Gaza, il dramma dei rifugiati senza un posto sicuro dove andare
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Essere costretti a lasciare la propria casa per scampare ai bombardamenti. Arrivare in una “safe zone”, una zona sicura, per poi scoprire che sicura non è. E finire per vivere ammassati gli uni agli altri, senza servizi igienici, senza cibo, senza acqua. È quello che sta accadendo alla popolazione di Gaza, dove gli ordini di evacuazione di Israele e i combattimenti hanno costretto i civili a spostarsi in un’area sempre più ristretta nel sud del paese, area che è sempre più sovraffollata – e che comunque non è sempre al sicuro dagli attacchi aerei israeliani.
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“Le persone si sono dirette a sud con materassi e tutti i loro averi stipati in furgoni, camion e automobili, alla ricerca di un posto sicuro”, ha raccontato la responsabile delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Gemma Connell, che lunedì 25 dicembre ha visitato il quartiere di Deir al-Balah, nel centro di Gaza. Migliaia di rifugiati nella Striscia hanno seguito gli ordini di evacuazione dell'esercito israeliano: quando sono arrivati a destinazione, però, hanno scoperto che le zone a loro destinate erano già molto densamente popolate, e non c’era posto per loro.
“Ho parlato con molte persone. C'è così poco spazio qui a Rafah che la gente non sa dove andare”, ha detto Connell, che ha parlato di una “scacchiera umana” sulla quale le persone vengono spostate come pedine in base agli ordini di evacuazione che vengono emessi. “Le persone fuggono da un’area per andare in un’altra. Ma anche lì non sono al sicuro”, ha spiegato Connell. Attualmente si stima che nel centro di Gaza ci siano 150 mila persone che hanno ricevuto l'ordine di evacuazione dall'esercito israeliano.
Lunedì 25 dicembre, Connell ha visitato anche l’ospedale di Al-Aqsa di Deir al-Balah, nel centro della Striscia: quello che ha visto è, usando le sue parole, una “carneficina assoluta”. Ha raccontato che c’erano tante persone con ferite molto gravi, ma che non potevano essere curate perché ce n’erano già molte altre in attesa di un intervento chirurgico. “L’ospedale è assolutamente sovraccarico”, ha dichiarato. Alcuni erano stati colpiti nell’attacco di domenica 24 dicembre nel campo profughi di Al-Maghazi, nel centro di Gaza.
Proprio mentre Connell era in visita ad Al-Aqsa ci sono stati anche nuovi attacchi aerei che hanno colpito le aree intorno all’ospedale, e così sono arrivati altri feriti e vittime. “Ho visto un bambino di nove anni con una ferita devastante alla testa: purtroppo non ce l’ha fatta”, ha detto Connell. Le persone provenivano sia da zone che avevano ricevuto un ordine di evacuazione, sia da aree che in teoria dovevano essere al riparo dai bombardamenti. “Ancora una volta ribadisco un ritornello che sono stufa di ripetere: non esiste un posto sicuro a Gaza”.
Secondo la Croce Rossa, sono quasi due milioni le persone che nella Striscia sono state costrette a lasciare la propria casa. L’inverno rende la situazione più critica, con le basse temperature, la pioggia e il vento che complicano ulteriormente la vita degli sfollati: “Molti bambini si stanno ammalando e molti non hanno vestiti invernali adeguati”, ha raccontato Hisham Mhanna, operatore della Croce Rossa a Gaza. Chi si trova nei rifugi deve fare i conti con gli allagamenti di acqua piovana, mentre altri non hanno nemmeno un riparo dove dormire. “Alcuni abitanti del nord usano ciò che resta dei mobili delle loro case per accendere un fuoco. Alcuni mangiano solo un pasto al giorno, fatto di tre pomodori”.
Nel frattempo gli Stati Uniti premono affinché Israele riduca le sue operazioni militari, passando ad azioni più mirate: il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha dichiarato che Israele dovrebbe ridurre l’intensità dei suoi attacchi. Ma Benjamin Netanyahu ha voluto sottolineare che la campagna militare israeliana non è “vicina alla fine”, e infatti negli ultimi giorni gli attacchi israeliani si sono intensificati: il bilancio delle vittime è salito a quasi 20.700, la maggior parte donne e bambini, a cui si sommano oltre 50mila feriti.
“Le guerre e i conflitti civili, insieme ai disastri naturali, sono le principali cause che portano le persone a scappare”, ha scritto nella sua newsletter la storica e opinionista statunitense, Ruth Ben-Ghiat, esperta di regimi autoritari. “Man mano che l’autocrazia si diffonde nel mondo, più morti e sfollati saranno la norma. Possiamo contrastare questa disumanizzazione facendo brillare la luce della verità sulle devastazioni causate dagli autocrati del passato e del presente, e raccontando le storie dei rifugiati e degli esiliati dalle circostanze di guerra e di conflitto. Mentre l’autocrazia avanza nel mondo, sostenere la democrazia non è solo una scelta politica, ma un voto per i valori umani fondamentali di compassione, solidarietà e amore”.
Immagine in anteprima: frame video MSNBC via YouTube