Cosa insegna la vittoria del No
5 min letturaL'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre è stato così clamorosamente orientato a favore del No che sembra difficile immaginare che qualche mossa politica o comunicativa adottata in campagna elettorale potesse modificare l'andamento del voto.
Qualcosa di molto significativo è però accaduto se consideriamo che i sondaggi attribuivano un 60% di consenso per il Sì a inizio 2016. Provo dunque a isolare alcuni elementi di riflessione per provare a comprendere le ragioni della netta vittoria del No.
1. Fuori dal merito: il No è diventato "cambiamento", il Sì è diventato "conservazione"
Ogni elezione porta con sé una domanda di cambiamento e il referendum costituzionale, descritto come uno spartiacque storico soprattutto dai sostenitori del Sì, non poteva certamente essere da meno. È però successo che a un certo punto del percorso, più o meno a cavallo con le elezioni amministrative del 2016, sia avvenuta una sorta di inversione di ruoli simbolici: una parte di italiani, che ha votato non tenendo conto esclusivamente del merito del referendum, ha immaginato che il No portasse un elemento di rinnovamento della politica italiana, in termini di priorità di agenda economica e sociale e di ricambio della classe dirigente, superiore rispetto al Sì. L'insieme delle innovazioni proposte dal Sì è apparso meno capace di portare cambiamenti positivi al sistema istituzionale italiano rispetto all'investimento in fiducia legato a un radicale rimescolamento del quadro politico.
In sintesi: gli italiani non hanno creduto che l'abolizione del bicameralismo paritario, la promessa riduzione dei costi della politica, la riforma del Titolo V potessero davvero migliorare le loro condizioni di vita. Non possono essere casuali alcuni punti emersi dalle prime analisi, ancora provvisorie, dei sondaggi e dalla geolocalizzazione del voto, isolati da Youtrend nella notte dello spoglio (che hanno trovato una corrispondenza nelle valutazioni del voto da parte del blog Infodata del Sole 24 Ore, che ha confrontato la percentuale raggiunta dal Sì nelle province italiane con alcuni indicatori demografici ed economici):
- L'84% degli elettori del M5S e l'80% degli elettori di centrodestra hanno dichiarato di considerare il No come portatore di vero cambiamento.
- I 100 comuni italiani con il più alto tasso di disoccupazione hanno fatto registrare una vittoria del no col 65.8% delle preferenze. Contemporaneamente il Sì ha ottenuto il 59% nei comuni con meno disoccupati.
- Il successo del No sembrerebbe essere inversamente proporzionale all'età: massimo risultato tra i più giovani, minimo tra i più anziani.
2. Nel merito: il rifiuto del cambiamento "a qualsiasi costo"
Chi invece ha votato No nel merito ha scelto o di bocciare tutti i contenuti della riforma, o di bocciarla tutta per una perplessità forte su uno o più contenuti o ha posto una questione di tipo metodologico. Un No motivato dall'assenza di condivisione del percorso riformatore ("la Costituzione non può essere cambiata a colpi di maggioranza") ha certamente trovato terreno fertile.
Tutte queste motivazioni nel merito e nel metodo della riforma offrono dunque un messaggio molto chiaro a chiunque proverà, in futuro, a rimettere mano alla Costituzione: il cambiamento in sé non è un valore assoluto se non è accompagnato da contenuti convincenti nel merito e da un processo di negoziazione di quei contenuti davvero condiviso tra le forze politiche.
3. L'equivoco del 40.8%
Il risultato del Partito Democratico alle Europee di due anni e mezzo fa è stato certamente anomalo sia per la portata sia per la differenza con i risultati della precedente elezione nazionale (il 25% alle Politiche 2013). Oggi possiamo certamente affermare che quell'anomalia è stata politicamente malintesa. Quel consenso così straordinario non era un'apertura di credito a un leader o a un partito nello specifico, non era l'implicita accettazione delle larghe intese – a proposito: quale partito di sinistra può sopravvivere dopo cinque anni di larghe intese?
Gli italiani avevano utilizzato quel Pd e quel Matteo Renzi come un mezzo e non come un fine. Hanno creduto in un potenziale di cambiamento e hanno deciso di investire elettoralmente in quella scommessa. Ma siccome quel voto non era strutturato, è stato sbagliato considerarlo come un patrimonio acquisito. E così, con la stessa velocità con cui il Pd e Renzi sono arrivati al 40.8%, oggi sono stati superati di venti punti nel referendum costituzionale. E ancora, con la stessa velocità questa apertura di credito potrà spostarsi verso un nuovo leader, e ancora verso un nuovo leader, e ancora verso un nuovo leader.
4. Di chi sono i voti del Sì e del No?
Il punto 3 potrebbe avere una facile obiezione: in termini assoluti Renzi è cresciuto di due milioni di voti rispetto alle Europee. È l'obiezione di chi afferma che il Sì al referendum rappresenti implicitamente l'adesione degli elettori alla proposta politica del Pd (o di Renzi) in vista delle prossime Politiche, qualsiasi essa sia e a prescindere dallo scenario competitivo. Altrettanto implicitamente, questa tesi è cavalcata dal fronte del No: alcuni rappresentanti della composita squadra degli oppositori della riforma erano già in tv a pochi minuti dagli exit poll per rivendicare la propria parte di bottino elettorale. Ritengo queste due semplificazioni fuorvianti per due ordini di motivi:
- Esistono elettori che hanno votato Sì al referendum e non voteranno il Pd alle prossime Politiche (con o senza Matteo Renzi) ed esistono elettori che hanno votato No al referendum e voteranno il Partito Democratico, o Matteo Renzi, alle prossime Politiche.
- L'idea secondo la quale si possa affermare che il patrimonio politico di Renzi (o del Pd) sia di 13.4 milioni di voti (cioè il risultato del Sì al referendum costituzionale) rappresenta una buona fotografia dell'esistente ma, come ho descritto nel punto 3, non è affidabile in quanto la volatilità del consenso, sempre più svincolato da appartenenze organizzative o valoriali, rende ogni analisi provvisoria. A questo aspetto si deve aggiungere un altro elemento che è indispensabile nella valutazione di un'elezione: la legge elettorale (Trump insegna).
Faccio alcuni esempi di possibili scenari in parte dipendenti dalla riscrittura della legge elettorale e che potrebbero mettere in crisi l'equazione "chi vota Sì voterà solo Renzi e chi vota No non voterà mai Renzi":
a) Cosa succederebbe con una legge proporzionale pura, dove sarebbe necessario il ricorso a coalizioni per formare un governo?
b) Cosa deciderebbe, per esempio, un elettore del Sì "di sinistra" se alla sinistra del Pd si formasse un partito nuovo e credibile totalmente alternativo a Renzi o, al contrario, cosa deciderebbe un elettore del No "di sinistra" se alla sinistra del Pd si formasse un partito nuovo e credibile che intende allearsi con il Pd in vista delle elezioni Politiche?
c) In un ipotetico ballottaggio Renzi – Salvini, cosa farebbe un elettore che ha votato No? E in un ipotetico ballottaggio centrodestra – M5S, cosa farebbe un elettore che ha votato Sì?
5. L'ennesimo fallimento dell'inseguimento al centro
Il Sì ha perso più voti all'interno del Pd rispetto a quanti sia riuscito a guadagnarne da MoVimento5Stelle e centrodestra, secondo i sondaggi di Youtrend. Questo è il frutto avvelenato delle larghe intese, di scelte politiche che sono apparse poco identitarie e in generale di non aver accettato la necessità di un confronto culturale tra destra e sinistra. Se la sinistra non fa la sinistra in economia e sui diritti, gli italiani preferiscono l'originale. Come sempre.
Foto anteprima via Ansa/Cesare Abbate