Il ruolo delle rinnovabili nella transizione energetica al 2050
12 min letturaIl settore energetico da solo è responsabile di quasi i tre quarti delle emissioni globali di gas a effetto serra che causano il riscaldamento globale. L’ultimo rapporto dell’IPCC pubblicato ad agosto mostra che la temperatura del pianeta è già cresciuta di 1,1°C rispetto all’era preindustriale. Secondo la Global Energy Review 2021 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), nel 2021 le emissioni prodotte dal settore energetico sono state 33 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica al 2050 sottoscritti dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e da altri paesi, dobbiamo ripensare le modalità con cui alimentiamo le grandi industrie, le modalità con cui produciamo l’energia elettrica, i sistemi di riscaldamento degli edifici, i carburanti con cui alimentiamo i trasporti.
Secondo quanto riporta Our World in Data (che si rifa alla Statistical Review of World Energy 2020 di BP), oggi quasi l’85% dell’energia che consumiamo nel mondo utilizza i combustibili fossili come fonte primaria, ovvero petrolio (33%), carbone (27%) e gas (24%). Le rinnovabili sono a poco più dell’11%, ma togliendo l’idroelettrico i soli fotovoltaico ed eolico sono ben al di sotto del 5%.
Rispetto alle percentuali mondiali, l’Europa è più avanti per quanto riguarda la penetrazione delle rinnovabili nel suo mix energetico (quasi al 20%) e mira a portarle entro il 2030 al 40% (includendo biocarburanti e idrogeno) con il pacchetto Fit for 55 del Green Deal europeo.
Per ridurre drasticamente le emissioni di CO2 del settore energetico occorrerà seguire due strade maestre. Una è quella dell’efficientamento energetico: le nostre tecnologie, i nostri dispositivi, i nostri edifici, a parità di servizi erogati, dovranno essere molto meno energivori. Nonostante le previsioni di crescita economica e demografica, nel 2030 il mondo dovrebbe consumare il 7% in meno dell’energia che consuma oggi, secondo il report Net Zero by 2050 (pag. 14) della IEA, su cui ritorneremo a breve.
La seconda strada è quella dell’elettrificazione di quanti più settori possibili: quello civile (il riscaldamento), i trasporti (la mobilità elettrica), il settore industriale, dove possibile. La visione d’insieme a livello globale si può avere da un altro rapporto della IEA, il World Energy Outlook 2021 pubblicato a ottobre. Tim Gould, chief energy economist dell’agenzia internazionale dell’energia ha commentato sulla sua pagina Twitter la più importante delle figure contenuta nel nuovo rapporto.
The new @iea World Energy Outlook is out and my plan/hope in the coming weeks is to dig around among the figures & analysis, put some of it up here and explain what we've been up to.
Start 👇 with the mother lode, the biggest of big pictures: pic.twitter.com/YGet9LSSbI
— Tim Gould (@tim_gould_) October 16, 2021
Today’s system comes with a fatal flaw – producing nearly ¾ of global GHG emissions. What would a different energy system look like? Here’s the same type of diagram, but showing 2050 in our Net Zero Emissions by 2050 scenario that caps the global temperature rise at 1.5C. pic.twitter.com/9tfJs4i45E
— Tim Gould (@tim_gould_) October 16, 2021
Con un colpo d’occhio si può vedere che le spesse frecce marroni, viola e rosse (che rispettivamente rappresentano carbone, gas e petrolio) rispetto allo scenario attuale si assottigliano quasi fino a scomparire nello scenario di neutralità climatica al 2050. Allo stesso tempo si inspessiscono le frecce blu (che rappresentano l’elettricità prodotta da fonti a basse emissioni di carbonio) che diventeranno la principale forma di alimentazione dei settori industriale, civile e dei trasporti. La freccia verde chiaro (che rappresenta fonti rinnovabili di generazione di energia) è quella che si sobbarca la maggior parte della produzione di energia elettrica a basse emissioni.
Secondo il World Energy Outlook 2021, si legge nell’executive summary, “nella maggior parte dei mercati, il solare fotovoltaico e l’eolico rappresentano la fonte di generazione di energia elettrica più economica ad oggi disponibile”.
Per entrare più nel dettaglio del ruolo che dovranno avere le rinnovabili in uno scenario di neutralità climatica occorre riprendere il rapporto Net Zero by 2050 pubblicato a maggio di quest’anno dalla IEA. Il rapporto suggerisce un insieme di 400 tappe da percorrere da qui ai prossimi 30 anni per ottenere una riduzione delle emissioni compatibile con il contenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C, come stabilito dagli accordi di Parigi nel 2015.
Ad esempio, già dal 2021 non si dovrebbero più inaugurare nuovi giacimenti di gas o pozzi di petrolio: una posizione molto netta da parte di un’agenzia che storicamente non è stata di certo ostile all’industria dei combustibili fossili. Entro il 2025 non si dovrebbero più vendere caldaie a gas. Entro il 2030 il 60% delle auto vendute dovranno essere elettriche. Nel 2035 non si dovrebbero più vendere auto a combustione interna. Nel 2040 la metà di tutti gli edifici dovrebbe essere a emissioni zero. Nel 2045 quasi tutti i veicoli dovrebbero essere elettrici, così come il riscaldamento (tramite pompe di calore), mentre l’idrogeno dovrebbe alimentare le grandi industrie. Nel 2050 quasi tutti i settori dovrebbero essere elettrificati e il 90% dell’elettricità dovrebbe essere generata da fonti rinnovabili: il fotovoltaico e l’eolico da soli dovrebbero rappresentare il 70% del totale.
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Nello scenario tracciato dalla IEA, sopravviverà una porzione di energia le cui emissioni non si potranno abbattere del tutto. Sarà allora necessario, secondo la IEA, catturare l’anidride carbonica in eccesso nella misura di circa 7,6 miliardi di tonnellate da qui al 2050. Secondo la IEA, il nucleare non accrescerà di molto i suoi valori percentuali relativi alla generazione di energia elettrica.
Our #NetZero2050Roadmap leads to a global energy system in 2050 dominated by clean energy.
Nearly 90% of global electricity generation in 2050 comes from renewable sources, with solar PV ☀️ & wind 💨 together accounting for nearly 70% → https://t.co/B4lsbsBwTu pic.twitter.com/KOXBiVAmmf
— International Energy Agency (@IEA) May 22, 2021
The @IEA pathway leads to a global energy system in 2050 dominated by clean energy:
➡️ Solar is the single largest source of global energy
➡️ Renewables provide almost 90% of electricity
➡️ One-fifth of that electricity is used to produce hydrogenMore: https://t.co/0w86dM3JWM pic.twitter.com/WU96NCQVK1
— Fatih Birol (@fbirol) May 18, 2021
Quella che va messa in atto nei prossimi tre decenni è una totale trasformazione del modo in cui produciamo, trasportiamo e consumiamo l’energia. Il rapporto Net Zero by 2050 la presenta senza mezzi termini (p. 13) come “la più grande sfida che l’umanità abbia mai dovuto affrontare”.
Di transizione energetica e decarbonizzazione si parla ormai da diversi decenni e fino a pochi anni fa non esisteva un’idea condivisa su come realizzarle. Oggi sembra emergere un consenso attorno al fatto che l’elettrificazione e la produzione di energia da fonti rinnovabili siano la strada da seguire.
Un altro rapporto indipendente, infatti, il World Energy Transitions Outlook 2021 pubblicato a giugno da IRENA (International Renewable Energy Agency), giunge alle stesse conclusioni della IEA: nel 2050 il 90% dell’energia elettrica globale dovrà essere generata da fonti rinnovabili. Il gas avrà il 6% della torta e il resto va al nucleare (figura 2.4 del rapporto, p. 71). L’energia elettrica dovrebbe soddisfare più della metà del fabbisogno energetico totale mondiale; i combustibili fossili, secondo lo scenario tracciato da IRENA, dovrebbero rimanere sotto il 10%; cresceranno invece idrogeno e biomasse.
Ancora una volta, la convenienza nello sfruttare le rinnovabili è soprattutto economica: “i costi delle energie rinnovabili continuano a scendere. Il solare fotovoltaico e l’eolico sono, sempre di più, la fonte di elettricità più economica in molti mercati” (si legge a p. 41 del rapporto, figura 1.1).
Il dipartimento dell’energia statunitense ha pubblicato un rapporto, il Solar Futures Study lo scorso 8 settembre, che sembra recepire i messaggi lanciati dalle agenzie internazionali. Lo studio mostra come gli Stati Uniti siano in grado di aumentare la generazione di energia elettrica da solare, passando dallo scarso 4% dell’attuale paniere energetico al 40% entro il 2035, arrivando al 45% al 2050. L’eolico potrebbe salire fino al 36% e combinati, solare ed eolico, produrrebbero circa il 75% dell’energia elettrica statunitense, in linea con quanto previsto da IEA e IRENA. Il resto verrebbe prodotto da idroelettrico, biomasse e geotermico, mentre il nucleare resterebbe sostanzialmente stabile alle percentuali che occupa oggi, tra l’11% e il 13%.
Deploying more solar energy by 2035☀️can help American communities by:
🔌Powering 40% of the U.S.' electricity
⚡️Decarbonizing the grid
👷Employing as much as 1.5M peopleFind out more on what's ahead for this clean tech in our Solar Futures Study: https://t.co/ZIvDzDQ7JM pic.twitter.com/cpWlWLlGGs
— U.S. Department of Energy (@ENERGY) September 8, 2021
Il 4 novembre scorso, nella giornata della COP26 dedicata all’energia in cui è stata presentata la dichiarazione volta ad eliminare il carbone entro il 2030, il presidente della Conferenza internazionale sul clima, Alok Sharma, ha ricordato che Narendra Modi, presidente dell’India, nonostante abbia fissato il 2070 come data di raggiungimento della neutralità climatica, ha dichiarato di voler generare il 50% dell’elettricità indiana da fonti rinnovabili entro il 2030.
Per quella data, la Cina, che vorrebbe diventare climaticamente neutrale nel 2060 e che resta ancora molto dipendente dal carbone, mira ad avere 1200 GW di rinnovabili, che equivalgono a circa il 45% di tutta la capacità di generazione da rinnovabili oggi installata nel mondo (quasi 2800 GW nel 2021, secondo un rapporto IRENA di marzo 2021). La Cina ha anche recentemente annunciato un grosso investimento in energia nucleare.
I warmly welcome Indian Prime Minister @narendramodi's announcement at #COP26 that 🇮🇳 will aim for 50% renewables in its energy mix by 2030 – on a path to reaching #NetZero by 2070.
@IEA is firmly committed to supporting India's efforts to achieve its energy & climate goals. https://t.co/PSv3NbJq6o— Fatih Birol (@fbirol) November 2, 2021
Se fotovoltaico ed eolico saranno le modalità di produzione energetica che più dovranno crescere da qui al 2050, di certo non lo faranno da sole. Per realizzare i soli obiettivi del fotovoltaico, riporta la IEA in Net Zero by 2050, bisognerebbe installare ogni giorno da qui al 2030 l’equivalente del più grande parco solare ad oggi esistente. Dal 2030 in avanti invece bisognerà correre ancora più veloci: occorrerà aumentare ogni anno di 630 GW la capacità globale del fotovoltaico e di 390 GW quella dell’eolico. In altri termini dovremo andare 4 volte più veloci di quanto facciamo oggi: nel 2020 abbiamo installato circa 260 GW di rinnovabili nel mondo, secondo quanto riporta IRENA.
Questa impressionante accelerazione nella capacità di installazione dovrà essere sostenuta da grandissimi investimenti economici. Ciononostante, “i benefici sociali ed economici derivanti da un’accelerazione della transizione verso energie pulite sono enormi, mentre i costi dell’inazione sarebbero immensi”, ha commentato recentemente il direttore della IEA Fatih Birol.
Oltre che dagli investimenti, la transizione dovrà essere supportata da un apporto continuo di materie prime. In particolare, è previsto un aumento complessivo della domanda di quelli che la IEA definisce “minerali critici” alla transizione energetica: da qui al 2040, se tutti gli impegni verso la neutralità climatica verranno rispettati, la domanda di minerali critici aumenterebbe di 6 volte. Ma ancora questo numero non rende l’idea, perché alcuni minerali saranno più critici di altri. Secondo il rapporto The role of critical minerals in energy transition pubblicato dalla IEA a maggio, la domanda di litio potrebbe aumentare di 40 volte rispetto a quella attuale, quella di grafite di 25 volte, quella di cobalto e nickel di 20 volte, quella delle cosiddette terre rare di 7 volte.
Energy demand for critical minerals set to soar as the world pursues net zero goals.
Our new report shows that the energy sector’s overall needs for minerals could grow by as much as 6️⃣ times by 2040, depending on the pace of efforts to cut emissions: https://t.co/65ugmrcTTO pic.twitter.com/DzySS6s3F6
— International Energy Agency (@IEA) June 20, 2021
Naturalmente questi minerali non sono distribuiti sulla superficie terrestre in modo omogeneo e ancora meno lo è la capacità estrattiva e produttiva dei singoli paesi. Dipendere eccessivamente dalla capacità estrattiva e produttiva di pochi paesi (la Cina su tutti) potrebbe generare tensioni che rischierebbero di rendere temporaneamente insufficienti le forniture, ritardando la realizzazione della transizione stessa. Quella dei minerali critici, sottolinea la IEA, è una partita geopolitica ed economica, prima ancora che energetica. Per questo è centrale il tema dell’economia circolare: riciclare i minerali già estratti dal sottosuolo sarà una questione di sicurezza geopolitica prima ancora che una questione ambientale.
Production & processing of many critical minerals are concentrated in just a few countries. In some cases, the top 3 producers generate over 75% of supplies.
New & more diversified supply sources will be vital to pave the way to a clean energy future ➡️ https://t.co/Ee31azDKBs pic.twitter.com/3RyvRkrntS
— International Energy Agency (@IEA) July 21, 2021
Buona parte dei minerali critici, la cui domanda potrebbe schizzare alle stelle, serve a comporre le batterie e i sistemi di accumulo dell’energia elettrica che sarà necessario impiegare per immagazzinare l’energia prodotta da fonti, quelle rinnovabili come solare ed eolico, che per loro stessa natura sono discontinue. Le batterie agli ioni litio sono i sistemi ad oggi più utilizzati, dagli smartphone ai veicoli elettrici. Esistono tuttavia già oggi soluzioni (come ad esempio le batterie al litio-ferro-fosfato) che fanno a meno di minerali solitamente presenti negli elettrodi come il cobalto, la cui estrazione avviene principalmente in Repubblica Democratica del Congo in un contesto politico e sociale estremamente complicato. La ricerca sta già proseguendo verso le cosiddette batterie “oltre il litio” (beyond litihum batteries). Talvolta si sente parlare di batterie al sodio, o “al sale”, ma dire oggi quale sistema di accumulo si rivelerà adatto per il mercato di domani è difficile a dirsi.
Quello che è certo è che le rinnovabili devono andare a braccetto con un sistema di accumulo affidabile e una rete elettrica intelligente (smart grid). Inoltre l’energia pulita dovrà essere accessibile in modo egualitario a tutti, sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista infrastrutturale. Da qui l’alleanza tra transizione ecologica, digitalizzazione e inclusione sociale, che poi sono i tre pilastri del Green Deal europeo, del Next Generation Eu e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Restringendo infine la visuale sulla situazione italiana, ci sono alcuni documenti governativi, come il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, di cui però è atteso un aggiornamento nel 2022) e la Strategia nazionale di lungo termine sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, che fissano gli obiettivi da raggiungere in tema di rinnovabili. Poche immagini sono meglio di mille parole e quelle della Strategia nazionale di lungo termine (pag. 10 e 11) danno un colpo d’occhio su cosa sarà la transizione energetica in Italia.
Per quanto riguarda fotovoltaico ed eolico, in Italia partiamo da 21 GW di fotovoltaico e 11 GW di eolico installati. Da qui al 2030 dovremo installare, a seconda degli scenari, circa altri 70 GW di rinnovabili. In meno di 10 anni significa almeno 7 GW all’anno. Nei primi sei mesi del 2021 però abbiamo installato 0,452 GW. Solo tra il 2010 e il 2011 abbiamo mantenuto un ritmo di 6 GW all’anno, prova che il risultato è alla portata, ma negli ultimi 5 anni almeno abbiamo sempre installato meno di 1 GW all’anno.
Le ragioni vanno da iter autorizzativi e burocratici troppo lunghi a scarsa accettabilità sociale per strutture percepite a volte come ingombranti (fenomeno noto anche come sindrome Nimby – Not in my backyard).
Un caso paradigmatico è quello del cosiddetto agrivoltaico, ovvero l’installazione di impianti fotovoltaici su suolo agricolo. L'agrivoltaico vuole essere un modello di simbiosi tra alcuni tipi di colture o allevamenti (quelli ovini ad esempio si prestano molto bene) in cui l'ombreggiatura dei pannelli reca beneficio all'attività agricola in termini di resa o di risparmio di acqua irrigua. Esistono già diversi esempi virtuosi in questo senso in paesi in cui l'agrivoltaico è ben regolamentato come Francia e Germania. Per quanto riguarda l'occupazione di suolo, per installare impianti fotovoltaici si dovrà dare priorità ai tetti degli edifici, alle aree dismesse (industriali o discariche) e ai parcheggi, ma non si può escludere di doverlo mettere anche a terra. È stato, tuttavia, calcolato (da diverse associazioni ambientaliste come Legambiente, Greenpeace, WWF, e di industriali come Italia Solare) che la quantità di suolo agricolo da destinare al fotovoltaico ammonta a circa 70.000 ettari, equivalenti a circa il 2% della superficie agricola nazionale non utilizzata (Superficie italiana: circa 30 milioni di ettari; Superficie Agricola Totale: 16,5 milioni di ettari; Superficie Agricola Utilizzata 12,8 milioni di ettari; Superficie Agricola Non Utilizzata 3,7 milioni di ettari).
Nonostante la quantità tutto sommato limitata di superficie agricola non utilizzata che andrebbe destinata all'agrivoltaico per installare i GW previsti da qui al 2030, il ministro per le politiche agricole Stefano Patuanelli ha più volte dichiarato di non essere disposto a concedere suolo agricolo per fini energetici. Il PNRR ha destinato 1,1 miliardi di euro specificamente all’agrivoltaico, ma a livello nazionale non esiste una norma che stabilisca gli standard da seguire, così, come spesso avviene in Italia, si va in ordine sparso. In Veneto ad esempio il Centro di ricerca interdipartimentale dell’università di Padova “Giorgio Levi Cases” ha riunito intorno a un tavolo di discussione agricoltori (Confagricoltura Veneto e Coldiretti Veneto), industriali (Italia Solare) e politici (consiglieri della Regione) per discutere di come migliorare una legge regionale che mira a normare il fotovoltaico a terra. Nonostante punti di partenza differenti, sono state raggiunge importanti convergenze. Il 2026, termine entro cui scade il PNRR, è più vicino di quanto non sembri e non ci si può permettere di non spendere i soldi arrivati dall’Europa.
Immagine in anteprima: Lukas Bieri via Pixabay