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Claudia Tebaldi (coautrice rapporto ONU sul clima): “Solo un mondo più equo, più pacifico e in cui ci sarà collaborazione internazionale potrà fronteggiare il cambiamento climatico”

22 Aprile 2022 8 min lettura

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Claudia Tebaldi (coautrice rapporto ONU sul clima): “Solo un mondo più equo, più pacifico e in cui ci sarà collaborazione internazionale potrà fronteggiare il cambiamento climatico”

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In occasione della 52ma Giornata Mondiale della Terra abbiamo deciso di riportare la trascrizione dell’intervento della climatologa Claudia Tebaldi, intervistata lo scorso 8 aprile dalla giornalista Valentina Petrini nel panel “Crisi climatica, dalla protesta alla proposta” durante l’ultima edizione dell’International Journalism Festival di Perugia.

Le Nazioni Unite celebrano la Giornata della Terra ogni anno il 22 aprile, un mese e un giorno dopo l'equinozio di primavera. L’idea nacque dopo la pubblicazione nel 1962 del libro manifesto ambientalista “Primavera silenziosa” della biologa statunitense Rachel Carson. Sette anni dopo, nel 1969, nel corso di una conferenza dell'UNESCO a San Francisco, l'attivista per la pace John McConnell propose una giornata per onorare la Terra e il concetto di pace da celebrare il primo giorno di primavera nell’emisfero settentrionale, il 21 marzo. Il 22 aprile 1970, ispirandosi alla proposta di McConnell, 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una manifestazione a difesa della Terra. I gruppi che singolarmente avevano combattuto contro l'inquinamento da combustibili fossili, contro l'inquinamento delle fabbriche e delle centrali elettriche, i rifiuti tossici, i pesticidi, la progressiva desertificazione e l'estinzione della fauna selvatica, improvvisamente compresero di condividere valori comuni. Migliaia di college e università organizzarono proteste contro il degrado ambientale: da allora il 22 aprile prese il nome di Earth Day.

Con gli anni, la Giornata della Terra è divenuta un'occasione di confronto tra i leader mondiali affinché vengano adottate strategie comuni e misure concrete per una drastica riduzione delle emissioni dei gas serra.

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Claudia Tebaldi (laurea in Economia Politica all'Università Bocconi, Milano e PhD in Statistica conseguito alla Duke University, North Carolina), dal 2000 si occupa di ricerca nell'ambito del cambiamento climatico, in particolare riguardo agli studi dei cambiamenti osservati, e alle proiezioni dei cambiamenti futuri del clima fisico e i loro impatti sui sistemi socio economici. Ha lavorato presso il National Center for Atmospheric Research (Colorado), il Climate Central a Princeton, (New Jersey), e, attualmente, nel sistema dei laboratori nazionali del Dipartimento dell'Energia, presso il Lawrence Berkeley National Laboratory (California). È stata lead author sia del quinto (2014) che del sesto rapporto IPCC (i documenti dei tre working group sono stati pubblicati rispettivamente ad agosto 2021, febbraio e aprile 2022) e fa parte di numerosi panel di esperti nazionali (USA) e internazionali sul tema del riscaldamento globale e dei suoi effetti.

«Il riscaldamento globale a causa dell’attività umana non è uno scenario futuro, è già in atto e sta provocando danni gravi alle cose a cui teniamo. Su questo c’è il consenso di praticamente la totalità della comunità scientifica», spiega Tebaldi nel corso dell’intervista. Bisogna intervenire subito perché ogni gas a effetto serra emesso si traduce in aumento delle temperature e in eventi estremi più frequenti, intensi e duraturi che moltiplicano le criticità già esistenti nelle nostre società e potrebbero arrestare il progresso per come l’abbiamo vissuto finora. «Solo un mondo che progredisce, in cui il reddito viene redistribuito in modo più equo, più pacifico e in cui ci sarà più collaborazione internazionale, in cui i paesi in via di sviluppo riusciranno a svilupparsi, potrà fronteggiare le sfide poste dal cambiamento climatico».

Il cambiamento climatico è già in atto e sulle sue cause ed effetti c’è l’accordo della quasi totalità della comunità scientifica

Ci sono stati due rapporti pubblicati recentemente dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) [ndr, “Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability”, pubblicato il 28 febbraio 2022, e “Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change”, pubblicato il 4 aprile 2022] ed entrambi hanno definito una situazione di crisi del pianeta derivante dal fatto che il riscaldamento globale si è già verificato, si sta verificando, siamo a circa 1,1° C in più rispetto alle temperature medie precedenti alla rivoluzione industriale. E purtroppo questo riscaldamento si manifesta con effetti deleteri sia per la natura, sia per i sistemi economici, sociali e sanitari. Il riscaldamento sta già creando rischi e problemi e purtroppo continuerà a farlo. È stato definito in modo inequivocabile che ogni ulteriore emissione di gas a effetto serra nell’atmosfera si tradurrà non solo in un riscaldamento globale ma in un aumento della frequenza, dell’intensità e della durata di questi eventi estremi che causano danni alle cose a cui teniamo.

Posso dire che la scienza ha già riscontrato, attraverso l’analisi delle osservazioni, che questo riscaldamento è in atto ed è dovuto per la stragrande maggioranza alle nostre azioni. E ha avuto già effetti dannosi: per esempio, per le popolazioni a rischio per la loro salute per gli effetti delle ondate di calore, alle popolazioni esposte all’innalzamento del livello del mare, agli ambienti naturali come le barriere coralline periodicamente colpite dalle temperature dell’oceano in aumento.

La comunità scientifica che sta studiando questo problema da decenni è per la stragrande maggioranza d’accordo con gli effetti appena descritti. Si parla del 95-96-98% degli studiosi che si occupano di quest’area di ricerca. E allora l’idea che ci sia questa differenza di opinioni sia sulla realtà del riscaldamento che sulle sue cause è un messaggio che è stato usato dagli interessi economici che vogliono iniettare queste dosi di dubbi su una realtà che è incontrovertibile.

Credo che sia necessario sottolineare l’urgenza e la necessità di fare qualcosa di concreto perché purtroppo malgrado tutti questi campanelli d’allarme le nostre emissioni continuano ad aumentare. Non solo non stiamo diminuendo ma continuano ad aumentare. Il problema è che sappiamo dalle nostre conoscenze scientifiche che ogni aumento renderà fronteggiare questi cambiamenti più difficile e più rischioso rispetto al clima pre-industriale. Gli accordi della Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite di Glasgow non sono sufficienti. 

La crisi climatica può frenare l’idea di progresso come l’abbiamo sperimentata finora

Quando parliamo di crisi climatica, parliamo di un processo che ha la potenzialità di frenare e purtroppo a volte arrestare quel trend di progresso che stiamo sperimentando da decenni. Per cui sappiamo per esempio che il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è diminuito nel tempo, ma il cambiamento climatico può rendere questo progresso molto più difficile da continuare. O può addirittura arrestarlo perché il cambiamento climatico causa siccità, altri problemi alla produzione agricola e alle risorse per l’alimentazione delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo. La stessa cosa in termini di salute. Il cambiamento climatico può rendere le malattie tropicali più diffuse perché gli insetti possono uscire dal loro territorio e spargersi più ampiamente. Naturalmente i sistemi sanitari pubblici possono combattere tutto questo. Il problema è che sarà sempre più costoso. 

Alla fine arrestare il cambiamento climatico è una decisione che dovrebbe essere vista come la più razionale possibile se vogliamo continuare a sperimentare questo progresso come l’abbiamo visto fino a ora. L’effetto finale che questi cambiamenti climatici avranno non dipende soltanto da quanto più caldo o quanto più estremo il tempo diventa, dipende anche dal tipo di vulnerabilità o di resilienza che i nostri sistemi, le nostre strutture, la nostra gente può portare, attraverso cui si può difendere.

Un mondo che progredisce, in cui il reddito viene redistribuito in modo più equo, un mondo più pacifico in cui ci sarà più collaborazione internazionale, in cui i paesi in via di sviluppo riusciranno a svilupparsi, sarà un mondo che potrà fronteggiare lo stesso livello di cambiamento climatico rispetto a un altro che invece non avrà goduto questo tipo di progresso. 

Gas e metano sono soluzioni a breve termine e temporanee: dobbiamo affrancarci dai combustibili fossili:

In questo momento non abbiamo molta scelta, ma l’idea di limitare la dipendenza dalle fonti russe, credo che nel lungo periodo sarà un risultato positivo. Spero che alla fine di questo momento di confusione capiremo in modo incontrovertibile che dobbiamo affrancarci dai combustibili fossili. 

Il gas ha un effetto in termini di produzione di effetto serra per la stessa unità di energia prodotta che è circa la metà rispetto ai combustibili fossili tradizionali tipo petrolio e carbone. Quindi è una soluzione meno distruttiva ma ha anch’esso un effetto deleterio. Ma non è una soluzione di lunga durata. È una soluzione di transizione che ha l’effetto però di continuare ad aumentare la concentrazione dei gas a effetto serra, soltanto in minore misura. 

Un altro aspetto dell’uso del gas sono le perdite di metano. Il gas naturale è in realtà metano. Quando lo bruciamo ha questo effetto di essere meno potente del carbone e quindi ok, buono ma il problema è che mentre lo trasportiamo possiamo provocare perdite di metano e il metano è estremamente potente anche più dell’anidride carbonica. Quando usiamo il gas naturale è importante cercare di mitigare gli effetti collaterali delle perdite di metano dalle tubature dei gasdotti che lo trasportano.

Credo che sia una soluzione di breve termine, necessaria per la transizione, perché non possiamo da un giorno all’altro cambiare tutto e cominciare a usare turbine e pannelli solari ma reitera il problema, anche se in minore misura, non lo risolve. Deve essere utilizzato solo temporaneamente.

Il gas è una soluzione temporanea perché continua a creare emissioni di gas a effetto serra. Per quanto tempo possiamo utilizzarlo, dipende dal portfolio di risorse di energia che possiamo usare nel frattempo. E quindi l’obiettivo di 1,5° di riscaldamento chiaramente impone un limite al tempo durante il quale possiamo permetterci gas a effetto serra, considerando tutte le fonti di produzione: energia, agricoltura, trasporti. Quell’obiettivo pone un limite del 2050, meno di 30 anni, per cambiare a livello globale il modo in cui produciamo energia, in cui ci spostiamo, in cui coltiviamo. Gli scenari realistici per arrivare a questo obiettivo di zero emissioni entro il 2050 prevedono una diminuzione delle emissioni a partire da adesso. Mentre continuano ad aumentare, quindi sta diventando sempre meno verosimile l’idea che possiamo limitare il riscaldamento a 1,5°.

Non credo che il mondo finirà se non rimaniamo sotto gli 1,5°, ma tutto diventerà più costoso e più difficile da gestire. È meglio iniziare presto.

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Gli effetti concreti sull’Italia e il Mediterraneo

Quando guardiamo mappe dei cambiamenti climatici futuri possiamo notare quello che noi definiamo “hotspot” del cambiamento climatico. E purtroppo il Mediterraneo è uno di questi, come lo sono alcune zone dei Tropici. Il fatto che per esempio il clima del Mediterraneo sia previsto che diventi più arido è un risultato che abbiamo visto nei nostri modelli da decenni. Non è una novità. Ogni generazione di esperimenti ci ribadisce questa realtà. Purtroppo sulle coste del Mediterraneo come in altre zone colpite da questo tipo di effetti, la situazione è particolarmente vulnerabile per la mancanza di strutture per proteggere la popolazione, per il tipo di economia che è già vulnerabile rispetto ad altre zone del mondo. Anche questo è un esempio perfetto che il cambiamento climatico a stress già presenti e che possono diventare sempre peggiori.

Immagine in anteprima: Bartolomeo Rossi, IJF22, CC BY-ND 4.0, via festivaldelgiornalismo.com

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