Russia, giornalisti contro l’invasione dell’Ucraina fra dimissioni e fuga dal paese
7 min letturaDa quando lunedì scorso, durante l'edizione serale del telegiornale del canale di Stato Canale 1, la redattrice Marina Ovsyannikova è entrata nelle case di milioni e milioni di cittadini russi facendo irruzione con un cartello contro la guerra che diceva: “No War. Fermate la guerra! Non credete alla propaganda! Vi stanno mentendo! Russi contro la guerra” si sta assistendo a un flusso lento ma costante di dimissioni di giornalisti e conduttori dalle emittenti di Stato e da quelle private controllate.
This is fantastic. A brave woman interrupted Russian state TV’s live broadcast with a sign that says: “Stop the war. Don’t believe propaganda. They’re lying to you here." It was signed: "Russians against war.”pic.twitter.com/673cO668nM
— Julia Davis (@JuliaDavisNews) March 14, 2022
Il notiziario nel corso del quale Ovsyannikova ha protestato, chiamato Vremya – ha spiegato il giornalista russo Denis Kataev – , è un'eredità dell'Unione Sovietica. È forse il telegiornale più prestigioso della TV russa. Per tantissimi telespettatori quello delle 21.00 è un appuntamento quotidiano da anni, se non da decenni. E va considerato – prosegue Kataev – come un'arma ideologica che ha sostenuto nel tempo il governo con una rigida copertura pro-regime.
«Nel contesto dell’assalto finale all’informazione indipendente, con i procedimenti aperti nei confronti dei giornalisti per aver descritto la guerra in corso, la chiusura di numerose testate e l’obbligo a non pubblicare notizie sgradite, il gesto di Marina Ovsyannikova è un colpo durissimo per il combinato disposto di propaganda e censura avviato negli scorsi giorni. Milioni di russi hanno visto il suo gesto, e sarà molto difficile riuscire a cancellarne la memoria», è il commento di Giovanni Savino [qui l'articolo che ha scritto per Valigia Blu sull'invasione], docente universitario di Storia contemporanea, specialista del nazionalismo russo del Ventesimo secolo, che insegnava in tre prestigiosi istituti di Mosca fino a quando non è stato costretto a fuggire perché segnalato come oppositore politico e denunciato dalle autorità.
Il gesto dirompente di Marina Ovsyannikova (insieme alla pubblicazione di un video preregistrato dopo l'incursione in cui definiva quello che sta accadendo in Ucraina “un crimine” il cui unico responsabile è il presidente russo Vladimir Putin, costato finora quattordici ore di interrogatorio e una multa di 250 euro circa e per il quale rischia fino a quindici anni di carcere in base alla nuova legge sulle fake news) che ha rotto un lungo silenzio e aperto un piccolo squarcio di luce, si è inserito in una serie di reazioni iniziate all'indomani dell'invasione dell'Ucraina del 24 febbraio che hanno ricevuto ulteriore impulso dalla contestazione coraggiosa della redattrice.
Osyannikova si è poi dimessa e ha dichiarato in un'intervista rilasciata a Der Spiegel di aver rifiutato l'offerta di asilo politico in Francia del presidente Emmanuel Macron perché vuole restare in Russia nonostante la famiglia stia subendo le conseguenze del suo gesto.
Poche ore dopo la messa in onda del TG si è diffusa la notizia delle dimissioni della conduttrice e corrispondente da Parigi di Canale 1 Zhanna Agalakova, della conduttrice Lilia Gildeyeva e del giornalista Vadim Glusker, entrambi del canale “rivale” NTV.
Intervistata da Meduza, Zhanna Agalakova ha detto di non sapere quale sia l'atmosfera che si respira oggi a Canale 1, dopo quello che è successo. Ha raccontato di aver presentato la lettera di dimissioni il 3 marzo e che oggi sarà il suo ultimo giorno di lavoro nell'azienda, dopo 23 anni di servizio. «La mia libertà arriverà venerdì», ha dichiarato qualche giorno fa. «Non vedo l'ora». Alla domanda sul motivo per cui ha deciso di lasciare Canale 1, Agalakova ha replicato che la risposta è ovvia.
Channel One’s top manager Zhanna Agalakova, who worked for the company for more than 20 years, also resigned.
https://t.co/0YHQadfaQ1— Ilya Yablokov (@ilya_yablokov) March 17, 2022
È andata diversamente a Lilia Gildeyeva che ha abbandonato la Russia prima di lasciare il suo incarico a NTV dopo quindici anni di attività.
Le dimissioni della conduttrice del telegiornale sono state rese pubbliche dal blogger e giornalista russo indipendente Ilya Varlamov a cui Gildeyeva aveva confidato di essere partita prima dell'invio della lettera in cui comunicava la decisione.
«Prima sono partita, perché temevo che non mi avrebbero lasciata andare, e poi ho inviato le dimissioni», ha riferito a Varlamov.
Gildeyeva era uno dei volti dei notiziari più seguiti di NTV, il terzo canale televisivo con maggiori ascolti dopo le emittenti di Stato Russia 1 e Canale 1. Da quando è stato rilevato dal colosso energetico statale Gazprom, nel 2001, NTV ha una linea editoriale allineata a quella del Cremlino.
La conduttrice 45enne non ha mai criticato apertamente il governo e nel 2021 è stata inserita dal presidente russo Vladimir Putin nell'elenco dei giornalisti a cui è stato riconosciuto merito per i risultati conseguiti nello sviluppo dei mass media.
Tredici anni prima, nel 2008, Gildeyeva era stata pubblicamente ringraziata da Putin per “la diffusione dell'informazione e l'attività sociale svolta per lo sviluppo della società civile nella Federazione Russa”.
Per questo il suo gesto potrebbe rappresentare un duro colpo per il governo russo.
Il corrispondente Vadim Glusker aveva iniziato a lavorare per NTV dal 1993. Il prossimo anno avrebbe festeggiato trenta anni di attività. Glusker ha confermato al giornalista Alexei Venediktov di non prestare più servizio per l'emittente dal 2 marzo.
Secondo quanto riportato da BBC News il numero dei professionisti dei media che stanno abbandonando le testate per cui hanno lavorato fino a qualche giorno fa è in aumento.
In un post pubblicato su Facebook il 15 marzo il giornalista Roman Super ha scritto che lo staff del sito di informazione Vesti si stava dimettendo in massa, ma la notizia non ha trovato conferma.
Tra i dimissionari certi “eccellenti” c'è Maria Baronova di RT, precedentemente nota come Russia Today. L'ex caporedattrice di RT aveva commentato con Steve Rosenberg di BBC che Putin aveva già distrutto la reputazione della Russia e che adesso pure l'economia era morta.
Ad abbandonare la redazione di RT anche giornalisti di altre nazionalità tra cui il conduttore Danny Armstrong, il produttore Ross Field, l'ex corrispondente londinese Shadia Edwards-Dashti che ha annunciato le dimissioni, senza fornire spiegazioni, il giorno in cui la Russia ha invaso l'Ucraina, il conduttore francese Frédéric Taddeï, che ha dichiarato di aver abbandonato l'emittente perché la Francia era “in aperto conflitto” con la Russia per cui non avrebbe potuto continuare a presentare il programma per lealtà nei confronti del suo paese, e il corrispondente da Mosca Jonny Tickle.
Raggiunto da Press Gazette Tickle ha spiegato che “l'intera redazione” è stata presa alla sprovvista dalla notizia della guerra in Ucraina che ha causato una serie di dimissioni.
In light of recent events, earlier today I resigned from RT with immediate effect
— Jonny Tickle (@jonnytickle) February 24, 2022
«Ho lasciato RT il giorno dell'invasione, per cui la mia non è stata una protesta contro la copertura della testata o qualcosa del genere, perché è successo prima», ha dichiarato Tickle.
«Mi sono dimesso perché RT è finanziata dal governo russo. Sono felice di aver lavorato per i media russi. Ma quando il governo ha deciso di invadere un paese sovrano ho deciso di non voler ricevere neanche più un rublo», ha proseguito.
Il 28 febbraio scorso era stata Reuters a dare notizia di un “esodo” del personale da Ruptly, agenzia di stampa statale russa con sede a Berlino, dopo l'invasione dell'Ucraina.
*EXCLUSIVE** Ruptly, a Russian state-owned news agency based in Berlin, is facing a staff exodus after President Vladimir Putin's invasion of #Ukraine that is part of a broader contraction of #Russia's global news empire
— Sarah Marsh (@reuterssarah) February 28, 2022
I dipendenti si erano lamentati di aver ricevuto un avviso – ascoltato da Reuters – in cui veniva impedito l'uso della parola “invasione” e richiesto l'utilizzo della definizione “operazione speciale”.
Ekaterina Mavrenkova, Chief Content Officer dell'azienda, ha invitato il personale a non creare problemi rispetto alla forma.
“Tutte le parole che abbiamo usato non distorcono in alcun modo la realtà”, si sente nella registrazione ascoltata da Reuters. “Con tutte queste sottigliezze linguistiche, ci sono modi per presentare oggettivamente la situazione senza propendere da nessuna parte”.
Ma il consiglio non è stato accolto e molti, tra cui il Chief Marketing Officer, Sean Lynn, la redattrice senior Katerina Alexandridi e altri due redattori senior di cui non si conoscono i nomi, hanno preferito dimettersi.
Molti altri dipendenti si sono messi in malattia.
La crescente opposizione nel paese da parte degli operatori dei media è dovuta anche all'entrata in vigore della legge che punisce chiunque diffonda quelle che sono ritenute dal governo "notizie false" sull'invasione dell'Ucraina. Chi si ostina a dare versioni diverse da quella indicata rischia fino a quindici anni di reclusione.
The Russian authorities have unleashed an unprecedented, nationwide crackdown on independent journalism, anti-war protests and dissenting voices following Russia’s invasion of Ukraine ⬇️https://t.co/LtUUqdTNiZ
— Amnesty International (@amnesty) March 10, 2022
Le voci indipendenti contrarie, che già da tempo subiscono la pressione del potere attraverso una rete complessa di azioni repressive da parte dello Stato, inclusa una legge che etichetta molte organizzazioni di media come “agenti stranieri” o peggio ancora "associazioni indesiderabili”, hanno continuato progressivamente ad essere messe a tacere. Le ultime a spegnersi sono state Dozhd (TV Rain), già costretta ad abbandonare la TV mainstream nel 2014, che ha dovuto interrompere le trasmissioni online, Radio Ekho Moskvy, BBC Russia bandita insieme ad altre testate occidentali. Almeno 150 giornalisti hanno lasciato la Russia, inclusa quasi l'intera redazione di Dozhd (TV Rain). Stessa sorte per quelli di Meduza.
Never thought it'd come to this, but I did have to leave Russia, crossing the border on foot in the middle of the night, with my panic-packed bags on my back and my dog in tow. Felt a massive door slam shut behind my back. Barely had enough time to call my parents. Crazy times.
— Alexey Kovalyov (@Alexey__Kovalev) March 5, 2022
Alcuni media, come l'ultimo grande quotidiano indipendente, Novaya Gazeta, stanno cercando di rimanere in vita dopo aver informato i lettori che si sarebbero autocensurati nel raccontare della guerra. Altri, come Meduza e Moscow Time, hanno trasferito gli uffici fuori dal paese.
Una protesta brevissima della durata di soli tre secondi può ispirare le persone e dare loro forza. Le conseguenze per chi controlla i media in Russia potrebbero essere spiacevoli. Molti sostengono che lunedì sera non sia successo niente, come se Ovsyannikova non fosse mai esistita.
Scrive Kataev sul Guardian che nel suo ultimo romanzo, Doctor Garin, lo scrittore russo Vladimir Sorokin ritrae Putin come un personaggio che dice costantemente “non sono stato io”, negando tutto. Le bugie sono il pilastro centrale di un regime che mente su tutto. Sulla guerra, sulle vittime civili dei bombardamenti in Ucraina, sulle proprie perdite. La TV di Stato è una parte importante di questa narrazione. Ma la situazione potrebbe iniziare a cambiare, il sistema si è rotto e si è bloccato almeno per tre secondi grazie a Marina Ovsyannikova, rischiando adesso di essere addirittura compromesso se il flusso di dimissioni di chi si oppone non si interromperà.