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Reporter Senza Frontiere: “In tutto il mondo giornalisti e media indipendenti sempre più sotto attacco” #WorldPressFreedomDay2024

3 Maggio 2024 5 min lettura

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Reporter Senza Frontiere: “In tutto il mondo giornalisti e media indipendenti sempre più sotto attacco” #WorldPressFreedomDay2024

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Detenzione dei giornalisti, soppressione di organi di informazione indipendenti, diffusione capillare della disinformazione: gli attacchi politici alla libertà di stampa si sono intensificati in modo significativo nell’ultimo anno, secondo l’Indice mondiale della libertà di stampa pubblicato ogni anno da Reporter Senza Frontiere (RSF). La libertà di stampa nel mondo è minacciata proprio da coloro che dovrebbero esserne i garanti: le autorità politiche.

Questo declino generale della libertà di stampa e l’aumento della repressione nei confronti dei giornalisti e dei media indipendenti si registra proprio in un anno, il 2024, in cui più della metà della popolazione mondiale sta votando per rinnovare i propri rappresentanti nelle istituzioni.

“Gli Stati e le altre forze politiche stanno giocando un ruolo sempre meno importante nella protezione della libertà di stampa. Questo esautoramento a volte va di pari passo con azioni più ostili che minano il ruolo dei giornalisti, o addirittura strumentalizzano i media attraverso campagne di molestie o disinformazione”, ha dichiarato Anne Bocandé, direttrice editoriale di RSF.

Secondo il rapporto, la situazione è particolarmente grave nelle regioni del Maghreb e del Medio Oriente. Nell'ultimo anno i governi di tutta la regione hanno tentato di controllare e limitare i media attraverso violenze, arresti e leggi draconiane, aggravate dalla “sistematica impunità per i crimini contro i giornalisti”.

Da ottobre stiamo assistendo inermi all’ecatombe di giornalisti a Gaza. Dall'inizio del conflitto tra Israele e Hamas, sono 97 i giornalisti uccisi, nella maggior parte palestinesi, stando alle segnalazioni raccolte dal Committee to Protect Journalists (CPJ). “I giornalisti svolgono un ruolo essenziale in una guerra. Sono gli occhi e le orecchie di cui abbiamo bisogno per documentare ciò che sta accadendo, e ogni giornalista ucciso, ogni giornalista arrestato diminuisce significativamente la nostra capacità di comprendere ciò che sta accadendo a Gaza”, ha dichiarato Jodie Ginsberg, amministratrice delegata del CPJ. “Questo è il peggior conflitto per i giornalisti che il Committee to Protect Journalists abbia mai documentato, e la situazione sta semplicemente peggiorando”. 

Ma non va meglio altrove, nella regione. I giornalisti vengono uccisi in Sudan, dove ci sono stati seri tentativi di limitare la denuncia indipendente della violenza e della guerra tra l’esercito ufficiale, comandato dal presidente del paese, il generale Abdel Fattah al Burhan, e le Rapid Support Forces (RSF), sotto il comando del generale Mohamed Hamdan Dagalo. 

In Siria i giornalisti andati via per sfuggire alla repressione dei media sono stati minacciati di espulsione dalle vicine Giordania, Turchia e Libano. 

In Nigeria quasi 20 giornalisti sono stati aggrediti all'inizio del 2023 e in Madagascar sono stati presi di mira mentre coprivano le proteste pre-elettorali. Più recentemente, il Burkina Faso ha sospeso decine di media stanieri, tra cui il Guardian, per aver riferito di un presunto massacro di centinaia di civili da parte dell'esercito burkinabé.

Gli indicatori mostrano situazioni allarmanti anche in America Latina, prosegue RSF. In Argentina, il nuovo presidente Javier Milei ha chiuso la principale agenzia di stampa del paese. La libertà di stampa è sotto attacco politico anche in Perù e in El Salvador.

Anche negli Stati Uniti, sono sempre più crescenti gli attacchi ai giornalisti da parte di funzionari politici, compresi gli inviti pubblici ad arrestare i reporter.

Nella regione Asia-Pacifico, i governi dittatoriali della regione hanno rafforzato il loro controllo sulle notizie e sull'informazione con “crescente vigore”. È questo il caso dell’Afghanistan, della Corea del Nord e della Cina che “perseguitano a oltranza” i media locali. Anche il Vietnam e il Myanmar sono scesi nell’indice di RSF, dopo l’incarcerazione di massa di giornalisti e operatori dei media.

In Europa, i giornalisti sono sotto attacco in Russia, in quella che RSF definisce una “crociata” contro il giornalismo indipendente. Più di 1.500 giornalisti russi sono fuggiti all'estero dall'invasione su larga scala dell'Ucraina nel 2022. Ed è simile la situazione in Bielorussia dove la persecuzione dei giornalisti è persistente con il pretesto della lotta all’“estremismo”.

Purtroppo non si tratta di casi isolati. La settimana scorsa, un rapporto dell'Unione per le libertà civili in Europa (Liberties), con sede in Germania, ha avvertito che la libertà di stampa è “pericolosamente vicina al punto di rottura” in diversi paesi europei. In Italia (scesa di cinque posizioni al 46° posto rispetto al 2023), i giornalisti sono oggetto di una stretta legislativa particolarmente rilevante. 

In queste settimane sono stati presentati due emendamenti che puniscono con il carcere i giornalisti che pubblicano notizie frutto di un reato commesso da altri, conoscendone la provenienza illecita. Leggendo le proposte, viene difficile non collegarle alla vicenda relativa a Pasquale Striano, il finanziere in servizio alla Direzione Nazionale Antimafia, accusato di accessi abusivi al registro delle Segnalazioni di operazioni sospette (Sos), e che vede indagati dalla Procura di Perugia anche tre giornalisti di Domani – a cui Striano avrebbe passato le informazioni riservate – accusati di concorso in accesso abusivo ai sistemi informatici.

L’inchiesta è partita dopo un esposto presentato dall’attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto, in seguito ad alcuni articoli di Domani su un suo conflitto d’interessi. Crosetto ha chiesto alla Procura di verificare chi e come fosse stato in grado di raccogliere informazioni “non a conoscenza di chiunque”. In altre parole, il ministro ha chiesto ai magistrati di individuare le “fonti” dei giornalisti. «Solo in Italia uno rischia nove anni di carcere e viene interrogato dalla commissione antimafia perché siamo stati dipinti come una specie di centrale dei dossier. Ma se si trasforma il giornalismo libero come dossieraggio è molto complicato e non solo per Domani, ma per tutte le testate», ha commentato il direttore di Domani, Emiliano Fittipaldi, convocato anche dalla Commissione parlamentare antimafia.

In questo scenario si inserisce il nuovo regolamento sulla Par Condicio in vista delle elezioni europee: “Servizio pubblico ridotto a megafono del governo”, “si ritorna all’Istituto Luce”, ha commentato l’USiGRai, il sindacato dei giornalisti Rai, con tanto di comunicato letto durante le edizioni del telegiornale. 

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Come osservava Matteo Pascoletti proprio su Valigia Blu

La situazione attuale della Rai va ben oltre la semplice lottizzazione, pratica di per sé deprecabile e purtroppo strutturale nei rapporti tra politica e media in Italia. Ricorda piuttosto la presa del servizio pubblico polacco da parte del partito di estrema destra Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość). Là la trasformazione del servizio pubblico in megafono del governo fu motivato dal bisogno di bilanciare l’informazione privata. Da noi invece Meloni ha parlato più volte del bisogno di “cambiare narrazione”, una sottovariante del vittimismo del potere. Del resto parliamo di una maggioranza e di una commissione di Vigilanza che a luglio ha cancellato un programma televisivo per rappresaglia politica, come successo a Roberto Saviano.

In questo clima generale registrato dall'indice di RSF in cui la libertà di stampa non gode di buona salute, appare dunque difficile capire come l'Italia potrebbe invertire la tendenza. Tutto lascia infatti presagire un ulteriore aggravamento.

Immagine in anteprima: Bartolomeo Rossi/IJF24 via Festival Internazionale del Giornalismo

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