Lezioni di Storia / Quando i Romani si menavano allo stadio: tifosi violenti e risse sportive e politiche nell’antichità
|
Lezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente
Un autogrill che diviene scenario di una vera e propria guerriglia fra bande di tifosi armati che forse addirittura si danno appuntamento per “regolare i conti” fra loro. Quanto avvenuto l’8 gennaio a Badia Al Pino, vicino ad Arezzo, sembra un avvenimento che può accadere solo nel mondo contemporaneo, in cui tifoserie più o meno organizzate e grandi interessi economici e politici sono entrati prepotentemente nel mondo dello sport.
E invece no. Perché episodi di violenza, risse e vere e proprie rivolte, spontanee od organizzate, con il preciso intento di esercitare pressioni politiche sui governi in carica erano invece assai frequenti anche nel mondo antico. Anzi, nel mondo romano alle volte rischiavano di avere conseguenze devastanti per imperatori in carica e governanti.
I “giochi vietati” del giovane Giulio Cesare
Nel 65 a.C. un Giulio Cesare ancora abbastanza giovane è stato appena eletto edile, ma si è fatto notare nel corso del suo mandato per la sua capacità di secondare le passioni della plebe. Ha restaurato parte del foro, adornando per altro i nuovi porticati con statue e opere provenienti dalla sua collezione privata d’arte, ha speso cifre folli per organizzare feste e giochi, per altro lasciando completamente nell’ombra il suo collega, ovvero l’altro edile, Calpurnio Bibulo, opaco aristocratico conservatore genero di Catone ed esponente del partito conservatore degli Optimates.
Per chiudere in bellezza il suo mandato, Cesare decide di organizzare i giochi gladiatori più grandiosi e imponenti mai celebrati nell’Urbe e si dice disposto a pagare i salatissimi conti di tasca propria per celebrare la memoria di suo padre. Il Senato Romano e gli Optimates in particolare però storcono il naso: far arrivare in città da tutta Italia centinaia di gladiatori al soldo di Cesare e riunire al Circo Massimo un pubblico formato da gente entusiasta dell’edile in carica sembra poco sicuro, perché si teme che Cesare possa usare l’occasione per tentare un colpo di mano e prendersi il potere. Così approvano di corsa una legge che limita a duecentocinquanta il numero di coppie di gladiatori che possono partecipare a un evento. Cesare abbozza, non si sa quanto contento.
Il partito del Populares, di cui Cesare è uno dei massimi esponenti, è del resto da sempre ben ammanicato con le tifoserie del circo. Publio Clodio, tribuno della plebe adorato dalle masse di Roma, è ammanicatissimo con i "compitici", ovvero i membri delle associazioni di quartiere che aiutano nella organizzazione delle varie feste popolari, e si muove scortato da bande di ex gladiatori e picchiatori per le strade della Suburra. Indispettirlo non è buona cosa, perché i suoi uomini hanno la spranga facile e sono soliti intimorire gli avversari sportivi o politici. Questa abitudine di circondarsi di tifosi poco raccomandabili sarà fatale alla lunga a Clodio stesso: morirà infatti ammazzato dal rivale Milone e dai suoi scagnozzi a calci e sprangate in una rissa sull’Appia, davanti a un taverna in cui tutti e due si erano incrociati, pare per caso, mentre ritornavano a Roma dopo un fine settimana nelle loro ville in campagna. In pratica l’esatto equivalente di una rissa fra tifosi all’Autogrill.
Fra i seguaci di Clodio ci sarà anche il giovanissimo Marco Antonio, che esordisce in politica come picchiatore, anche in virtù del fisico massiccio e della sua attitudine a menare le mani. Scoperto da Clodio, verrà poi “adottato” da Giulio Cesare che se lo porterà in Gallia e ne favorirà la carriera politica.
Nocera e Pompei, una strage allo stadio dalle connotazioni politiche poco chiare
Siamo nel 59 d.C., Pompei è una delle città più ricche e fiorenti della Campania, famosa per altro per essere sede di scuole gladiatorie di grande nomea, e pertanto in grado di organizzare giochi gladiatori rinomatissimi in uno stadio che poteva contenere più di 20mila spettatori. Ma per quanto ricca e con alle spalle una grande tradizione, la città di Pompei dal punto di vista politico aveva perso un po’ di smalto negli ultimi decenni rispetto alla vicina Nocera. Rimasta fedele a Roma ai tempi della guerra sociale, Nocera si era via via ingrandita anche grazie alla protezione degli imperatori della dinastia Giulio Claudia. In quegli anni, Nerone aveva riconfermato la protezione a Nocera, per altro sottraendo parte del territorio di Stabia alla giurisdizione di Pompei e annettendolo invece a Nocera. Tutto questo aveva irritato moltissimo i pompeiani, che si ritenevano ingiustamente discriminati a favore dei vicini. Proprio per questo menavano gran vanto del loro stadio, perché Nocera non poteva sfoggiarne uno così capiente e lussuoso. Perciò quando si volevano celebrare dei Ludi gladiatori in grande stile, gli abitanti di Nocera erano costretti ad andare a Pompei per seguire i giochi che non era possibile organizzare da loro per mancanza di adeguate strutture.
Ai giochi del 59 qualcosa va decisamente storto. Le gare vengono sponsorizzate da un tal Livineio Regolo, personaggio dotato di grandi sostanze personali ma anche con un passato alquanto discutibile: era stato infatti espulso dal Senato di Roma probabilmente per questioni di corruzione. Non è chiaro se Livineio avesse organizzato i giochi per tentare di riacquistare il perduto prestigio o se invece avesse deciso di usarli come pretesto per far scoppiare davvero una rivolta popolare. Fatto sta che gli abitanti di Nocera, una volta entrati nello stadio, furono attaccati in apparenza in maniera casuale e per futili motivi. Ma poi la rissa degenerò, e si trasformò in una vera e propria strage in cui furono coinvolti tifosi pompeiani che erano entrati allo stadio portando illegalmente con sé armi. Si contarono parecchi feriti e morti.
Il Senato Romano fu allertato e si aprì una inchiesta che ebbe pesanti ripercussioni penali e anche politiche. Ad essere arrestati non furono solo i tifosi pompeiani, esponenti delle classi più povere, ma anche i due principali magistrati della città di Pompei, Gneo Pompeio Grosfo e Pompeio Grosfo Gaviano (probabilmente padre e figlio), che furono condannati all’esilio, non è chiaro se perché coinvolti nei disordini oppure perché ritenuti colpevoli di non aver sorvegliato bene chi era stato ammesso allo stadio. Anche l’organizzatore dei giochi, Livineio Regolo, fu condannato: i giochi pensati per il rilancio della sua carriera politica ne decretarono invece la fine. Alcuni anni dopo un eminente cittadino di Pompei Alleio Nigidio Maio, amico personale di Nerone, pare che abbia convinto l’imperatore a richiamare dall’esilio almeno i due magistrati, ma lo Stadio di Pompei fu squalificato per dieci anni, e questo ebbe pesanti ricadute anche sull’economia della cittadina che si basava anche sulla presenza di scuole gladiatorie di alto livello.
I verdi e gli Azzurri, i padroni del Circo
Sarebbe però impreciso pensare che i duelli fra gladiatori fossero lo sport più amato a Roma. I romani antichi, in realtà, stravedevano per le corse dei carri.
Fin dall’epoca repubblicana il Circo Massimo a Roma era frequentato da folle che seguivano le gare delle bighe e gli aurighi, cioè i “piloti”, erano delle vere e proprie star. I giochi erano organizzati direttamente dalle scuderie, che dovevano gestire montagne di denaro perché mantenere carri e cavalli e pagare le parcelle degli aurighi richiedeva un incredibile sforzo economico: praticamente le corse dei carri erano la Formula Uno del tempo, ugualmente amate e costosissime.
Le scuderie erano tradizionalmente quattro: Azzurri, Verdi, Bianchi e Rossi. Ma proprio per via degli alti costi di gestione, con il tempo si ridussero in pratica a due: Verdi e Azzurri.
Essere un verde o un azzurro non era solo una scelta sportiva, ma aveva connotazioni politiche ben precise. In età tardo imperiale e tardo antica, i due partiti avevano seguaci differenziati in base alla classe sociale e anche alla matrice religiosa. I Verdi erano tifati soprattutto dai ceti medio alti, mercanti e imprenditori; gli Azzurri invece dal popolo e dagli strati più poveri della popolazione. Le scuderie erano presenti in tutte le città dell’impero e, oltre a organizzare i giochi, offrivano anche ai loro tifosi una sorta di “assistenza sociale”, quasi un embrione di Welfare. Se una famiglia dei verdi o degli azzurri si trovava in ristrettezze economiche, la scuderia inviava cibo o soldi, si prendeva cura dei ragazzi rimasti orfani e delle vedove, trovava lavoro ai tifosi e organizzava spesso nei quartieri ronde per garantire l’ordine pubblico. Che poi queste ronde spesso taglieggiassero i membri della tifoseria avversaria, li minacciassero ed esercitassero la violenza, era purtroppo un fatto comune.
A Costantinopoli gli imperatori d’Oriente avevano imparato a trattare con le tifoserie, cercandone l’appoggio, che del resto era necessario perché per essere eletti imperatori era obbligatorio essere acclamati al Circo dal popolo convenuto, e i soli che potessero garantire quindi una acclamazione “senza incidenti” erano i capi delle tifoserie.
Era quindi prassi comune che gli imperatori d’Oriente trattassero con i capi delle fazioni, chiudessero un occhio sulle loro malefatte o li usassero per mantenere l’ordine in città. Contraddirli o non mantenere le promesse fatte a queste potentissime organizzazioni poteva essere pericolosissimo.
Lo scoprì per esempio l’imperatore Giustiniano che il 10 gennaio del 532 tentò di riportare l’ordine a Costantinopoli arrestando di colpo alcuni capi delle due fazioni che stavano esagerando con i loro atti di violenza.
Il problema è che Verdi e Azzurri, di solito rivali, si coalizzarono contro Giustiniano e misero Costantinopoli a ferro e fuoco. La corte imperiale fu stretta d’assedio nel Palazzo reale e per un attimo Giustiniano stesso pensò di abbandonare la città perché incapace di trovare una via di uscita.
A risolvere la situazione non fu un uomo, ma una donna, cioè la moglie di Giustiniano, Teodora. L’imperatrice, in realtà, era anche lei una esponente della fazione degli Azzurri: spogliarellista ed ex attrice hard aveva cominciato la sua carriera proprio grazie alla protezione degli Azzurri ed era divenuta prima l’amante e poi la moglie di Giustiniano. Teodora si rifiutò categoricamente di lasciare il trono e la città. Convinse il marito a convocare Azzurri e Verdi al Circo come per proporre loro una tregua, ma una volta chiusi lì dentro, il generale Flavio Belisario e il generale Mundo ricevettero l’ordine di massacrare i presenti. Si stima che circa 30mila persone siano state uccise.
Da quel momento in poi il peso delle fazioni del Circo diminuì grandemente, anche perché pochi degli esponenti più in vista dovevano essere sopravvissuti alla mattanza. Giustiniano e Teodora per emendarsi dalla strage compiuta ricostruirono Santa Sofia che era stata bruciata nella rivolta, passata alla storia con il nome di Rivolta di Nika. Ma che ancora oggi viene ricordata come una rivolta di tifosi fuori controllo che rischiò di avere conseguenze nefaste sull’impero allora più potente al mondo.
Insomma, quando si tratta di scontri fra tifosi, curve fuori controllo e opache relazioni fra politica, ambienti eversivi e tifosi violenti bisogna tenere presente che si tratta di una storia che ha davvero millenni alle spalle.
Immagine in anteprima: Zuffa tra pompeiani e nocerini, public domain, via Wikimedia Commons