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Classi sovraffollate, aerazione, trasporti, test: dubbi e critiche al piano del governo sulla riapertura delle scuole

2 Settembre 2021 16 min lettura

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Classi sovraffollate, aerazione, trasporti, test: dubbi e critiche al piano del governo sulla riapertura delle scuole

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La variante Delta del nuovo coronavirus è significativamente più trasmissibile in tutte le fasce di età rispetto ad altre varianti note del virus ed entro settembre 2021 dovrebbe diventare la variante dominante nell'Unione europea, avverte in un recente rapporto il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Per questo motivo, in vista del nuovo anno scolastico che sta per iniziare, il ruolo dei bambini e delle scuole nella trasmissione di Sars-CoV-2 continuerà a essere un’importante questione da tenere in considerazione. L’ECDC spiega infatti che “un numero crescente di adulti sta completando il ciclo vaccinale in UE e i bambini dovrebbero essere il gruppo con la copertura vaccinale più bassa, in particolare per i bambini sotto i 12 anni, per cui nessun vaccino è stato finora raccomandato. Questo contesto, in combinazione con la continua circolazione della variante Delta, significa che i bambini e gli adolescenti rappresenteranno probabilmente una quota crescente di nuovi casi di SARS-CoV-2 durante il prossimo anno scolastico”. Come ricordano i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi sebbene finora “i bambini si infettino meno rispetto agli adulti, i ragazzi possono comunque infettarsi con il virus che provoca la COVID-19, ammalarsi e diffondere il virus”.

Su Valigia Blu ci siamo occupati più volte dall’inizio della pandemia di queste tematiche: il contagio nei minori, il loro ruolo nella diffusione del virus, quello delle scuole e le possibili modalità di riaperture in sicurezza delle attività scolastiche in presenza. Si tratta di questioni che sono ancora in fase di studio a livello internazionale e dati sicuri e consolidati che forniscono certezze su come muoversi a livello decisionale mancano.

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Per cercare di evitare gli impatti sociali e psicologici negativi dalla chiusura delle scuole, i governi stanno ora predisponendo misure per un nuovo anno scolastico in pandemia. In questo approfondimento abbiamo analizzato cosa ha previsto il governo italiano e quali sono state le critiche al piano dell’esecutivo guidato da Mario Draghi che punta per il prossimo 13 settembre a un ritorno in presenza per tutti gli studenti in aula.

Cosa ha deciso il governo

«Tutti in presenza all'inizio della scuola. Tutto quello che è necessario fare verrà fatto (...)». Con queste parole pronunciate durante la conferenza stampa dello scorso 22 luglio, il presidente del Consiglio aveva comunicato che l’obiettivo del governo sarebbe stato quello di avere in classe tutti gli alunni all’avvio dell’anno scolastico 2021/2022. Con il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 5 agosto (e pubblicato in Gazzetta ufficiale il giorno successivo) sono state introdotte “misure urgenti per l’esercizio in sicurezza” di scuole, università e trasporti “a partire dal 1° settembre 2021”. Il decreto stabilisce che “al fine di assicurare il valore della scuola come comunità e di tutelare la sfera sociale e psico-affettiva della popolazione scolastica”, i servizi educativi per l'infanzia e l'attività scolastica e didattica della scuola dell'infanzia, di quella primaria e della secondaria di primo e secondo grado si svolgeranno in presenza. Per quanto riguarda le attività didattiche e quelle curriculari delle università saranno “svolte prioritariamente in presenza”. 

Per poter consentire lo svolgimento in presenza, il governo ha adottato (fino al 31 dicembre  2021, cioè la data della fine dello stato di emergenza) diverse “misure minime di sicurezza”: l’obbligo di utilizzo delle mascherine (sono esentati i bambini sotto i sei anni e i minori e ragazzi con patologie o disabilità incompatibili con l'uso di questi dispositivi). Le mascherine non dovranno essere portate invece durante lo svolgimento delle attività sportive; viene raccomandato “il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro salvo che le condizioni strutturali-logistiche degli edifici non lo consentano”; le persone “con sintomatologia respiratoria o temperatura corporea superiore a 37,5°” non potranno accedere nei locali scolastici e universitari (come lo scorso anno, la temperatura non dovrà essere misurata all’ingresso della scuola, ma la misurazione potrà essere svolta a casa). In caso di un positivo in classe (che sia uno studente o un docente), scatta la quarantena della classe. Per chi è vaccinato è previsto il ritorno in classe dopo dopo 7 giorni, per gli altri dopo 10. In entrambi i casi, comunque, è necessario avere un tampone negativo. 

Con il decreto viene anche stabilito che l’attività scolastica in presenza può essere derogata e sostituita con la didattica a distanza (DAD) se a deciderlo saranno i presidenti delle Regioni e i sindaci. I provvedimenti delle autorità locali potranno però coinvolgere esclusivamente singole istituzioni scolastiche o specifiche aree territoriali “nelle zone arancioni e rosse e in circostanze di eccezionale e straordinaria necessità dovuta all’insorgenza di focolai o al rischio estremamente elevato di diffusione del virus SARS-CoV-2 o di sue varianti”. 

Il governo ha inoltre deciso l’obbligo del green pass (che si può ottenere con la vaccinazione contro il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 o con la certificazione di guarigione dalla COVID-19 nei sei mesi precedenti o con un tampone molecolare o rapido negativo svolto 48 ore prima) per tutto il personale scolastico e universitario e per gli studenti universitari. Chi non lo avrà non potrà entrare in aula, l’assenza verrà considerata ingiustificata e “a decorrere dal quinto giorno di assenza, il rapporto di lavoro è sospeso e non sono dovuti la retribuzione né altro compenso”. Nel decreto si legge che a verificare saranno “i dirigenti scolastici e i responsabili dei servizi educativi dell'infanzia, delle scuole paritarie e delle università” (il 31 agosto il ministero dell’Istruzione ha comunicato di star predisponendo una procedura automatizzata in modo da velocizzare le procedure di verifica del possesso del green pass ed evitare eventuali lungaggini). Viene inoltre autorizzata la spesa di 358 milioni di euro durante il 2021 per “consentire il pagamento delle competenze al personale supplente chiamato per la sostituzione del personale assente ingiustificato”. Per quanto riguarda gli studenti universitari, le verifiche verranno svolte a campione “con le modalità individuate dalle università”. Il Ministero dell’Istruzione ha inoltre specificato che le scuole potranno utilizzare parte delle risorse assegnate per affrontare l’emergenza sanitaria per coprire i costi dei tamponi diagnostici utili per ottenere il green pass per il personale scolastico non vaccinato o non guarito dalla malattia, ma solo per quello che si trova “in condizioni di fragilità sulla base di idonea certificazione medica”. Nel decreto si legge anche che il Commissario straordinario per l’emergenza COVID-19 organizzerà e attuerà “un piano di screening della popolazione scolastica” (non vengono però forniti ulteriori dettagli). Per questa operazione vengono stanziati 100 milioni di euro. 

Altro documento da considerare per inquadrare l’azione del governo Draghi nell’organizzazione delle attività educative e scolastiche per l’avvio del prossimo anno scolastico in pandemia è il “Piano Scuola 2021-2022”. Dal piano emerge che la vaccinazione è la misura principale (di prevenzione) su cui l’esecutivo ha puntato per garantire un ritorno a scuola in presenza. Per questo motivo viene chiesto a tutto il personale scolastico una piena partecipazione alla campagna di vaccinazione. A fine luglio risultavano oltre 220 mila persone (il 15% del totale) appartenenti al personale scolastico non ancora vaccinate. Secondo gli ultimi dati ufficiali (aggiornati al 27 agosto), il numero delle persone del personale scolastico che a livello nazionale non ha ricevuto una dose di vaccino si è abbassato a 138 mila (cioè il 9,55% del totale). Il personale con la prima dose ricevuta e con la dose unica è il 90,45% del totale, mentre quelli che hanno ricevuto anche la seconda dose sono l’84,24% del totale. Il dato a livello regionale si diversifica, con la Calabria, la Sardegna e la Provincia autonoma di Trento e di Bolzano che risultano nettamente indietro rispetto alle altre regioni nella campagna di vaccinazione del personale scolastico.  

Sulla correttezza del dato del personale non ancora vaccinato, però, il presidente dell’Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (ANP), Antonello Giannelli, ha espresso dei dubbi: «Da un certo momento gli insegnanti hanno avuto la dose non come categoria ma per fascia d’età come tutti gli altri. Temo che negli hub abbiano continuato a fare iniezioni a maestri e professori senza registrarli come tali». Proprio per questo, spiega Pagella Politica, “il commissario all'emergenza Covid-19 Francesco Paolo Figliuolo ha chiesto alle regioni di consegnare entro il 20 agosto numeri certi sul tema, ma al momento non è chiaro se ciò sia stato fatto e dunque se i numeri contenuti nel report sopra citato possano essere considerati definitivi”.

Sempre nel “piano Scuola” si legge che il Comitato tecnico scientifico (CTS) “ritiene di promuovere la vaccinazione dei più giovani”. In base ai dati ufficiali (aggiornati al 2 settembre), la popolazione nella fascia di età dai 12 ai 19 anni che ha ricevuto una prima dose di vaccino è il 56,2% del totale, mentre quelli che hanno ricevuto la seconda dose (o la dose unica) sono il 34.63%.

Per quanto riguarda le misure di contenimento del contagio, nel documento viene specificato che il distanziamento intrapersonale “rimane una delle misure prioritarie per ridurre il rischio di trasmissione del virus in ambito scolastico” e che “deroghe al rispetto del distanziamento non possono essere effettuate laddove non si possa fare uso delle mascherine chirurgiche e in particolare nelle mense”. Viene anche richiesta la necessità “di continuare ad assicurare il rispetto delle ordinarie misure di aerazione dei locali e della sanificazione quotidiana di tutti gli ambienti”. Su questo aspetto nel “Protocollo d’intesa per l’avvio in sicurezza dell’anno scolastico 2021/2022” (sottoscritto a metà agosto da diverse organizzazione sindacali della scuola. Il documento non è stato però firmato dall’Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori (ANIEF), dall’Associazione Nazionale Presidi (ANP) e dal sindacato Gilda degli insegnanti perché ritenuto carente sotto diversi aspetti, come per esempio sui temi del distanziamento e sulle cosiddette “classe pollaio”, cioè quelle sovraffollate) viene specificato in linea generale che è fondamentale “garantire un buon ricambio dell’aria con mezzi naturali o meccanici in tutti gli ambienti e aule scolastiche”.

Nel piano scuola si legge che è inoltre confermato un fondo destinato “a interventi di adattamento degli spazi interni ed esterni delle istituzioni scolastiche (edilizia leggera) e delle loro dotazioni, per garantirne l’agibilità e recuperare ulteriori spazi per la didattica in presenza”. Nel documento si spiega che per rendere efficaci queste misure “è necessario che in ogni scuola si realizzino attività di organizzazione degli spazi esterni e interni, al fine di evitare raggruppamenti o assembramenti e garantire, nel rispetto delle ordinarie mansioni di accoglienza e di vigilanza attribuite al personale ausiliario, ingressi, uscite e distanziamenti adeguati in ogni fase della giornata, per alunni, famiglie, personale scolastico e non”. Anche prevedendo ingressi ed uscite dagli edifici scolastici ad orari scaglionati, anche utilizzando accessi alternativi. In totale, ha comunicato il Ministero dell’Istruzione, per l’”avvio in sicurezza dell’anno scolastico 2021/2022” sono stati stanziati poco più di 1,6 miliardi di euro.  

Per quanto riguarda i trasporti e i possibili assembramenti previsti durante le ore di entrata e di uscita da parte di alunni e personale scolastico, il ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili (MIT), Enrico Giovannini, a fine luglio in Parlamento aveva annunciatospecificatamente al trasporto scolastico, l’istituzione di un fondo di 150 milioni di euro a favore delle amministrazioni comunali. Giovannini aveva anche elencato altri stanziamenti «per prevenire possibili criticità», come ad esempio i «50 milioni di euro destinati alle imprese e alle pubbliche amministrazioni con almeno 100 addetti, nonché agli istituti scolastici di ogni ordine e grado che provvedono, previa nomina del mobility manager, a predisporre, entro il 31 agosto 2021, un piano degli spostamenti casa-lavoro del proprio personale ovvero degli spostamenti casa-scuola-casa in grado di contribuire a ridurre la pressione sulle ore di punta». A fine agosto, dopo un incontro tra il ministro Giovannini, la ministra degli Affari Regionali, Mariastella Gelmini e i Presidente delle Regioni e delle province autonome in vista della riapertura delle scuole e della ripresa delle attività, è stato comunicato un accordo in base al quale entro il 2 settembre le Regioni “rivedranno e aggiorneranno i loro piani per la gestione del Tpl (ndr, traporto pubblico locale) e per i servizi aggiuntivi che metteranno in campo sulla base delle indicazioni dei Tavoli prefettizi, a valere sulle risorse (oltre 600 milioni di euro) rese disponibili dal Governo per il secondo semestre del 2021. Alla fine di settembre sarà poi condotta una verifica sull’attuazione dei piani, anche in vista della predisposizione della legge di bilancio per il 2022”. Questi piani dovranno basarsi sulle nuove linee guida per i trasporti pubblicate dal MIT a fine agosto, che stabiliscono la capacità di riempimento dei mezzi all’80%.

Riguardo al trasporto pubblico locale, nel documento in questione, si legge che “l'articolazione dell'orario di lavoro, differenziato con ampie finestre di inizio e fine di attività lavorativa, è importante per modulare la mobilità dei lavoratori e prevenire conseguentemente i rischi di aggregazione connessi alla mobilità generale”. Allo stesso modo sarà importante anche “la differenziazione e il prolungamento degli orari di apertura degli uffici, degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e delle scuole di ogni ordine e grado. Al riguardo risulta fondamentale l’attività dei ‘Tavoli prefettizi’, istituiti per la definizione del più idoneo raccordo tra gli orari di inizio e termine delle attività didattiche e gli orari dei servizi di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano”. In questi stessi tavoli, il ministero specifica che potranno essere previsti “trasporti aggiuntivi ad esclusivo uso degli studenti della scuola secondaria di secondo grado”. Inoltre, nelle linee guida viene auspicato “l'aumento delle corse dei mezzi di trasporto, soprattutto durante le ore di punta”. Come riportato dai media, è previsto “almeno per le scuole superiori nelle grandi città un secondo turno di ingresso a scuola per una parte degli studenti. Dipende dalla necessità di non affollare troppo i mezzi pubblici”. Lo scorso mese, inoltre, il ministro Giovannini inoltre aveva dichiarato che il governo stava lavorando alla «possibilità di estendere il meccanismo dello Scuolabus per gli studenti delle superiori». 

Le critiche e i dubbi

Questa estate Lucia Bisceglia, presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), in un’intervista a Il manifesto, ha dichiarato che in vista della ripartenza della scuola a settembre non si doveva «correre il rischio di spostare l’attenzione solo sul tema delle vaccinazioni»: «In realtà i problemi della scuola sono rimasti gli stessi: stiamo ancora discutendo del numero di studenti per classe e del distanziamento. L’emergenza può essere un’occasione per ripensare gli spazi della scuola, le modalità di trasporto degli studenti. Erano temi caldi l’anno scorso e lo sono anche quest’anno. È prioritario ragionare su misure strutturali che intervengano anche su questi aspetti». 

Le misure previste successivamente da parte del governo hanno però ricevuto dubbi sulla loro efficacia. La fondazione GIMBE in un recente report ha dichiarato che il piano preparato per l’avvio della scuola non convince: «Se il governo si è impegnato a riaprire le scuole in presenza al 100%, le misure approvate con il decreto legge del 6 agosto non contengono rilevanti cambiamenti, a fronte di una variante del virus molto più contagiosa. Le numerose criticità che lo scorso anno scolastico hanno ostacolato, se non reso impossibile, lo svolgimento delle lezioni in presenza non sono state finora affrontate in modo risolutivo». Per la fondazione «non esiste alcuna rendicontazione pubblica su come siano stati impiegati i 150 milioni del decreto Sostegni (idonea areazione e ventilazione dei locali, distanziamento fisico); mentre i 350 milioni del decreto Sostegni bis destinati a varie misure tra cui dispositivi di protezione individuale e riprogettazione spazi ad oggi sono stati ripartiti tra le scuole solo sulla carta. Sul fronte trasporti, al di là di generiche indicazioni sullo scaglionamento degli orari di ingresso, spunta solo la figura del mobility manager per predisporre gli spostamenti casa-scuola-casa di personale scolastico e alunni». Gimbe rileva poi che non è previsto uno screening periodico e sistematico di studenti e personale scolastico e che l’unica novità è l'obbligo del Green pass per il personale scolastico, non esteso agli studenti over 12 per i quali si punta, con un rischio poco «ragionato», esclusivamente sulla copertura vaccinale. 

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Andando nel dettaglio delle criticità sollevate dalla Fondazione Gimbe, riguardo ad esempio all’aerazione degli ambienti scolastici come abbiamo visto il ministero non ha predisposto un intervento generalizzato, lasciando alle singole scuole la possibilità di acquistare filtri o strumenti di areazione. Lo scorso marzo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nell’aggiornamento delle linee guida sull’aerazione ha scritto infatti che “il rischio di contrarre il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 è più alto in spazi affollati a poco ventilati (...) È in questi ambienti che il virus sembra diffondersi in modo più efficace tramite le goccioline respiratorie o gli aerosol, perciò le precauzioni sono ancora più importanti”. Sul punto, il professore Marco Moschini, fra i fondatori del comitato nazionale IdeaScuola (che da tempo promuove una serie di misure per ridurre il rischio di contagio negli ambienti scolastici), intervistato dal Gr1 della Rai, ha spiegato che oltre al semplice ricambio dell’aria effettuato con l’apertura delle finestre ci sono diverse soluzioni che possono essere utilizzate: «Per esempio nella mia scuola l’anno scorso abbiamo comprato dei purificatori d’aria con filtro Hepa (ndr, high efficiency particulate absorbing, cioè filtri assorbenti di particolato ad alta efficienza) che permette di eliminare le particelle di particolato inquinanti e anche ridurre la presenza del virus». Per Moschini però sarebbero «necessarie delle indicazioni nazionali altrimenti ci sono delle scuole che fanno qualcosa e ci sono delle scuole che non utilizzino i fondi per questo tipo di iniziative». 

Cath Noakes, ingegnera dell’ambiente dell’università di Leeds, nel Regno Unito, e componente del Sage, il comitato governativo di consulenza scientifica per le emergenze, intervista da New Scientist, afferma che in alcuni edifici i filtri dell’aria (come appunto i filtri Hepa) possono essere una soluzione, ma avverte anche di non considerarli di per sé una panacea: «Alcuni offrono potenzialmente grandi benefici, ma averne uno non significa che improvvisamente sono tutti al sicuro. I purificatori dell’aria funzioneranno bene in alcuni spazi ma non in altri. Il punto è individuare la tecnologia giusta per l’ambiente giusto. La nostra capacità di determinare in che modo usare queste tecnologie presenta delle lacune». Noakes ricorda infatti che «dobbiamo perciò assicurarci che siano applicate contemporaneamente anche altre misure: mascherine, distanziamento, pulizia delle superfici e igiene delle mani».

Riguardo poi alla mancanza di uno specifico e strutturato piano di screening periodico degli studenti e del personale scolastico nel piano del governo, pochi giorni dopo le critiche sollevate da Gimbe, Anna Teresa Palamara, responsabile del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (ISS), in un’intervista al Corriere della Sera, ha annunciato un piano di test salivari da ripetere ogni 15 giorni su un campione di classi sentinella: «Speriamo di poterlo attivare gradualmente fin dall’avvio dell’attività didattica e di renderlo pienamente operativo in autunno-inverno, quando i virus respiratori, come il Sars-CoV-2, raggiungono la massima diffusione». Palamara spiega anche che «il piano di monitoraggio è basato su scuole sentinella primarie e secondarie (elementari e medie) individuate dalle Regioni. Un certo numero di studenti verranno sottoposti a test salivari periodici che poi verranno analizzati con la tecnica molecolare. L’organizzazione non dovrà gravare eccessivamente sulle famiglie». L’esperta continua specificando che «è stato scelto il metodo di campionamento salivare proprio perché il prelievo naso-faringeo, oltre che più invasivo, sarebbe stato più complesso. Sono stati scelti test della migliore qualità per ridurre al massimo il rischio di risposte di falsi positivi o falsi negativi. Vogliamo assicurare alla scuola la continuità didattica in presenza anche per gli alunni che, per età, tra 5 e 12 anni, non hanno accesso a vaccini pediatrici, non ancora disponibili». Il piano è stato poi approvato il 31 agosto dalla Conferenza Stato-Regioni (in attesa del piano nazionale, diverse Regioni come Lombardia, Veneto, Marche, Lazio e Abruzzo, si sono già organizzate per usare all’avvio dell’anno scolastico i test salivari). Secondo Fabio Ciciliano, componente del Comitato tecnico scientifico (CTS) «se il sistema viene applicato correttamente, può contribuire a intercettare i casi e dare il massimo spazio alla frequenza in presenza rendendo marginale la didattica a distanza. È un aspetto cruciale, è necessario seguire protocolli condivisi per evitare che si ripetano differenze di gestione dei focolai».

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Passando poi alla questione del svoraffolamento nelle “classi pollaio”, il ministero dell’Istruzione ha dichiarato che «si tratta del 2,9% delle classi», concentrato in particolare negli istituti tecnici delle grandi città: «Abbiamo la conoscenza millimetrica del problema e ci stiamo lavorando con interventi mirati». Orizzonte Scuola scrive che per arginare il problema sono in arrivo fondi alle scuole: “Si tratta di un intervento una tantum comunicato ai sindacati presenti al tavolo tecnico per l’avvio dell’anno scolastico e l’applicazione del protocollo di sicurezza. Secondo quanto riferito dai sindacati, saranno disponibili 22 milioni di euro alle scuole per le classi pollaio. Ma i fondi non saranno per tutti, soltanto ad alcune condizioni. Infatti, la scuola dovrà avere più di cinque classi con parametri di affollamento superiori a quanto previsto dalla normativa vigente”.

Perplessità sono state sollevate da diversi parti anche sulle misure legate ai trasporti, riporta il Fatto Quotidiano: “Pino Turi della Uil Scuola: «Tutte queste promesse fatte sui trasporti si scioglieranno come la neve al sole. Il problema della percentuale sui bus o in metropolitana dev’essere certificato da qualcuno. Sono tutte operazioni fatte dietro la scrivania senza calcolare che serve del personale che controlli il numero di chi sale sugli autobus o sui treni». Rino Di Meglio della Gilda Scuola precisa: «Si ripresenteranno i nodi di sempre che si verificano soprattutto nel Sud del nostro Paese. Il problema non è solo stanziare i soldi agli enti locali ma accelerare i tempi di erogazione effettiva». Infine anche Salvatore Pellecchia, segretario nazionale della Fit Cisl punta gli occhi proprio sui finanziamenti: «La ministra dei trasporti del precedente Governo, Paola De Micheli, mise sul piatto 300 milioni ma il trasporto pubblico locale è nelle mani delle Regioni. Bisogna verificare se quest’ultime hanno fatto i bandi. Nelle grandi città è evidente che bisogna incrementare ancora il numero di bus»”.

Infine, il presidente dell’Associazione nazionale dei presidi (ANP), Antonelli Giannelli, si è detto preoccupato per le supplenze per sostituire chi non ha il green pass: «Non credo che nei primi giorni di riapertura ci saranno difficoltà di gestione dei controlli del green pass: nelle scuole ci saranno poche persone. Altro sarà quando riprenderanno le lezioni e le scuole saranno piene». I supplenti, avverte Giannelli, «dovrebbero prendere servizio senza sapere se l’insegnante che sostituiscono il giorno dopo si presenta col tampone. La sospensione per chi non ha il green pass scatta solo dopo quattro giorni di assenza ingiustificata. Ma supplenze senza la certezza delle durata non le accetterà nessuno». Per questo motivo, in sede di conversione del decreto del 6 agosto, il presidente dell’ANP chiede di prevedere «che chi non ha il green pass venga sospeso per quindici giorni e sostituito da un supplente».

Foto in anteprima di Narek75, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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