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Il governo italiano contro Roberto Saviano: cosa dicono del nostro paese i tre processi allo scrittore

17 Novembre 2022 19 min lettura

Il governo italiano contro Roberto Saviano: cosa dicono del nostro paese i tre processi allo scrittore

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18 min lettura
Il Tribunale di Roma ha condannato a una multa di 1000 euro Roberto Saviano

Aggiornamento 12 ottobre 2023: Lo scrittore Roberto Saviano è stato condannato dal tribunale di Roma a una multa di 1000 euro per aver diffamato la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. L'episodio risale a una puntata di Piazzapulita del 2020, dove Saviano usò l'epiteto "bastardi". Come riporta AdnKronos, nell'emettere la sentenza il giudice ha riconosciuto a Saviano le attenuanti generiche, tra cui l'aver agito "per motivi di alto valore morale". Il pubblico ministero aveva chiesto una pena pecuniaria di 10mila euro.

Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di risarcimento danni per diffamazione presentata dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano

Aggiornamento 2 maggio 2023: Il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di risarcimento danni per diffamazione a mezzo social network presentata dall'attuale ministro della Cultura (e all'epoca direttore del TG2), Gennaro Sangiuliano, nei confronti del giornalista e scrittore, Roberto Saviano.

"Nel merito, la domanda è infondata e deve essere rigettata in quanto i post pubblicati nei social network sopra menzionati costituiscono legittima espressione del diritto di critica garantito dall’art 21 della Costituzione, pilastro dello stato democratico e della effettiva possibilità per il popolo di esercitare la propria sovranità anche in ordine al controllo del potere politico in tutte le sue manifestazioni", si legge nella sentenza della Giudice, Silvia Albano.

"Il fatto che il convenuto abbia ritenuto la nomina quale direttore del TG2 dell’attore discendente dalla vicinanza dello stesso ad esponenti politici indagati nel corso di diverse inchieste sulla criminalità organizzata, non può considerarsi un fatto falso, né da escludere dal dibattito politico attuale e già, in passato, ampiamente affrontato come risulta dai documenti versati in atti da parte convenuta".

Le critiche, sebbene aspri e pungenti, prosegue la sentenza, si sono mantenute nell'ambito dei giudizi politici, senza sfociare nell'insulto personale, e rientrano "nel diritto di libertà di manifestazione del pensiero".

Inoltre, "il ricorrente [Sangiuliano, ndr] non ha fornito alcuna prova del danno lamentato".

 

Meloni non sarà tra i testimoni del processo, respinta la richiesta di Salvini di costituirsi parte civile

Aggiornamento 15 dicembre 2022: Il 13 dicembre c’è stata la terza udienza del processo che vede Roberto Saviano accusato di diffamazione ai danni di Giorgia Meloni. Nel corso dell’udienza, è stata respinta la richiesta di Matteo Salvini (anche lui nominato nel video di Piazzapulita in cui Saviano diceva “bastardi”) di costituirsi parte civile, poiché non è mai arrivata querela da parte sua per i fatti contestati nel processo. Nella lista dei testimoni presentata dal PM manca Giorgia Meloni, che non sarà sentita nemmeno dalla parte civile, mentre tra i testimoni citati dall’avvocato di Saviano figurano l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi assieme ai suoi predecessori, ovvero lo stesso Salvini e Marco Minniti. Presenti anche il senatore Maurizio Gasparri e alcune ONG. Roberto Saviano ha così commentato l’assenza della presidente del Consiglio:

Io mi ritroverò a dover rispondere del reato di cui mi accusano e non ci sarà la possibilità del confronto con il primo ministro che probabilmente teme una certa debolezza in questo processo perché, qualora ascoltata, dovrà comunque rispondere delle scelte politiche fatte in questi anni  che sono la materia del mio giudizio dato nei loro confronti.

Roberto Saviano, scrittore e giornalista italiano tra i più famosi al mondo, ha tre processi in corso per diffamazione a mezzo stampa nei confronti di membri dell’attuale governo. Si tratta della stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Di queste, le prime due sono denunce penali, l’ultima è una causa civile con cui viene chiesto un risarcimento per un post su Facebook pubblicato nel 2018.

Particolarmente gravi appaiono le prime due denunce, proprio perché vedranno lo scrittore impegnato in un processo penale. La Corte Costituzionale ha stabilito nel 2021 che l’attuale legge sulla diffamazione a mezzo stampa deve essere riformata nella parte che prevede la carcerazione obbligatoria, perché viola l’articolo 10 della Convenzione europea per i diritti umani. La stessa Corte europea per i diritti dell’uomo, inoltre, ha più volte ricordato in passato come nei casi di diffamazione anche una pena pecuniaria eccessiva possa limitare ingiustamente l’esercizio della libertà di espressione.

La prima udienza del processo per la denuncia presentata da Meloni si è tenuta il 15 novembre scorso. Per la denuncia presentata da Salvini, invece, è prevista per il febbraio 2023.

Le denunce di Salvini e Meloni e il contesto delle parole di Saviano

La denuncia presentata da Meloni è stata depositata dall’avvocato Andrea Delmastro delle Vedove (attuale sottosegretario alla Giustizia e deputato di Fratelli d’Italia). L’episodio contestato risale al 2020. In quell’occasione, Saviano interviene nella trasmissione televisiva Piazzapulita: rispondendo alle domande del conduttore Corrado Formigli chiama “bastardi” Meloni e Salvini. Saviano così commenta la notizia di un bambino di 6 mesi, morto durante un naufragio del Mediterraneo:

Vi sarà tornato alla mente tutto il ciarpame detto sulle Ong: “taxi del mare” “crociere”. Tutte quelle parole spese su questa disperazione. Viene solo da dire “bastardi, come avete potuto? A Meloni, a Salvini. Bastardi. Come è stato possibile tutto questo dolore descriverlo così”. Era legittimo avere un’opinione politica ma non sull’emergenza. [...] Togliere le ONG è servito a non avere testimoni.

I due politici sono nominati da Saviano per le posizioni tenute in quel periodo sul tema dei migranti. In particolare Salvini, da ministro dell’Interno, aveva emanato un decreto che prevedeva la confisca delle navi e una multa, colpendo così le operazioni di salvataggio delle ONG. Dai banchi dell’opposizione, Meloni era arrivata a chiedere la confisca della nave Sea Watch e il suo affondamento

La gestione securitaria dei fenomeni migratori non inizia certo in quel periodo, e viene perfezionata durante il governo Gentiloni. Tuttavia è col governo Conte e in particolare con l’operato del ministro Salvini che raggiunge l’apice la criminalizzazione di chi migra e di chi salva vite in mare. Una politica che, secondo Medici Senza Frontiere, nel 2018 ha inciso per il 70% sui morti in mare. È la cosiddetta politica dei “porti chiusi”, slogan usato per ogni nave che chiede di sbarcare dopo aver salvato naufraghi.

Teorie cospirazioniste su “invasioni”, “sostituzioni etniche” e l’immancabile ruolo di Soros sono all’ordine del giorno da molto tempo, nella propaganda dell’estrema destra. Su questo versante la propaganda di Lega e Fratelli d’Italia sono sempre state molto simili, benché il secondo partito sia sempre stato all’opposizione. Nel 2016, riporta una nota di Fratelli d’Italia, Meloni si riferiva all’elevato tasso di emigrazione all’estero come a “prove generali di sostituzione etnica”, confrontando quel dato con “153 mila immigrati “nella stragrande maggioranza uomini africani”. Nel 2017 Meloni accusava Soros di “favorire l’invasione del nostro paese”. Slogan come “Stop invasione” o “Prima gli italiani” sono elementi centrali della propaganda leghista, così come le bufale sui richiedenti asilo negli alberghi di lusso e finanziati dallo Stato con 35 euro al giorno.

A questa linea dura si è accompagnata la criminalizzazione nel discorso pubblico delle ONG. Le navi che salvano vite sono etichettate come “Taxi del mare”, a suggerire un servizio di trasporto con potenziali collusione con scafisti e trafficanti. Espressione lanciata dal Movimento 5 Stelle e poi diventata un tormentone ampiamente diffuso, accompagnata formalmente dai discorsi sul “pull factor” che le ONG costituirebbero, favorendo l’immigrazione clandestina.

Anche la denuncia presentata da Salvini nel 2018 si inserisce in questo clima esasperato. Da Ministro dell’Interno, Salvini in varie occasioni parla dell’eventualità di togliere la scorta a Saviano, che è sotto protezione dal 2006 per le minacce ricevute dalla camorra. Un anno dopo Salvini ritorna sull’argomento scorta, sollevando la preoccupazione, tra gli altri, del Consiglio d’Europa, che parla apertamente di “minaccia” verso Saviano. Alle dichiarazioni del 2018, Saviano risponde con un video pubblicato sul sito Fanpage.it, dove chiama Salvini “buffone” e “Ministro della Mala Vita”. Un riferimento, quest’ultimo, a un libro pubblicato a inizio ‘900 dal parlamentare Gaetano Salvemini, dove si denunciava come il Meridione venisse considerato solo e soltanto come un bacino di voti da conquistare a qualunque costo.

Saviano ripete le sue accuse in altri video del periodo, in particolare per criticare Salvini sul sequestro della nave militare Diciotti, per la quale Salvini andrà poi a processo per sequestro di persona aggravato. Mentre per l’ennesimo caso di una nave ONG sequestrata, l’Aquarius, Saviano stigmatizza l’operato di Salvini e di un altro ministro dicendo che “si stanno comportando da banditi”. A seguito di questi interventi, Salvini presenta denuncia, utilizzando carta intestata del ministero dell’Interno. 

“Una critica forte anche feroce da parte di un intellettuale ha un potere, non è insulto, non ho usato quella parola o quella critica verso un privato cittadino, una persona che non ha nessun potere” dice a Valigia Blu Roberto Saviano. “L’ho fatto verso leader di partito, persone che hanno un armamentario mediatico gigantesco, e l’ho fatto in piena consapevolezza e con un obiettivo preciso, mostrare tutto lo scandalo verso quello che sta accadendo”.

In entrambe le denunce, le trasmissioni o i siti (Piazzapulita e Fanpage.it) che hanno dato voce a Saviano non sono stati coinvolti. Nel corso della prima udienza del processo per diffamazione contro Meloni, l’avvocato di parte civile della presidente del Consiglio, Luca Libra, ha dichiarato che stanno  “valutando” di ritirare la denuncia. Matteo Salvini, invece, chiamato “bastardo” assieme a Meloni da Saviano, ha presentato richiesta per costituirsi parte civile. 

Per entrambi i casi, abbiamo contattato sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sia il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Abbiamo chiesto loro se i processi a Saviano per denunce da parte di membri dell’attuale governo non rappresentino un danno di immagine per il paese, oltre a un deterrente per la libertà di espressione. Inoltre abbiamo chiesto se intendano andare fino in fondo con le denunce, e se abbiano cambiato o no idea sulla scorta a Saviano (Meloni nel 2018 disse “Non so se ammazzare Roberto Saviano sia una priorità della camorra”). Se e quando risponderanno provvederemo ad aggiornare l’articolo.

Il bullismo come prassi comunicativa

Il fatto che un ministro dell’Interno arrivi a parlare di scorte da togliere mentre manda saluti e “baci”, può stupire solo chi non ha seguito da vicino la politica italiana negli ultimi anni, e la strategia di comunicazione, anche istituzionale, portata avanti contro giornalisti, scrittori, intellettuali e attivisti in prima linea nel difendere i diritti umani. In Italia questo dispositivo di protezione riguarda 618 persone (dati del giugno 2018), e tra questi vi sono imprenditori, ma anche giornalisti e magistrati. Il messaggio, lanciato a uno solo, arriva anche agli altre 617: “lo Stato ti protegge perché ti comporti bene con noi”.

Nel gennaio 2019, il giornalista Federico Mello in un post su Facebook ha stilato l’elenco dei bersagli presi di mira dall’allora ministro Salvini attraverso i social network. Nell’elenco figurano in particolare attivisti, politici di opposizione, giornalisti, scrittori, intellettuali, sindacati (CGIL) e l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani. Un quotidiano tiro al bersaglio dove un “nemico” del ministro dell’Interno viene dato in pasto alla base di fan rabbiosi. Fatto di per sé singolare soprattutto se si considerano le funzioni di un ministro dell’Interno: su tutte, quella di garantire la sicurezza dei cittadini. In un caso limite, Salvini è arrivato a prendersela anche con due studentesse minorenni che lo avevano contestato in una manifestazione.

“Prendono gli intellettuali a bersaglio, me, Murgia, Veronesi, recentemente Scurati, perché a loro serve compattare l’odio della propria parte” dice Roberto Saviano. “Perché poi l’intellettuale è ladro per definizione, ruba, guadagna dalle sue opinioni, guadagna dai suoi romanzi. Tramite questa strategia ottengono la grande vittoria. Se guadagni dal tuo lavoro, significa che quello in cui credi è falso. Mentre loro, quando sputano sulle ONG e mettono il bersaglio sui migranti, vengono percepiti come autentici, chi invece vuole la difesa delle vite in mare, proteggere le ONG, si batte per Mimmo Lucano, immediatamente viene visto come falso, come approfittatore”. 

Uno dei tanti modi per veicolare questi sentimenti anti-intellettuali è passato negli anni anche con false dichiarazioni attribuite a scrittori come Michela Murgia o lo stesso Saviano, diffuse come meme. Gli intellettuali in questi meme sono sempre anti-italiani, pronti a preferire loro i migranti, specie se provenienti dall’Africa. Un altro bersaglio prediletto di queste campagne è la parlamentare Laura Boldrini

Un caso emblematico di queste dinamiche si è avuto quando Murgia ha rifiutato di rilasciare una dichiarazione sui migranti per una trasmissione televisiva condotta da un giornalista di destra, Nicola Porro. Il rifiuto di Murgia è stato attaccato con veemenza dal giornalista stesso (“donna ignorante”, “maestrina”, “campa grazie ai soldi che Berlusconi le bonifica via casa editrice Einaudi”) rilanciato poi da Salvini:

Tra questi bersagli ci sono stati poi attivisti come Carola Rackete, la capitana della Sea Watch, nave che nel 2019 forzò il blocco a Lampedusa per far sbarcare i migranti a bordo. Salvini stesso è andato processo per diffamazione aggravata per averla chiamata, mentre era ministro, “sbruffoncella, delinquente, ricca e viziata comunista tedesca”. Il processo è al momento sospeso, perché il Senato deve decidere se per Salvini ci sia o meno l’insindacabilità, se cioè le frasi fossero parte della sua attività politica, e quindi non perseguibili.

Ma è tutta la stampa di destra, testate come Libero, Il Giornale, La Verità, a condurre un quotidiano aizzamento, come se i fatti di cronaca fossero il continuo pretesto per portare avanti la logica identitaria. Di recente, per esempio, Luigi Mascheroni, giornalista che insegna Teoria e tecniche dell'informazione culturale all’Università Cattolica di Milano, se l’è presa col parlamentare di Sinistra Italiana, Aboubakar Soumahoro, definito “un altro Saviano, però afro”. Una sorta di mondo parallelo fatto di “o con noi o contro di noi”, dove ogni volta sono individuati dei bersagli simbolici da attaccare. Solo che quel mondo parallelo e la cultura che esprime sono ora al governo. Sempre Saviano di recente è stato raffigurato sul sito Verità&Affari come un mendicante col cappello in mano. L’aver ottenuto degli sgravi fiscali, previsti in automatico durante la pandemia è stata falsamente fatta passare per una richiesta di aiuti e paragonata all’elemosina: “Saviano impoverito dal Covid e Draghi lo aiuta con 10 mila euro”.

In un simile panorama, le strategie di Lega e Fratelli d’Italia sono molto simili, quando si tratta di promuovere l’odio contro intellettuali o voci dissidenti. “È insopportabile questa presunzione di voi di sinistra. pensate di avere il diritto di insultare chiunque sia di destra, e noi di destra dovremmo secondo voi farci insultare in silenzio [...]. Ma chi vi credete di essere?”. Così nel novembre 2021 il deputato di FdI Giovanni Donzelli commenta il rinvio a giudizio di Roberto Saviano, in un video pubblicato su Facebook con il titolo “MA NON SI VERGOGNA?”.

Anche sulle querele Lega e Fratelli d’Italia sono partner ideali. Alla fine di settembre, Meloni ha annunciato querela nei confronti della giornalista Rula Jebreal. Jebreal aveva criticato l’opera di criminalizzazione di migranti e richiedenti asilo operata da Meloni, arrivata in campagna elettorale a strumentalizzare, rilanciandolo, il video di uno stupro. Nell’occasione, Jebreal ha usato come esempio i precedenti del padre di Meloni: i crimini, ha spiegato la giornalista, sono colpe individuali, non collettive. Vale per chi governa un paese, vale per gli immigrati.

Da allora, la giornalista è stata sottoposta a un continuo fuoco di fila della stampa di destra. Un altro caso, inoltre, riguarda il neo-ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il giornale Domani ha pubblicato a fine ottobre un’inchiesta sulle considerevoli cifre che Crosetto avrebbe incassato dal 2014 da società del settore armamenti. Per tutta risposta, il ministro ha dichiarato di aver dato mandato legale ai suoi avvocati per sporgere denuncia.

Uno degli effetti principali di questa perenne campagna di delegittimazione è quella di isolare chi, per un motivo o per un altro, diventa un simbolo e viene quindi preso a bersaglio. “La solidarietà in Italia mi è stata data soprattutto privatamente” spiega Saviano. “è importante dividere tra le persone che ti danno la pacca sulla spalla, e ti mandano il messaggio ‘sono con te’, e chi lo fa pubblicamente. Chi lo fa pubblicamente si schiera con te, chi ti dà la pacca sulla spalla si sta tutelando”.

Se quello dello scrittore può sembrare un giudizio ingeneroso, è il caso di ricordare la recente lettera apparsa sulla Stampa, firmata dal direttore di Pen International Burhan Sonmez. Sonmez ha chiesto a Meloni di ritirare la denuncia, e al governo di impegnarsi per tutelare il giornalismo d’inchiesta. In un paese dove la libertà di espressione guadagna i titoli dei giornali e dibattiti serrati più che altro quando si può parlare di “politicamente corretto” o “cancel culture”, il grido di allarme del direttore di Pen International finora è stato largamente ignorato. Anche se, sul piano internazionale, è stato seguito anche dalle posizioni di Index of Censorship e Reporter Senza Frontiere. Anche lo stesso processo appena iniziato non ha scatenato particolari reazioni in Italia. Paradossalmente è stata coperto con più attenzione dalla stampa  di destra. “Saviano bastardo”, ha titolato per esempio Libero, quotidiano il cui editore, Antonio Angelucci, è un parlamentare della Lega. Il direttore del giornale, Alessandro Sallusti, ha insultato lo scrittore invitandolo a querelarlo.

Le eccezioni non sono poi molte, a conti fatti. Tra queste, le scrittrici Helena Janeczek e Chiara Valerio. Michela Murgia, invece, ha sottolineato il grave paradosso della situazione che sta vivendo Saviano: “Un uomo scortato dallo stato a causa delle sue parole oggi sarà portato davanti a un giudice dal capo di governo di quello Stato a causa delle sue parole. Ditemi voi in quale altra democrazia lo avete visto succedere”. All’udienza del 15 novembre si sono presentati alcuni scrittori (tra cu la stessa Murgia, Sandro Veronesi e Nicola Lagioia), il direttore della Stampa Massimo Giannini e l’attrice Kasia Smutniak. Proprio La Stampa ha pubblicato un testo di Saviano in cui lo scrittore spiega le ragioni delle sue parole verso Meloni e Salvini. Anche associazioni che tutelano i diritti umani e la libertà di espressione, come Amnesty Italia e Articolo21, hanno manifestato il loro sostegno e la preoccupazione per le implicazioni del processo. L’impressione, tuttavia, è che questo riguardi più che altro degli addetti, e non sia invece un fatto di rilevanza pubblica, che riguarda una collettività, diritti fondamentali. Al limite, riguarda fazioni in conflitto.

Questa situazione è sintomatica di come sia evoluto il panorama politico italiano negli ultimi decenni. Se ai tempi dei governi Berlusconi, dalla fine degli anni ‘90 in poi, gli attacchi a giornalisti, scrittori o attivisti compattava una parta rilevante dell’opinione pubblica, questi attacchi ora generano più spesso indifferenza, o complicità nell’aggressione (“c’è differenza tra critica e insulto”, “stavolta ha esagerato”). Prendere posizione è diventato qualcosa che, pragmaticamente, non conviene. Oppure si sta ad aspettare, e ci si aggrega in seguito

“Nel momento in cui decidi di prendere posizione contro la politica, e qui non si tratta solo della destra, hai una risposta in termini di isolamento e di pressione“ spiega Saviano. “Per esempio, i film vengono sostenuti dalle banche, e dentro i consigli di amministrazione delle banche c’è la politica, e quindi quando tu prendi posizione contro il governo può esserci una vendetta, i film che vengono finanziati, se c’è la tua firma, possono essere raffreddati. Se tu sei una delle tante voci non c’è problema, fai parte del circo. Quello di cui parlo sono le figure che per qualche ragione legata al loro percorso, alle loro scelte, ai loro libri, alle loro opere diventano simbolici. E quindi averle in studio, averle sul giornale, averle in un progetto editoriale significa in qualche modo scegliere. Non è una delle voci. Ecco perché gli intellettuali, cosa diversa dagli opinionisti, cosa diversa da tutto il politicume di qualunque tendenza, stanno avendo una pressione gigantesca”.

Come abbiamo potuto vedere in queste prime settimane di governo, del resto, i migranti e le ONG sono tornate nel mirino dell’estrema destra, con Lega e Fratelli d’Italia al governo insieme. Il pretesto lo hanno fornito i salvataggi operati da quattro navi: Humanity1, Geo Barents, Ocean Viking e Rise Above. Il governo è arrivato a un vero e proprio braccio di ferro con la Francia e in generale con l’Europa in nome di una pretestuosa “emergenza”. Di fronte alle polemiche e alle reazioni internazionali, il governo sembra intenzionato a proseguire sulla strada della criminalizzazione, tanto che si parla nuovamente di multe e sequestro di navi per le ONG. Il copione sembra quindi sul punto di ripetersi, in una sua versione più cinica e disumana.

Le denunce a Saviano sono la parte più visibile del problema

Le querele temerarie o SLAPP (acronimo di Strategic Lawsuits Against Public Partecipation), come nel caso di Saviano, sono solo parte del problema in Italia. C’è, più in generale, una fortissima tendenza a reprimere il lavoro di quelle professioni o attività che svolgono una funzione critica, o di dissenso. Si è solito pensare per categorie quando si parla di giornalisti, scrittori o attivisti, tuttavia chi si muove per reprimere il dissenso non opera questa distinzione, e applica una sola categoria: silenziare.

L’associazione Ossigeno per l’Informazione, nel report Taci o ti querelo! del 2016, già segnalava un incremento dell’8% all’anno a partire del 2011, per quanto riguarda le denunce per diffamazione. Nel 2017, i giudici hanno valutato 9749 denunce per diffamazione a mezzo stampa, e di queste il 67% sono state archiviate. Nel 2022, tra gennaio e aprile, Ossigeno per l’Informazione ha censito 118 casi accertati di minacce a operatori dei media. Di questi, solo il 31% ha riguardato abusi di denunce e azioni legali.

Dare una forma esatta al fenomeno attraverso le statistiche sulle querele è tra i problemi che incontra chi opera nel settore. Lo spiega a Valigia Blu Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno per l’informazione, nell’elencare le difficoltà che incontra l’associazione: “La mancanza pubblicazione sistematica di dati ufficiali sull’esito dei processi, la reticenza delle vittime a parlarne, soprattutto perché temono ritorsioni maggiori e perché (come avviene spesso) temono reazioni che li fanno apparire colpevoli di diffamazione per il solo fatto di essere stati querelati o citati in giudizio, cioè accusati da una persona senza che un giudice si sia ancora pronunciato”.

C’è insomma tutto un sistema culturale di reticenze, omertà, colpevolizzazione di chi subisce una denuncia, che rendono le SLAPP particolarmente efficaci. O, nel caso di intimidazioni di altra natura, garantisce la consapevolezza di impunità. 

Di recente un’altra importante organizzazione internazionale che tutela la libertà di espressione si è occupata dell’Italia. Il 2 novembre, il Committee to Protect Journalists ha chiesto alle autorità italiane di ritirare le accuse di diffamazione contro tre giornalisti, Danilo Lupo, Francesca Pizzolante e Mary Tota. Il CPJ ha anche invitato a “smettere di usare il codice penale del paese per peserguire i giornalisti”.

Il caso riguarda la denuncia sporta da Teresa Bellanova. Bellanova attualmente fa parte di Italia Viva, il partito di Matteo Renzi, ma la denuncia risale a quando era parlamentare del Partito Democratico e ricopriva la carica di sottosegretaria. Nel 2014 Bellanova aveva denunciato un suo ex addetto stampa, Maurizio Pascali per diffamazione ed estorsione. I tre giornalisti erano stati denunciati per diffamazione e complicità in estorsione per aver riportato la notizia della causa lavorativa tra Bellanova e Pascali. Nel settembre 2022 il giudice ha dato ragione a Pascali: sono così cadute le accuse di complicità in estorsione per i tre giornalisti, ma sono rimaste quelle di diffamazione. I tre sono stati assolti in primo grado la settimana scorsa.

Nel 2021, invece, proprio Matteo Renzi annuncia una causa civile contro La Stampa e The Post Internazionale, che avevano dato notizia di un viaggio del senatore a Dubai. Su Twitter, il direttore della Stampa Massimo Giannini ha così commentato: “Stamattina ho parlato al telefono con il leader di Italia Viva, che mi ha preannunciato querela. Ma mi ha anche confermato che in effetti è a Dubai. Per questo sono curioso di capire i motivi della sua querela”. Non è certo l’unica querela a giornalisti sporta da Renzi, che nell’annunciarle su Twitter usa un hashstag specifico, #colposucolpo.

Quanto abbiamo visto per Saviano e i partiti di estrema destra o populisti è l’eclatante punta di un iceberg enorme. Se si è inasprita la conflittualità politica negli ultimi anni, certo è rimasta la sproporzione della legge sulla diffamazione a mezzo stampa, gli abusi che permette. È rimasta l’impunità che il potere politico può esercitare mentre reprime chi dissente o svolge semplicemente il proprio lavoro. In questo stato di cose, il silenzio e l’autocensura sono una strategia di sopravvivenza, ma, di fatto, anche una forma di connivenza.

Nel rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere, uno degli aspetti problematici evidenziati per l’Italia, oltre alle leggi sulla diffamazione, è proprio la tendenza al conformismo e all’autocensura:

I giornalisti italiani godono per lo più di un clima di libertà. Ma a volte cedono alla tentazione di autocensurarsi, sia per conformarsi alla linea editoriale della propria testata, sia per evitare una querela per diffamazione o un'altra forma di azione legale, sia per paura di rappresaglie da parte di gruppi estremisti o della criminalità organizzata.

Si legge inoltre:

Campagne di intimidazione online vengono orchestrate per "punire" i giornalisti che hanno il coraggio di approfondire temi delicati come la collusione tra famiglie mafiose e politici locali. 

Denunciare chi ha visibilità e fama, in funzione della propria agenda politica, da questo punto di vista è un’intimidazione che agisce su più livelli. Prima di tutto scredita quella persona, perché se per esempio si arriva a un rinvio a giudizio, o persino a una condanna in primo grado, per i lunghi tempi della giustizia italiana si potrà per anni macchiarne la reputazione, garantire un sicuro argomento ad hominem (“è un diffamatore/diffamatrice!”). Ma, soprattutto, lancia un messaggio molto forte e indiretto a chiunque operi nei media. “La strategia è questa” dice Saviano, “colpendo me tu colpisci tutti gli altri, e in più c’è un servilismo totale della stampa”.

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Da questo punto di vista, anche rivedere le leggi sulla diffamazione, puntando maggiormente su sanzioni economiche, potrebbe significare soltanto cambiare tipologia di intimidazione: soldi al posto del carcere. Lo evidenziava nel 2017 la giornalista Amalia De Simone (che nel corso della sua carriera ha dovuto fronteggiare diversi casi di SLAPP), a proposito dell’abuso della causa civile e delle richieste di risarcimento, in particolare per giornalisti precari che non sempre hanno tutele legali da parte delle testate d’informazione. O che si trovano a dover subire anche la pressione dei tempi lunghi della giustizia italiana. 

Perché, al fondo di tutto, c’è un radicato problema di cultura politica che non sa agire la libertà di espressione come un vero e proprio caposaldo democratico. E l’estrema destra, in Italia, è solo la versione più aggressiva del fenomeno, non un’eccezionalità. 

Immagine anteprima di Andrea di Valvasone

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