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La caduta del rublo

3 Dicembre 2024 7 min lettura

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La caduta del rublo

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Sin dall’inizio dell’aggressione militare russa all’Ucraina il tema delle ricadute economiche e sociali per Mosca tiene banco, soprattutto a causa dell’altissimo numero di sanzioni comminate alla Russia, attualmente primatista mondiale con ben 17.708 provvedimenti nei confronti di attività commerciali, finanziarie e industriali, personalità politiche, militari e del mondo del business, rapporti diplomatici e di ricerca e così via. 

L’Unione Europea ha adottato fino all’estate del 2024 ben 14 pacchetti sanzionatori ed è notizia di qualche giorno fa di una risoluzione promossa dalla maggioranza dell’Europarlamento per la discussione di un’ulteriore campagna – la quindicesima – volta a colpire l’economia russa e in questo caso i rapporti tra Mosca e la Corea del Nord. L’implementazione però delle misure fino a oggi non ha portato a scenari, spesso pronosticati con leggerezza e ottimismo, immediatamente catastrofici per le condizioni socioeconomiche della Federazione Russa, né ha inciso sulla crescita del paese, attestata – dopo il calo del PIL pari al 2,1% nel 2022 – rispettivamente al 3,6% nel 2023 e stimato per il 2024 al 3,55%, secondo i dati della Banca Mondiale. 

Tali dati hanno portato a valutazioni parecchio diffuse sull’inefficacia della pressione esercitata dall’Occidente e dai suoi alleati sull’economia russa, in alcuni casi alimentate da video e foto trionfalistiche pubblicate sui social dove si ritraeva la presenza di marchi occidentali di pasta, caffè e altre merci, senza specificare come non si trattasse di articoli sanzionati (in più alcune importanti aziende, come la Barilla e la Ferrero, hanno stabilimenti operanti in Russia da anni) o provenienti dall’esportazione da paesi terzi che non hanno aderito alle sanzioni; inoltre queste “smentite” spesso non tengono conto dei prezzi al consumatore, spesso aumentati a causa dell’aumento del costo delle importazioni e dell’inflazione, problema con cui si trova a far i conti la Banca centrale russa assieme alla svalutazione del rublo. 

Ed è proprio sulla tenuta della valuta nazionale, che dall’1 ottobre al 30 novembre ha visto perdere posizioni nei confronti dell’euro (si è passati da 103,65 rubli per un euro il 2 ottobre a 116,14 il 29 novembre) e del dollaro (93,22 rubli al 1 ottobre, 109,57 al 29 novembre),  e sulle scelte intraprese dall’ente regolatore diretto dalla governatrice Elvira Nabiullina che si concentrano le discussioni tra gli esperti, gli imprenditori e gli esponenti politici in Russia; il ricordo delle giornate di panico di ormai dieci anni fa, quando il 16 dicembre 2014 il rublo crollò come conseguenza delle scelte dell’OPEC di non ridurre l’estrazione del petrolio, unite ai primi effetti delle sanzioni adottate in conseguenza dell’annessione della Crimea e del sostegno alle milizie separatiste nel Donbass, appare sullo sfondo come minaccia alla stabilità fragile del sistema putiniano. 

A complicare ulteriormente l’analisi è l’assenza del mercato di dollaro e euro, valute di paesi “non amichevoli”, nella Borsa di Mosca, per cui il valore viene fissato dalla Banca centrale; per avere approssimativamente un indice di cosa stia avvenendo è necessario, come notato da Sofia Dunets, analista del fondo d’investimento “T-investitsyi” in un commento alla radio Kommersant FM, ricorrere a dati diversi, ovvero «il tasso di cambio dello yuan in borsa. Il tasso implicito, calcolato in base all’incrocio tra yuan e dollaro, si avvicina ora a 108 rubli, ma la realtà di un rapido indebolimento è evidente. Ciò significa che, oltre alla carenza di offerta, probabilmente è entrato in gioco anche un fattore speculativo, poiché non ci sono veri e propri fattori trainanti per l'indebolimento del rublo, che si aggira intorno al 20%»

La Banca centrale ha deciso di correre ai ripari, annunciando la cessazione dell’acquisto di valuta straniera dal 28 novembre fino alla fine dell'anno, così da distogliere i circa 4 miliardi di rubli al giorno ad esso destinati. A essere immessi sul mercato tramite il regolatore son stati gli yuan cinesi, per un valore superiore a 8 miliardi di rubli. Come ha commentato il direttore di Astra Investments Dmitry Polevoy, 

«In linea di principio, è logico che la Banca Centrale abbia scelto questa come prima reazione all'indebolimento del rublo, anche se tardiva. Le vendite di valuta, di per sé, potrebbero non sembrare abbastanza significative per saturare completamente il mercato, ma credo che, insieme al segnale che la Banca Centrale intenda frenare un indebolimento più pronunciato del rublo, possano avere un impatto rilevante sugli umori del mercato», vi sono, poi aggiunge, ulteriori misure, come le limitazioni di esportazione di valuta e soprattutto «la possibilità di rafforzare le misure di stabilizzazione del tasso di cambio tramite decisioni sui tassi di interesse». 

Ed è proprio sui tassi a esser incentrata la critica di un settore del mondo imprenditoriale, perché l’innalzamento di essi ha reso virtualmente impossibile il ricorso al credito, diventato troppo caro soprattutto per la fascia medio-bassa degli investitori. Ad oggi il tasso è tra i più alti al mondo, è al 21% e si prevede di alzarlo ulteriormente a dicembre al 23%, con l’avvallo di Putin, il quale ha dichiarato: «Alcuni esperti ritengono che con un’inflazione dell’8,5% un tasso del 21% sia eccessivo, troppo elevato. Se dite che i prezzi continuano a salire, allora bisogna comunque riflettere se questo tasso sia effettivamente troppo alto o no». Tale approccio non risulta al momento in grado di ridurre l’inflazione, che si attesta all’8,6% su base annua e che, probabilmente, supererà le previsioni recentemente riviste al rialzo dalla Banca Centrale. 

Khazbi Budunov, economista, fondatore e autore del canale Telegram “Politeconomics”, dove segue puntualmente le evoluzioni del sistema russo nel contesto globale, ha commentato per Valigia Blu la situazione, individuando nella revoca delle restrizioni all’esportazione di capitali, entrate in vigore nel 2022 e progressivamente tolte all’inizio di quest’anno, la causa della fluttuazione del rublo: «Queste misure di controllo avevano portato a un rafforzamento senza precedenti del rublo, fino a 50 rubli per dollaro» aggiunge l’esperto, «tuttavia con l’allentamento delle restrizioni, il rublo ha iniziato a deprezzarsi gradualmente, avvicinandosi a livelli considerati accettabili per il governo e gli esportatori». 

A contribuire però alla svalutazione vi sono le nuove sanzioni contro il settore finanziario russo, che nel 2024 hanno inferto un ulteriore colpo al rublo, secondo Budunov:  

«Le misure hanno colpito la Borsa di Mosca e la settimana scorsa hanno raggiunto anche  Gazprombank, ente bancario considerato “sacro” e per lungo tempo, era stato risparmiato dalle sanzioni grazie al suo ruolo cruciale nella gestione dei pagamenti per le esportazioni di gas, ma adesso dopo esser stato colpito, l'afflusso di valuta estera in Russia si è ridotto, alterando l’equilibrio tra domanda e offerta sul mercato valutario: ci sono più rubli che valuta estera, e questo ha portato a un ulteriore indebolimento del rublo». 

Il ricorso a nuove restrizioni sui movimenti di capitale appare quasi una soluzione obbligata, a causa delle difficoltà nella ricezione dei pagamenti per le esportazioni, sottolinea l’economista russo, che aggiunge poi «nonostante il clamore mediatico, la situazione non è ancora degenerata in una vera e propria crisi valutaria ma le parole di Dmitry Peskov (portavoce di Putin - GS) secondo cui il deprezzamento del rublo non influirebbe sul benessere dei cittadini russi poiché gli stipendi sono pagati in rubli, è, per usare un eufemismo, fuorviante; al contrario, il calo del valore della valuta nazionale si riflette direttamente sui cittadini, causando un aumento dei costi delle importazioni e un generale incremento dei prezzi. Ciò riduce il potere d’acquisto della popolazione, benché si debba notare che i salari reali nel Paese siano comunque in crescita». Il rischio della dinamica inflattiva, però, appare poter divorare gli aumenti salariali, in un ciclo dalle conseguenze al momento imperscrutabili, e di sicuro ben presenti per le tasche dei consumatori russi.

Nel quadro complessivo del sistema economico russo le sanzioni continuano a essere presenti come tema, e gli annunci trionfali di Putin sulla loro incapacità di poter incidere seriamente si mescolano alle richieste avanzate a più riprese della loro revoca come condizione per il raggiungimento di un nuovo equilibrio di pace. Budunov pone l’accento, attraverso un esempio storico, sui limiti delle misure sanzionatorie: 

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«Il tema delle sanzioni somiglia sempre più a un tentativo infinito di tappare falle, e gli esperti continuano a invocare un inasprimento delle misure, la chiusura delle scappatoie e l’introduzione di nuovi vincoli, ma in mezzo a questa frenesia, si perde di vista la questione fondamentale: le sanzioni possono essere realmente efficaci? Le sanzioni inevitabilmente generano percorsi alternativi e conseguenze impreviste e un esempio emblematico è la vicenda della Banca Popolare di Mosca, avvenuta dopo la repressione da parte sovietica della rivoluzione ungherese del 1956. All’epoca il governo sovietico, temendo il congelamento dei propri conti nelle banche americane, trasferì i fondi nella filiale londinese della Banca Popolare di Mosca, e questo passo segnò la nascita del mercato degli eurodollari, un mercato dove i dollari erano depositati al di fuori della giurisdizione statunitense. La Banca Popolare di Mosca fu il primo attore in questo mercato, fornendo crediti in eurodollari e questo contesto ebbe un impatto significativo sul sistema finanziario globale, accelerando il crollo del sistema di Bretton Woods nel 1973».

A essere fondamentali nell’equilibrio di potere russo restano la capacità d’acquisto della popolazione, unita alla disponibilità di prodotti alimentari e merci: il trauma degli anni Novanta risulta essere, secondo le ricerche dell’Istituto di sociologia dell’Accademia russa delle Scienze, ancora fin troppo presente nella memoria collettiva. L’attenzione ai meccanismi economici, la libertà data ad Elvira Nabiullina e alla sua squadra alla testa della Banca centrale russa, il perseguimento di una politica dove agli aumenti salariali e agli incentivi per arruolarsi corrisponde una modalità restrittiva del credito, risultano essere stati fino ad oggi in grado di tamponare l’effetto combinato delle sanzioni e delle restrizioni all’export; quanto però tale strategia possa essere in grado di essere ancora efficace, appare di difficile previsione.

Immagine in anteprima: Kremlin.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

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