Equo, universalistico, pubblico: ripensare il Servizio Sanitario Nazionale dopo questa pandemia
6 min letturaLa pandemia da COVID-19 ha messo a dura prova le nostre esistenze e ci ha costretto a rivedere e a mettere in discussione abitudini, i modi di interagire, uso degli spazi pubblici e privati, la nostra stessa percezione di vita, del rischio e del pericolo. Ci ha messo di fronte alla constatazione della nostra interdipendenza con gli altri. Non può esserci salute per i singoli se non c’è salute per tutti. Prendere delle precauzioni (ridurre gli spostamenti, mantenere il distanziamento fisico, utilizzare i dispositivi di protezione individuale) è stata la condizione per tutelare la salute nostra e delle persone che frequentiamo.
La salute, individuale e collettiva, è diventata la priorità delle politiche pubbliche. I governi che in questi due anni si sono succeduti si sono trovati di fronte all’esigenza di prendere decisioni anche impopolari di fronte a un evento che è apparso sin da subito improvviso e inaspettato.
Ma, se da un lato la pandemia ha rimesso al centro delle decisioni politiche temi riguardanti la salute intesa come bene pubblico, dall'altro ha mostrato a più livelli i limiti del nostro sistema sanitario nazionale in termini di prevenzione, preparazione, organizzazione di fronte a un evento del genere. I focolai negli ospedali e nelle RSA, il difficoltoso reperimento iniziale di dispositivi di protezione individuale e di caschi per la ventilazione nelle strutture ospedaliere e di cura, il numero basso dei tamponi molecolari a disposizione e il ritardo con cui si è arrivati a sottoporre ai test il personale sanitario, l’insufficiente numero di posti letto a disposizione e il sottodimensionamento degli organici (medici e infermieri), i protocolli diversi tra Regioni e Ministero e gli effetti del regionalismo differenziato che si sono manifestati nelle differenti strategie adottate tra chi negli anni ha privilegiato il ricovero ospedaliero (come la Lombardia) e chi i servizi sul territorio (come il Veneto).
“La scoperta tardiva, a epidemia già esplosa, della centralità della salute dell’individuo, l’importanza di investire nella nostra sanità e dare priorità alle reti di cura territoriali di alcuni decisori pubblici è una conferma di come oggi paghiamo scelte che si sono stratificate negli ultimi decenni”, scrive Mara Tognetti su Quotidiano Sanità.
Negli anni, scrive Eleonora Mazzoni su icom, “si è proceduto alla ricerca dell’efficienza economica intervenendo però, prevalentemente, in un’ottica di risparmio e trascurando gli effetti che scarsi investimenti rivolti alla salute della popolazione possono generare indirettamente in termini di costi sociali ed economici, attraverso la qualità della vita delle persone”.
Una tendenza comune alla maggior parte dei sistemi sanitari europei che in Italia, osserva ancora Tognetti, ha portato a una riduzione della spesa sanitaria ferma al 6,5% del PIL nel 2018, del personale sanitario di 38.000 unità tra il 2007 e il 2017 e dei posti letto da 7,2 ogni mille abitanti nel 1990 a 3,2 nel 2017. Tra il 2010 e il 2019, aggiunge la Fondazione Gimbe nel rapporto 7/2019, tra tagli e definanziamenti al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) sono stati sottratti circa 37 miliardi di euro mentre il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato di soli 8,8 miliardi di euro. Contestualmente, “sprechi e inefficienze che si annidano a tutti i livelli del SSN hanno continuato a erodere preziose risorse”. Situazione fotografata anche dal recente rapporto Osservatorio Salute del 2020, pubblicato a maggio 2021.
La pandemia ha evidenziato alcune criticità sulle quali occorre intervenire:
- Preponderanza data a una medicina centrata sulle strutture ospedaliere invece che sulla medicina del territorio. L’eccesso di domanda di cure si è riversato sugli ospedali che, pur mostrando flessibilità e capacità di trasformazione e riorganizzazione, si sono trovate impreparate di fronte a un numero elevato di ricoveri di pazienti COVID-19 nella fase più acuta della diffusione dei contagi in Italia. “La carenza di posti letto in terapia intensiva, e la non adozione di piani d’intervento per le emergenze, evidenzia l’incapacità di trattare le persone prima della necessità del ricovero sul territorio e al proprio domicilio”, spiega Tognetti.
- Scarsa armonizzazione degli interventi tra le diverse regioni e rispetto alle linee del governo centrale. “La pandemia – scrive Fondazione GIMBE nella sua campagna Salviamo il Servizio Sanitario Nazionale – ha certificato ancora una volta il cortocircuito di competenze tra Stato e Regioni, per i quali la sanità rappresenta dal 2001 materia di legislazione concorrente. L’emergenza e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato questo cortocircuito di competenze in tema di tutela della salute: per evitare scontri istituzionali, il Governo da un lato non ha avocato a sé l'esercizio del potere sostitutivo a garanzia dell'interesse nazionale nel caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica (art. 120 della Costituzione) né ha tenuto conto che la carta costituzionale affida allo Stato la legislazione esclusiva in materia di profilassi internazionale (art. 117 lett. q), come nel caso di una pandemia. Dall’altro, con il DL 16 maggio 2020 n. 33 (art. 1, comma 16) ha demandato interamente alle Regioni la responsabilità del monitoraggio epidemiologico e l’introduzione in deroga di misure ampliative o restrittive, rispetto a quelle nazionali”.
- Incapacità di prevedere la pandemia e il suo andamento nei diversi territori. Gli osservatori epidemiologici sono stati cancellati o indeboliti nelle loro funzioni e così hanno avuto minore capacità di rilevazione dei dati e delle informazioni per poter adottare strategie efficaci. “Nel 2003 – osserva Quotidiano Sanità – era stato istituito il CNESPS (Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute) per studiare i casi dell’influenza aviaria e dell’influenza suina. Tale istituto avrebbe dovuto individuare i primi contagi e acquisire i dati per determinare le curve epidemiche, ma nel 2016 è stato chiuso”.
Al netto di queste criticità, il servizio sanitario pubblico è stato comunque una risorsa importante nel gestire la grande richiesta di cure. Ma necessita di alcuni interventi in modo tale da fronteggiare tempestivamente anche le emergenze. Soprattutto bisognerà rafforzare la medicina territoriale e le unità speciali di continuità assistenziale (USCA), migliorare il coordinamento tra centro e periferia, tra scelte nazionali e regionali, rilanciare la prevenzione grazie anche a una maggiore Health Literacy, alfabetizzazione alla cultura della salute, nei luoghi di vita e di lavoro, incrementare la medicina territoriale e le cure di prossimità.
In Commissione Igiene e Sanità del Senato, riporta icom, sono state presentate cinque proposte per l’Istituzione di una Commissione monocamerale di Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale.
Dal 2013 la Fondazione GIMBE, ha avviato la campagna Salviamo il nostro Servizio Sanitario Nazionale “per tutelare i diritti delle persone, ridurre diseguaglianze, gli sprechi e salvaguardare un servizio sanitario pubblico e universalistico”. I princìpi guida della campagna, scrive GIMBE, “sono stati elaborati tenendo conto della legislazione vigente, del contesto politico, economico e sociale, oltre che di evidenze ed esperienze mutuate da sistemi sanitari internazionali. A seguito di un’ampia consultazione pubblica, tali princìpi hanno guidato la stesura della Carta GIMBE per la tutela della Salute, pubblicata nel dicembre 2014”. Dal 2016 la Fondazione presenta ogni anno il Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale e ha istituito l’Osservatorio GIMBE sul SSN, per un monitoraggio continuo e indipendente. In audizione informale alla XII Commissione Affari Costituzionali alla Camera dei Deputati, lo scorso 2 febbraio la Fondazione ha presentato una proposta di piano di salvataggio del sistema sanitario nazionale.
Tutte le fragilità del Servizio Sanitario Nazionale emerse con la pandemia, scrive GIMBE, “richiedono un approccio di sistema, che preveda il coinvolgimento di tutti gli stakeholder della sanità: dai decisori politici, ai manager, ai professionisti sanitari fino ai cittadini che grazie ad adeguate campagne di informazioni e sensibilizzazione possono fare moltissimo per la sostenibilità e il rilancio del SSN”. Un sistema sanitario nazionale equo, universalistico e pubblico.
In questo senso, rischia di essere un'occasione mancata il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La missione numero 6, incentrata sul tema “Salute”, è quella a cui sono state destinate meno risorse: circa 20,2 miliardi complessivi, di cui 7 miliardi per il potenziamento del SSN da un punto di vista digitale, di strutture e di servizi domiciliari, e 8 miliardi per rafforzare la ricerca in ambito biomedico e sanitario.
Nell'audizione dello scorso febbraio, GIMBE aveva già segnalato “uno squilibrio tra gli obiettivi generali di far fronte alle criticità del Servizio Sanitario Nazionale e le risorse investite”, e l'assenza di riforme strutturali, coraggiose e importanti: “Manca una stima del ritorno degli investimenti. Cosa molto importante perché, altrimenti tra 5 anni ci troveremo solo del debito pubblico in più”, aveva detto il presidente della Fondazione, Cartabellotta.
Delle criticità emerse durante la pandemia, di cosa abbiamo imparato in questo anno e mezzo, di come e dove intervenire per migliorare il sistema sanitario e della campagna "Salviamo il Servizio Sanitario Nazionale" parleremo nel prossimo incontro di Valigia Blu Live "Come ripensare il sistema sanitario dopo questa pandemia", in diretta venerdì 25 giugno alle ore 18.30 sul gruppo Facebook “VB Comunity” e su YouTube. Insieme ad Arianna Ciccone ci sarà Nino Cartabellotta, medico e presidente della Fondazione GIMBE.
L'incontro sarà poi disponibile anche in versione podcast qui e sul nostro canale YouTube.
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Immagine in anteprima: Sauro Magrini