Ruby e il premier, come li vedo io
3 min letturaNon ho fatto in tempo a portarmi alla bocca la prima forchettata di pizzoccheri che la porta di casa si apre, ed entra il proprietario dell'appartamento nel quale da cinque mesi vivo, in affitto, a Copenhagen, Danimarca.
Lars, si chiama. E' appena tornato dal lavoro. Stamattina ha letto un articolo di due facciate pubblicato su un quotidiano locale, parla dell'Italia, me ne vuole assolutamente parlare. Apre la borsa, tira fuori il giornale, lo sfoglia, me lo mostra. Metà di una facciata è occupata da una fotografia a colori di Ruby Heart-Stealer; il resto da incomprensibili caratteri danesi.
Io, gli dico, non lo so come fanno le donne italiane di trenta - trentacinque anni, a non ribellarsi. Forse lo fanno già.
Io, di anni, ne ho ventuno. Non sono molto più vecchia della bella ragazza che mi campeggia sotto gli occhi, che negli ultimi giorni nella mia adorata Italia (ma non solo) ha fatto parlare di sè più di chiunque altro, rendendo secondarie notizie di altro genere la cui visibilità sarebbe stata a mio parere politicamente molto importante - una fra tutte: l'iniziativa della giunta regionale del Veneto tesa ad invitare le scuole a non adottare, far leggere o conservare nelle biblioteche alcuni testi considerati diseducativi.
Io, dicevo, ne ho ventuno, di anni. E studio, tanto, da quando ne avevo cinque.
Mi sono diplomata al liceo scientifico in modo più che dignitoso; mi sono poi iscritta al corso di laurea in Filosofia, "comunista" ed "inutile" per antonomasia ("l'importante è che non diventi comunista": questo il monito rivoltomi da un'amica dei miei genitori quando ancora non ero sicura del percorso di studi che volevo intraprendere).
Io mi ribello, mi ribello quotidianamente. Silenziosamente, senza fare rumore.
Mi ribello al modello di donna "proposto" (imposto?) dalla televisione italiana; mi ribello al luccichìo patinato e al pianto in diretta, ai telegiornali, ai talk show ed ai programmi di approfondimento politico.
Mi ribello a tutti i luoghi comuni linguistici-e-non nei quali si annidano, polverosi, i residui di quei vecchi modi di pensare che ledono la dignità della donna (chè non è il chiamare una prostituta "prostituta" che lede la dignità della donna, quanto il chiamare una bella ragazza "figa"; lede la dignità della donna il porsi di una bella ragazza unicamente come oggetto sessuale desiderabile, o il vendere parti del proprio corpo al fine di ottenere una posizione lavorativa di prestigio che permetta di guadagnare il massimo dei soldi con il minimo sforzo).
Ed ora mi trovo a Copenhagen, per continuare a studiare, per vedere più cose con i miei occhi e sentirne di più con le mie orecchie, per arricchire me stessa (e il mio curriculum), per cercare nuovi modi di provare ad essere donna.
Quotidianamente, cerco di tenermi informata, di capire il mondo che mi circonda e di avere più strumenti possibili per farlo, di considerare le cose da più punti di vista possibili. Ho imparato che il prospettivismo è un buon modo per cambiare tanti occhi vivere tante vite e dare un po' di significato all'incoerenza di tutte le cose che accadono, integrando i diversi punti di vista su una cosa a formare la cosa stessa.
E Internet, a questo proposito, è lo strumento migliore, l'unico che dà davvero possibilità di esistere a quel ribellarsi quotidiano che quotidianamente acquisisce nuove forme. Sono più di quindici anni che studio, per educarmi, per istruirmi, per formarmi. Credo che, per una donna, portare a termine con serietà il proprio percorso di studi sia, già, una gigantesca ribellione. Come lo è informarsi quotidianamente, e cucinare e poi lavare i piatti, e vivere cinque mesi da sola in un Paese diverso da quello natio.
Lo è tentare di trovare la propria strada, costruirsi un futuro in cui sia davvero possibile mettere a frutto i propri talenti, esprimere sè stesse nel senso più pieno; lo è andare a votare, lo è amare, lo è cercare di dare un'immagine di sè che sia diversa da quella proposta dalle tante Ruby che campeggiano sulle prime pagine dei giornali o delle trasmissioni tivvù.
E' questa resistenza quotidiana nascosta nei gesti quella in cui credo, questa ribellione silenziosa che si toglie le scarpe col tacco per camminare con le calze che, giorno dopo giorno, cerco di perseguire.
E, lo so, non sono da sola. Cammino fianco a fianco con migliaia di donne e di uomini, italiani, americani e bulgari, di venti, di trenta, di cinquanta, di settant'anni.