Preservare ricerca e collaborazioni internazionali anche in tempo di guerra
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In questi giorni il conflitto in Ucraina si sta inasprendo, non solo nei territori occupati o presi di mira dai missili e dai droni russi. Da un lato gli ospiti dei programmi serali alla TV russa si lasciano andare a dichiarazioni sempre più estreme e violente su "ucraini indemoniati ed europei sporchi e poveri da schiacciare come insetti". Sono dichiarazioni strumentali che servono ad alzare muri e convincere i russi che il mondo li odi. Dall'altro lato però, anche in Occidente, sembra crescere una gran voglia di odio diffuso verso "i russi" tutti, anche quelli che hanno condannato l'invasione dell'Ucraina, anche quelli che si son fatti arrestare dalla polizia per protestare, anche quelli che hanno cercato o stanno cercando di fuggire da un paese in cui non si riconoscono, o da una guerra che non vogliono combattere. C'è chi li critica perché non fanno la rivoluzione, chi chiude le frontiere perché "venire in Europa non è un diritto" e chi critica questi nuovi profughi perché lasciano il paese solo perché temono la mobilitazione. Ma si tratta di profughi a tutti gli effetti e credo che le frontiere debbano restare aperte e chi fugge debba essere accolto.
Ma anzitutto dovremmo continuare a interagire con chi rimane in Russia. In qualche modo un giorno questa guerra finirà e dovremo riprendere quanto (e dove) abbiamo interrotto, per ricostruire un rapporto in questo momento oggettivamente difficile. E poi, e qui parlo da ricercatore, non possiamo permetterci di fare a meno del lavoro dei colleghi russi, come loro non possono fare a meno dell'integrazione con noi.
Vorrei raccontare a tal proposito due esempi.
Il 9 gennaio 2022 è stato pubblicato sulla rivista Viruses un articolo in cui un gruppo di ricercatori del Gamaleya National Center for Epidemiology and Microbiology di Mosca descrive e caratterizza due coronavirus SARS-like trovati in pipistrelli nella regione di Sochi, nel sud della Russia. Io credo che dopo aver visto emergere dal nulla SARS-CoV-1 e poi SARS-CoV-2, dopo aver accusato le autorità cinesi di aver tenuta nascosta l'emergenza iniziale della pandemia, sia evidente l'importanza di questo monitoraggio, ed anche il fatto che venga fatto in modo coordinato e condiviso con la comunità scientifica internazionale. Anche perché tanto i virus passano, anche se metti il filo spinato.
Ricordiamo anche che è esattamente quel tipo di monitoraggio e di studi che facevano gli istituti di ricerca in Ucraina accusati dalla propaganda russa di costruire armi biologiche nei fantomatici biolabs segreti finanziati dagli Stati Uniti. Non cadere nelle trappole della propaganda, volare più in alto, può essere difficile ma dobbiamo farlo.
Per la cronaca, da un'ulteriore caratterizzazione funzionale di quei due virus fatta da altri ricercatori, stavolta americani, si è scoperto che entrambi usano ACE-2 per infettare, e che a causa delle differenze strutturali della proteina Spike con quella di SARS-2 i nostri vaccini non funzionerebbero, ma questo è prevedibile. Quindi speriamo che quei due virus restino dove sono, però è importante sapere che esistono, come ormai sappiamo che ci sono tanti SARS-like "spillover ready", a cui basta veramente un passettino per arrivare a noi. Per cui dobbiamo ringraziare i ricercatori del Gamaleya per il loro lavoro.
Il 31 marzo 2022 esce un articolo su Science in cui si annuncia che il sequenziamento completo del genoma umano è stato praticamente terminato. Chi non è del campo forse sapeva che il genoma umano è stato già sequenziato qualche anno fa. Che era vero ma solo in parte. Il problema infatti è che nel nostro genoma ci sono delle regioni molto difficili da sequenziare a causa della loro struttura e sequenza. Per esempio ci sono delle regioni chiamate centromeri il cui DNA non codifica per proteine, ma ha un ruolo strutturale nei cromosomi. Queste regioni sono state praticamente impossibili da sequenziare in modo affidabile perché sono costituite da piccoli elementi duplicati in tandem centinaia o anche migliaia di volte.
In modo analogo ci sono altre regioni fino ad ora quasi impossibili da sequenziare con precisione, come quelle che vengono trascritte per fare l'RNA ribosomale. Si chiama DNA ribosomale (rDNA), anche in questo caso sono regioni brevi duplicate tantissime volte, perché la quantità di ribosomi di cui le nostre cellule hanno bisogno, e quindi di molecole di RNA ribosomale trascritte, è molto grande, e cambia anche nel tempo. E poi ci sono altre regioni chiamate DNA satellite, difficili da leggere coi metodi di sequenziamento tradizionali. Finalmente utilizzando un sistema completamente nuovo di sequenziamento e soprattutto degli algoritmi pensati appositamente per l'analisi della sequenze ottenute, si è riusciti a ricostruire la sequenza di queste regioni, scoprendo pezzi del nostro genoma che prima non si conoscevano. Questo è stato possibile anche grazie al lavoro di un gruppo di bioinformatici di San Pietroburgo che ha partecipato al progetto. In questo articolo i ricercatori russi hanno descritto il loro metodo di analisi.
Alcuni di questi ricercatori si sono trasferiti in laboratori all'estero, ma altri sono a San Pietroburgo, o comunque in Russia, e sono anche tra i firmatari di una lettera aperta (Дворкина Татьяна, биоинформатик, м.н.с., СПбГУ – Tatiana Dvorkina; Михеенко Алла, с.н.с, к.ф.-м.н., СПбГУ – Alla Mikheenko; Александров Иван Александрович, к.б.н. старший научный сотрудник ИоГен РАН – Ivan Alexandrov), sottoscritta da più di 8.300 scienziati e giornalisti scientifici russi, pubblicata il 24 febbraio 2022, in cui condannano l'invasione dell'Ucraina e, per quanto concerne la scienza e la ricerca, esprimono una forte preoccupazione per il futuro della ricerca scientifica in Russia:
"...noi scienziati non saremo più in grado di svolgere normalmente il nostro lavoro: del resto, condurre ricerca scientifica è impensabile senza la piena collaborazione con i colleghi di altri paesi. L'isolamento della Russia dal mondo significa un ulteriore degrado culturale e tecnologico del nostro paese in totale assenza di prospettive positive..."
La lettera è stata rapidamente oscurata, ma circola lo stesso.
Purtroppo le preoccupazioni degli scienziati russi sono motivate. Nella storia dell'Unione Sovietica la scienza è stata già schiacciata diverse volte dalla propaganda e dal potere del regime, e quello che sta succedendo dal 24 febbraio – la politica di nazionalismo e di isolamento che sta portando avanti Vladimir Putin – avrà effetti molto pesanti sulla ricerca russa. E sappiamo, anche dall'esperienza italiana, che un paese che fa poca ricerca è destinato alla "desertificazione tecnologica, scientifica e culturale". Per di più, dopo un'appello di sostegno alla guerra e agli ideali patriottici sottoscritto da molti rettori di Università russe, si sono anche interrotte moltissime collaborazioni internazionali, molti studenti e ricercatori si sono visti chiudere le porte a borse di studio all'estero e progetti di collaborazione, mentre in casa pagavano con espulsioni e arresti per le loro posizioni di dissenso alla guerra.
Certo la comunità scientifica internazionale potrà fare a meno dei colleghi (e spesso amici) in Russia, e loro dovranno resistere e sopravvivere anziché fiorire come finalmente stavano facendo, ma è un'immagine che va contro tutti i nostri ideali di apertura, di circolazione e diffusione delle idee e della conoscenza che abbiamo come ricercatori. Sforziamoci di mantenere i contatti se ne abbiamo, senza confondere le persone con i governi.
Immagine in anteprima: manifestazione in Russia contro la guerra in Ucraina – Владислав Постников, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons