. “Chiunque Putin nomini come successore – scrive l’esponente nel testo già menzionato, intitolato “Putin come grande governante e il dopo-Putin” - questo ‘chiunque’ dovrà esser in grado di parlare immediatamente non solo la lingua del patriottismo, ma quella dell'ultrapatriottismo. E non ci sarà molto tempo per imparare una lingua del genere, molto probabilmente non ci sarà affatto tempo per questo”. Il messaggio è chiaro: l’estrema destra nazionalista e fascisteggiante, alfiere della guerra totale in Ucraina, si vede tra le possibili protagoniste del futuro della Russia.
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