Il caso del rigassificatore di Piombino, quando la transizione ecologica passa dai territori già impattati dall’industria pesante
9 min lettura“Questo è un tempo in cui non si possono più dire i no”. La frase è recente, risale allo scorso 26 giugno e l’ha pronunciata il ministro allo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti in merito al rigassificatore che il governo Draghi vuole installare, nel più breve tempo possibile, nel porto di Piombino, sulla costa toscana. Ma a guardare la storia industriale del nostro paese la frase potrebbe essere stata pronunciata in qualsiasi periodo storico e a qualsiasi latitudine. È il concetto mantra con il quale la classe dirigente affronta ogni volta le opposizioni che provengono dai territori.
Il caso del rigassificatore di Piombino attesta inoltre un’altra tendenza, questa volta più “innovativa”: la transizione ecologica passa dai territori che hanno già patito grandi impianti industriali. Lo si vede a Gela, ad esempio, dove all’ex petrolchimico di Eni si accompagnerà a partire dal 2023 il gasdotto Argo-Cassiopea che, nelle intenzioni del governo Draghi e di Eni, dovrà fornire almeno un miliardo di metri cubi di gas all’anno. Lo si vede a Taranto, dove l’ex Ilva, che da azienda privata è stata tramutata in Acciaierie d’Italia con la presenza dello Stato, dovrebbe garantire secondo i piani 6 milioni di tonnellate d’acciaio (con parecchi dubbi a riguardo). E lo si vede a Piombino, che con la presenza del rigassificatore dovrebbe sopperire alla probabile assenza del gas russo (ci torneremo). Tra le altre cose Gela, Taranto e Piombino sono tre SIN, Siti di Interesse Nazionale, cioè territori dove è lo stesso Stato ad aver riconosciuto nel 1998 la contaminazione ambientale e ad aver indicato la priorità delle bonifiche.
Nello specifico il Sin di Piombino, secondo l’ultimo aggiornamento risalente a giugno 2021, ha conseguito il 49% delle bonifiche completate su un’estensione totale di 931 ettari. Come spiega Arpat, l’agenzia regionale per la protezione ambientale, il sin di Piombino comprende:
- Un polo industriale di notevoli dimensioni;
- L'area portuale di Piombino, caratterizzata da traffici mercantili e turistici verso le isole (Elba, Sardegna e Corsica) e dall'attività legata all'industria (ad esempio per l'approvvigionamento di materie prime);
- L'area della centrale termoelettrica ENEL Torre del Sale, dismessa nel marzo 2015;
- L'area marina antistante;
- Le discariche di rifiuti esaurite di Poggio ai Venti”.
La storia della città toscana è strettamente legata alla presenza dello stabilimento siderurgico - il secondo più grande in Italia, proprio dopo l’Ilva di Taranto - che da otto anni attende una ripartenza dopo lo spegnimento dell’ultimo altoforno, avvenuto ad aprile del 2014. Oltre alle ferite ambientali ancora aperte, dunque, c’è anche una riconversione industriale in stallo. A ricordarlo, proprio al ministro Giorgetti, è stato il deputato del Partito Democratico Andrea Romano, durante la seduta di question time alla Camera dei deputati del 22 giugno, in cui si domandava l’esito delle trattative sulle ex acciaierie Lucchini:
Nessuno degli impegni sottoscritti dal gruppo Gindal, al momento dell’acquisizione nel 2018, sulla riconversione degli impianti è stato rispettato (...) Quel territorio deve avere finalmente una prospettiva chiara relativa al lavoro e allo sviluppo
Non poteva mancare un riferimento al rigassificatore:
In queste ultime settimane a Piombino è stato chiesto uno sforzo importante, ovvero di farsi carico di uno dei rigassificatori che l’Italia dovrà mettere in campo per diversificare la propria strategia energetica, anche per liberarsi dal ricatto del regime di Putin. Io credo che questa richiesta sia stata fatta senza la necessaria e doverosa attività di coinvolgimento delle comunità locali, scatenando reazioni e tensioni inevitabili, ma che vanno, io credo, superate ovviando agli errori che sono stati fatti in queste ultime settimane. E questo superamento delle tensioni, questo coinvolgimento delle comunità locali, dovrà avviarsi facendo anche ciò che non è mai stato fatto sulle acciaierie ex Lucchini. Perché si tratta di un territorio gravato da anni di deindustrializzazione, di promesse mancate, di cose non fatte.
“Non abbiamo ancora il progetto”
Se finora abbiamo detto poco o nulla del rigassificatore è perché poco o nulla si sa. Una sintesi la si può trovare sul quotidiano Domani:
L’annuncio è arrivato da Snam nelle scorse settimane. La nave “Golar Tundra” è stata già comprata, è lunga quasi 300 metri e larga 40, è costata 330mila (in realtà milioni, ndr) euro e finirà nelle bollette di tutti, adesso però va posizionata. Nei piani del governo il rigassificatore galleggiante è necessario e deve essere collegato alla rete di trasporto al più presto, in attesa che ne arrivi un’altra che sarà allacciata un po’ di tempo dopo.
Ad acquistare il rigassificatore galleggiante, in pratica una grande nave che occuperà un’intera banchina del porto di Piombino, è stata Snam, una delle aziende di Stato sulle quali il governo Draghi punta maggiormente per superare la dipendenza dal gas russo. La nave di Snam è una FSRU, Floating Storage and Regasification Unit, cioè un’unità galleggiante che riceve gas naturale liquefatto (GNL) a una temperatura di -160°C da altre navi metaniere e lo rigassifica (lo porta nuovamente allo stato gassoso) per poterlo poi immettere nella rete nazionale di trasporto del gas.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina il GNL è tornato prepotentemente alla ribalta: nonostante gli alti costi economici e ambientali, al governo italiano è sembrata la strada più immediata da percorrere per fronteggiare la mancanza del gas russo, che fino al 2021 aveva contribuito al 40% dei consumi nazionali. Alcuni report avrebbero comunque accertato le pressioni delle aziende fossili sui governi dell’Unione Europea, soprattutto nella fase di stesura del REPowerEu, il piano presentato dalla Commissione europea lo scorso maggio “per rendere l'Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina”. Di fronte a una tale opacità, invece di spiegare scelte energetiche destinate a modificare gli equilibri nazionali per decenni, il governo Draghi ha scelto di dare un’ulteriore accelerata. Il caso di Piombino in questo senso è paradigmatico.
Le date sono importanti: il 6 aprile (in un’audizione alla Commissione Affari esteri della Camera) il ministro Cingolani parla per la prima volta di un “accordo preliminare” per una grande nave da ospitare “per un periodo limitato, tipicamente uno-due anni”; l’1 giugno Snam annuncia di aver acquistato “un rigassificatore galleggiante da 5 miliardi di metri cubi per 350 milioni di dollari”, proprio quello che dovrà essere installato nel porto di Piombino; il 9 giugno il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani (insieme al collega dell’Emila Romagna Stefano Bonaccini) viene nominato “commissario straordinario per il rigassificatore”, con l’evidente intenzione di superare le prevedibili resistenze degli enti locali.
In tre mesi, insomma, si riscrive il destino di una città di 35mila abitanti. E senza alcun coinvolgimento popolare. Tanto che le proteste arrivano quasi immediatamente. A opporsi al rigassificatore è un fronte trasversale: si va dalla Lega al Movimento 5 stelle, da Rifondazione Comunista al sindaco di Piombino Francesco Ferrari, eletto con Fratelli d’Italia, fino a Greenpeace, che ha ricordato come l’esecutivo abbia nominato commissari straordinari per i rigassificatori “mentre sulle rinnovabili persino le proposte di parte industriale di accelerare sono state liquidate come lobby rinnovabilista”. I malumori locali sono poi sfociati nel corteo del 18 giugno che ha visto la partecipazione di duemila persone e di un centinaio di imbarcazioni e nella manifestazione dell’1 luglio, seguita da un consiglio comunale straordinario in cui il neocommissario Giani ha ripetuto il solito ritornello del sacrificio da affrontare per godere di benefici futuri (come se questi non fossero già diritti acquisiti):
Se il governo ha deciso e a voi non vi va bene protestate, attivatevi nei confronti del governo, ma io penso che la cosa migliore sia, nel momento in cui ho visto che la decisione è nata da atti ormai inconfutabili, dire che se si porta per 2-3 anni il rigassificatore nel porto cerchiamo di avere quello che da tempo cerchiamo: infrastrutture, bonifiche, energie rinnovabili, sostegno alle attività produttive, valorizzazione del turismo e sconto sulle bollette. È questa la chiave con cui affrontare la questione
Era stato d’altra parte lo stesso ministro Cingolani a spogliarsi del suo presunto ruolo tecnico e a indicare il più classico dei compromessi politici. Su Il Tirreno del 19 giugno il ministro ha promesso “giuste compensazioni” e ha dichiarato che “senza questa possibilità avremmo dovuto staccare la luce e chiudere le fabbriche in tutto il paese”. Evitando comunque di dare ulteriori ragguagli su un progetto di cui finora si sa davvero poco.
A far riflettere maggiormente sono le dichiarazioni successive di qualche giorno di Luciano Guerrieri, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Settentrionale:
Noi siamo stati investiti da un grande problema nazionale ed europeo, l’esigenza di diversificare le fonti di approvvigionamento. Come porto non abbiamo assunto una posizione pregiudiziale. Piombino fondamentalmente è un porto traghettistico, è un’area di crisi complessa, dove si sta iniziando una diversificazione, c’è un porto turistico in costruzione e allevamenti ittici importanti. Il problema è avere un’istruttoria precisa e rapida
Proprio quel che manca, nel senso che del rigassificatore quel che si conosce sono appena una manciata di rassicurazioni di esponenti del governo. Lo stesso Guerrieri, pur consapevole di avere margini d’azione limitati, si è spinto a dire che “se ci fosse un’incompatibilità dovremo dirlo”, ma “non abbiamo ancora il progetto”. Come ha ricordato il comitato di salute pubblica, un gruppo di cittadini e cittadine nato a Piombino nel 2018, il cosiddetto decreto Aiuti - il decreto legge n°50 del 17 maggio 2022 - all’articolo 5 prevede alcune “disposizioni per la realizzazione di nuova capacità di rigassificazione”, tra le quali viene disposta l’esenzione dalla Valutazione di Impatto Ambientale per “le opere finalizzate all’incremento della capacità di rigassificazione nazionale mediante unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione da allacciare alla rete di trasporto esistente”. Ciò significa che le schede tecniche del progetto, al momento, non saranno liberamente consultabili. Qualcosa in più la si apprende sul sito di Snam, ma sono pur sempre comunicazioni rivolte a un pubblico generalista:
La società possiede il rigassificatore di Panigaglia (La Spezia), è uno degli azionisti di controllo (con il 49%) di OLT (il rigassificatore galleggiante al largo di Livorno) e detiene una quota di circa il 7,5% di Adriatic LNG, l’impianto posto al largo di porto Viro (Ro). Inoltre, per favorire una maggiore sicurezza e diversificazione degli approvvigionamenti energetici dell’Italia, Snam ha recentemente acquistato una unità galleggiante (FSRU), denominata Golar Tundra, con una capacità di stoccaggio di 170mila metri cubi e una capacità di rigassificazione annua di 5 miliardi di metri cubi di gas. Il terminale sarà posizionato nel centro-nord Italia, in prossimità dei punti di maggiore consumo di gas, al fine di garantire la massimizzazione della capacità di rigassificazione. Inoltre, nell’ambito del nuovo assetto energetico della Sardegna previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 29 marzo 2022, Snam ha acquistato nei mesi scorsi una FSRU (Golar Arctic) dalla capacità di stoccaggio di 140mila metri cubi di gas, che sarà installata nei pressi dell’area portuale di Portovesme (Ca).
Sono molte le domande che restano inevase, e si tratta di quesiti solo apparentemente tecnici perché in realtà portano con sé particolari conseguenze sulla vivibilità dei luoghi: l’acqua da usare per il raffreddamento dell’impianto sarà sversata in mare? Il flusso di navi sarà frenato dalla presenza del rigassificatore? Ci saranno impatti sulle attività di pesca?
Altro che “la saga dei no italiani si arricchisce di un tassello”, come ironizza Il Foglio. La transizione ecologica passa attraverso il reale coinvolgimento dei territori, che necessariamente dovrà essere lungo e ponderato, soprattutto se si tratta di siti che stanno ancora affrontando le conseguenze di un passato industriale che ha lasciato più scorie che benefici. Proprio perché si tratta di opere strategiche, ciò che avviene (o potrebbe avvenire) in un singolo luogo costituisce in realtà interesse collettivo. Anche perché a sostenerne i costi è l’intera popolazione. Al comma 8 dell’articolo 5 del decreto Aiuti si legge che:
Al fine di limitare il rischio sopportato dalle imprese di rigassificazione che realizzano e gestiscono le opere e le infrastrutture di cui al comma 1 è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2043. Il fondo è destinato a coprire la quota dei ricavi per il servizio di rigassificazione, inclusivi del costo di acquisto e/o realizzazione dei nuovi impianti sopra richiamati, prioritariamente per la quota eccedente l’applicazione del fattore di copertura dei ricavi di cui alla delibera dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente 474/2019/R/gas, prevista dalla vigente regolazione tariffaria. L’importo residuo del fondo è destinato a contribuire alla copertura dei ricavi riconosciuti al servizio di rigassificazione dalla vigente regolazione tariffaria, a beneficio degli utenti e dei consumatori. I criteri di accesso e le modalità di impiego del fondo sono definiti con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato.
Dunque il rigassificatore di Piombino costerà 600 milioni di euro, a fronte della spesa iniziale di Snam di 330 milioni per l’acquisto della nave “Golan Tundra”, con lo Stato che con i restanti 270 milioni intende “ammortizzare” i costi molto alti del ricorso al GNL, in un’operazione che altrimenti sarebbe insostenibile. Sotto ogni punto di vista.
Immagine in anteprima via ambientebio.it