Contro Putin da Parigi a Berlino: la rete della resistenza russa in Europa
9 min letturaNel cortile interno di un palazzo haussmaniano a Parigi si trova l’Espace Libertés/Reforum Space. Qui si ritrova una parte della diaspora russofona contro la guerra in Ucraina (soprattutto russi, ma anche bielorussi, kazaki e ucraini) che ha dovuto lasciare la Russia: oppositori politici, giornalisti, artisti, membri della comunità Lgbtq+, disertori.
La lista non è esaustiva né completa, né in qualche modo, forse, rilevante, perché oggi basta molto, molto poco, perché un atto venga considerato sovversivo: “è possibile essere condannati a diversi anni di prigione solo perché si chiama ‘guerra’ la guerra, e non ‘operazione speciale’, perché si è messo un like, commentato un video su youtube” o ancora “per aver donato dieci dollari all'esercito ucraino”, dice Olga Kokorina direttrice del centro. Di fatto tutta la società civile russa è a rischio, per il semplice fatto di esistere.
Olga, insieme ad altre persone, ha fondato nel 2012 l’associazione Russie-Libertés: all'inizio si trattava di “farsi portavoce della resistenza e dell’opposizione in esilio e di rappresentare la società civile russa” per sensibilizzare la società francese ed europea sulla violazione dei diritti umani nella Russia di Vladimir Putin.
Il punto di svolta è stata l’invasione su larga scala dell’Ucraina: "Ci siamo resi conto che non potevamo più solamente occuparci di informare: era necessario posizionarsi per accogliere l’immigrazione politica”.
In Francia, frutto di un savoir faire che era già proprio a Russie-Libertés e di tante altre strutture come l’Atelier des artistes en exil, ottenere un permesso di soggiorno è più semplice (relativamente più semplice in un momento in cui è complesso e difficile) rispetto ad altri paesi europei, dice Olga Slessareva, giurista e coordinatrice del centro.
L’Espace Libertés è un buon esempio di come un’associazione gestisce una parte importante del lavoro di accoglienza di una comunità immigrata in un paese: lo spazio fornisce un luogo per lavorare a chi, residente del centro (con un progetto che riguarda l’opposizione alla guerra o la democrazia in Russia) necessita di un coworking attrezzato per continuare la sua attività, inoltre diversi volontari aiutano i residenti. Ad oggi le persone accolte sono oltre 400.
Ci sono corsi di lingua, sostegno giuridico per imparare a muoversi nel sistema francese, sostegno psicologico e uno studio di registrazione audio/video. Maya, che si occupa del supporto tecnico, me lo fa visitare in un pomeriggio di febbraio: mi mostra il materiale e seduta al tavolo di registrazione, mi spiega i diversi tipi di contenuti che vengono prodotti: progetti artistici (video e audio: sono numerosi i registi tra le persone accolte), ma anche contenuti giornalistici per media come Doxa o Verstka. O ancora, dei contenuti prodotti di ex militari dell’esercito russo che spiegano come si può (tentare di) disertare e fuggire dalla Russia.
Russie-Libertés con la sua storia, è una testimonianza di come è cambiato il panorama politico russo: “Nel 2012 l’immigrazione politica era minore, c’erano soprattutto ceceni e ingusci per esempio. Era il momento in cui Ramzan Kadyrov prendeva il potere a Grozny. Poi abbiamo visto cambiare la situazione quando lo status di ‘agente straniero’ è stato creato. Un po’ alla volta abbiamo cominciato ad avere dei difensori dei diritti umani, dei giornalisti, degli attivisti…”.
Il 2022 è ancora è un punto di svolta: se prima la trasformazione sempre più autoritaria del regime di Putin si intravedeva, “l'inizio della guerra su larga scala è stato un punto di non ritorno: la Russia è diventata non solo un paese autoritario, ma un paese fascista, una dittatura. La repressione è diventata estremamente violenta”.
A seconda della definizione di prigioniero politico i dati parlano (e sono tutti al ribasso) di 772 persone, recensite dall’ong Memorial, o di 1.300 secondo OVD-Info.
“La situazione in Russia è quella di un terrore generalizzato: non è toccato a me ieri, né l’anno scorso, ma potrebbe succederti in qualunque momento”, racconta Matvei (il nome è inventato). Matvei ha 26 anni, è un attivista Lgbtq arrivato in Francia circa 5 mesi fa. In Russia una prima legge contro la "propaganda Lgbtq+" è stata approvata nel 2013; nel 2022 la legge è stata rafforzata, portando al ritiro dal commercio di testi, film e opere “ritenute di propaganda”.
Nel 2023 la transizione di genere è stata vietata per legge e la Corte Suprema russa ha condannato un ipotetico "movimento internazionale LGBT+" di “estremismo”, portando alla chiusura delle ultime associazioni ancora attive. I locali gay sono stati chiusi e le persone perseguite (fino agli annunci sui siti di incontri).
Per mettere in prospettiva la questione, il passo indietro fatto dal sistema è profondo: nel 2003 la Russia aveva mandato all’Eurovision il gruppo t.A.T.u. che giocava in maniera chiara sui codici queer (anche se una delle due cantanti, Yulia Volkova, ha poi rilasciato dichiarazioni omofobe).
Sulla questione della transizione di genere il ritorno indietro è ancora più incredibile. Matvei mi spiega che la Russia aveva una delle leggi più avanzate al mondo: adottata nel 1997, permetteva, dopo alcuni mesi di visite mediche, su semplice decisione amministrativa, di effettuare una transizione. Oggi le persone che a partire dal 1997 hanno beneficiato di questa legge non possono più adottare o avere un minore sotto tutela, mentre i matrimoni realizzati precedentemente vengono annullati. I casi di persone forzate a una “terapia di conversione” sono sempre più numerosi.
Matvei insiste sul “regime di terrore” in vigore in Russia e sul potere della propaganda, sempre più invasiva, oggi “fin dall’asilo”. La guerra sta distruggendo il paese, mi racconta, e, “anche se non si avvicina nemmeno lontanamente a ciò che stanno affrontando gli ucraini penso che per i prossimi 20 anni la Russia sarà un posto estremamente triste, povero e distrutto a causa delle idee folli di un uomo”. Una questione politica generale, legata a storie di dolore particolare: “Mia madre è, per esempio, vagamento pro-stato perché si informa solo con i canali ufficiali, mentre mia zia, è profondamente anti-guerra”.
Nello stesso circolo sociale le posizioni possono essere – e sono – molto diverse. “Mia madre non ha molto apprezzato quando sono partito, mentre mia zia mi ha detto ‘vai, scappa e non tornare’. Cheers to my aunt”.
Il refrain della “Russia che sostiene Putin” è molto forte nel dibattito pubblico e mediatico. E’ impossibile avere i dati ufficiali dei russi che hanno lasciato il loro paese, si parla di centinaia di migliaia di cittadini e cittadine.
Soprattutto, oltre ai pochi dati di ricerche sociologiche indipendenti, è difficile raccontare cosa e come vivono i russi oggi, bombardati dalla propaganda e sotto un regime che dura da oltre 20 anni. “Le persone hanno paura, e chi resta sviluppa altre forme di resistenza”, mi dice Kokorina: “Per esempio so di una signora di oltre 80 anni che, non appena c’è una manifestazione prende il suo carrellino per la spesa e marcia a fianco delle persone. E se la polizia arriva dice che era lì solo perché andava a fare la spesa”.
Persone che non possono o non vogliono partire, per infinite e pratiche ragioni.
“Si cerca aggirare la censura. Per esempio l’ecologia, che è una battaglia che ancora non è considerata terrorista, riunisce persone Lgbt, e femministe. Ma devono fare attenzione a cosa rivendicano”, aggiunge Kokorina, che mi racconta anche di tante iniziative clandestine, come un gruppo che su tutta la Russia si occupa delle evacuazioni di urgenza delle persone in pericolo e che mette insieme oltre 8mila persone su comunicazioni protette che si attivano al bisogno. “Ma i russi resistono. Noi non li chiamiamo più attivisti, ma resistenti. Che siano la maggioranza o la minoranza io non te lo so dire, ma in ogni caso la società civile russa esiste ancora”.
L’Espace Libertés è aperto dal febbraio 2024 e la sua esistenza è già a rischio. Non a causa del regime dittatoriale al potere a Mosca ma, come tante realtà, vittima dei tagli dell’amministrazione americana all’agenzia USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale).
Il centro fa parte di un finanziamento della Free Russia foundation, think tank americano (considerato “terrorista” in Russia) che riunisce alcuni dei più noti nomi dell’opposizione al Cremlino, tra cui Vladimir Milov o Vladimir Kara-Murza. La Free Russia Foundation aveva diverse antenne locali in Europa, tra cui Tallinn, Berlino, Varsavia, Kiev, Tbilisi e Vilnius. Oggi ne restano solo tre.
La situazione per i rifugiati russi in Europa non è semplice e cambia a seconda del paese: “Francia, Germania e Polonia offrono un certo sostegno, compresi programmi sociali, ma gli ostacoli burocratici sono spesso insormontabili. Nei Paesi baltici, che hanno registrato un forte afflusso di emigranti russi, la situazione è instabile e le vie per ottenere la residenza a lungo termine o la cittadinanza sono quasi chiuse. In Paesi come la Spagna o il Portogallo, le procedure per ottenere il visto possono essere più semplici, ma l'integrazione sociale è più difficile e le comunità di lingua russa sono più piccole”, mi spiega Yulia Abdullaeva, coordinatrice del Reforum Space a Berlino, che ogni mese riunisce circa 900 persone.
Da Parigi a Berlino, da Vienna a Monaco
Un attivista russo in Austria, che vuole restare anonimo, racconta la difficoltà della migrazione: “È difficile trasferirsi: trovare un lavoro senza una rete di contatti, le borse di studio per studiare all'università sono poche e non aiuta certo il fatto che gli istituti finanziari neghino i servizi sulla base di un'interpretazione errata della normativa sulle sanzioni. […] Impegnarsi nell'attivismo allo stesso tempo non è sostenibile a lungo termine e la nostra comunità ha perso alcuni dei membri più attivi proprio per questo motivo”.
Inoltre, la questione politica generale del continente non aiuta: “L'ascesa dei partiti di destra legati a Putin suscita enormi preoccupazioni. Supponiamo che la destra entri a far parte di una coalizione di governo: chi può garantire che non ci sarà un accordo con Putin che preveda l'espulsione/arresto dei più attivi oppositori del regime all'estero?”.
“Stiamo parlando di una persona che ha scatenato la più grande guerra in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale e leader di un paese con il più grande arsenale nucleare al mondo. Se esiste una definizione di minaccia, dovrebbe essere proprio questa”. Ma aggiunge; “è importante ricordare che Putin è il prodotto di un potere incontrollato, di disuguaglianze politiche ed economiche e di una società atomizzata. E queste non sono uniche della Russia. Sono tendenze globali, e le nazioni sviluppate, compresa l'Austria, ne fanno parte. Come ci dimostra l'ascesa dei populisti in tutto il mondo, con Trump come esempio principale, ci troviamo su un terreno scivoloso e dobbiamo iniziare a prendere in mano il nostro futuro costruendo comunità politicamente attive che proteggano le persone e il bene comune, non gli interessi privati di poche persone selezionate ai vertici”.
Per altri, la reinserzione sociale e professionale è più semplice: “Ho lasciato la Russia nel 2019. Vivo all'estero e continuo il mio attivismo dall'esilio”, racconta Dmitrij Kovalev, che vive a Monaco di Baviera.
“Sono uno sviluppatore di software, e questo ha reso il processo di reinsediamento più semplice rispetto a molti altri”. Dmitrii non ha smesso di lavorare per “Sinistra per la pace e un mondo senza annessioni” (“Левые за мир без аннексий”), un gruppo che si oppone “a tutte le annessioni dei territori ucraini dal 2014” e chiede “un sostegno incondizionato al popolo ucraino”, spiega: “Questo comprende aiuti militari, umanitari e finanziari da parte dei paesi occidentali, senza esitazioni o compromessi”. “Oggi in Russia l’opposizione è vasta e frammentata. Comprende nazionalisti filo-guerra, liberali centristi, liberali disfattisti e un ampio spettro di gruppi di sinistra con posizioni divergenti sull’Ucraina”. Tuttavia, precisa, “solo la sinistra ha una vera posizione anti-guerra, fondata su un’analisi del sistema e sulla solidarietà internazionale. Quello che ci distingue è il nostro atteggiamento disfattista: crediamo che l'imperialismo russo debba essere sconfitto e usiamo la teoria marxista e di sinistra per supportare e spiegare questa necessità”.
Allo stesso tempo, conclude, “essere di sinistra significa capire che anche l'Unione Europea e gli Stati Uniti sono attori imperialisti con i propri interessi. A differenza dei liberali che tendono a idealizzare l'Occidente, noi critichiamo le politiche occidentali, come gli accordi di sfruttamento delle risorse minerarie ucraine o gli aiuti militari insufficienti e incoerenti all'Ucraina”.
Mariia Menshikova ha lasciato la Russia nel 2020: “Non per via della situazione politica, ma perché volevo fare ricerca”. E’ partita per la Germania per cominciare un dottorato, grazie a una borsa: “Sono stata fortunata. È stato molto facile installarmi perché ho potuto pianificarlo. Così come avevo pianificato di tornare in Russia. Ora però è impossibile perché sono ricercata”.
Menshikova, che ha diretto la rivista giovanile indipendente online Doxa (ora definita “indesiderabile” da Mosca), è infatti stata condannata il 30 settembre 2024 a sette anni di reclusione per aver “giustificato il terrorismo” in due post pubblicati sul social media russo VKontakte nel 2022.
In Russia non c’è una vera opposizione, spiega, “perché l’opposizione parlamentare fa parte integrante del regime. Ci sono persone che protestano e organizzazioni che sono contro questo regime”, aggiunge, “per esempio diversi militanti, fra i quali degli anarchici, che compiono azioni di sabotaggio contro le ferrovie [che trasportano convogli militari], oppure che organizzano iniziative a sostegno dei prigionieri politici, scrivendo loro, raccogliendo fondi per l’assistenza legale e così via”.
Tuttavia, conclude, “la mia speranza è nei sindacati, perché in Russia esistono ancora veri sindacati indipendenti, solo che il loro spazio di manovra è inesistente. Eppure sono importanti perché hanno capacità organizzative e avremo sicuramente bisogno di loro una volta che comincerà la grande trasformazione sociale che auspico per la Russia”.
*Articolo pubblicato anche su voxeurop.ue, giornale online indipendente pensato e costruito intorno a una comunità di giornalisti e giornaliste, traduttori e traduttrici, media partner, e lettori, lettrici e membri di oltre 30 paesi. Questo articolo è pubblicato nell'ambito del progetto collaborativo Pulse
Immagine in anteprima via russie-libertes.org
