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Cosa c’è da sapere sul “Piano nazionale di ripresa e resilienza”: numeri, voci di spesa e critiche

1 Maggio 2021 20 min lettura

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Cosa c’è da sapere sul “Piano nazionale di ripresa e resilienza”: numeri, voci di spesa e critiche

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Differenze tra il Pnrr inviato all'Ue e quello trasmesso al Parlamento

Aggiornamento 11 maggio 2021: Il 5 maggio il governo ha pubblicato il testo del Pnrr inviato alla Commissione europea (qui consultabile), che è un po' diverso da quello che ha ricevuto il via libera dal Parlamento il 26 e 27 aprile. In particolare, nel testo mandato all'Ue la lotta all'evasione fiscale è stata spostata tra le “riforme abilitanti” del piano (così come il federalismo fiscale), mentre la Missione 1 – quella sulla Digitalizzazione – ha visto ridursi le sue risorse di circa 400 milioni, dirottate sulla Missione 3 (quasi 300 milioni) e sulla Missione 2 (oltre 100 milioni). 

Il 30 aprile il governo Draghi ha inviato alla Commissione europea il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR), noto anche con il nome di Recovery plan. Le 273 pagine di questo documento spiegano come il nostro paese intende spendere le risorse provenienti dal Next Generation Eu, il fondo europeo da 750 miliardi di euro pensato per favorire il rilancio economico del continente. 

Il PNRR è un piano fondamentale e senza precedenti: in pochi anni l’Italia dovrà infatti essere in grado di usare oltre 200 miliardi di euro in ambiti che vanno dall’ambiente al digitale, passando per l’istruzione e la sanità. Il tutto accompagnato da una serie di riforme, di cui si parla ormai da anni, come quelle della giustizia e della pubblica amministrazione.

«L’Italia deve combinare immaginazione, capacità progettuale e concretezza, per consegnare alle prossime generazioni un paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale», ha scritto il presidente del Consiglio Mario Draghi nella conclusione della premessa al piano.

Quali sono le voci di spesa principali del PNRR? Chi controllerà l’attuazione del piano e quali sono le principali critiche arrivate negli ultimi giorni? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza, partendo prima di tutto da un riassunto delle puntate precedenti.

Come siamo arrivati fino a qui?

A luglio 2020 – ormai nove mesi fa – gli Stati membri dell’Ue hanno trovato uno storico accordo per creare il Next Generation Eu, un fondo da 750 miliardi di euro, chiamato più comunemente Recovery fund. Questo era stato un primo passo politico e nei mesi successivi, per dare concretamente vita al progetto, sono proseguite le trattative tra i governi nazionali e tra le istituzioni europee.

La caratteristica eccezionale di questo fondo è la fonte delle risorse. I governi europei hanno infatti deciso di emettere un debito pubblico europeo in comune e di distribuire le risorse raccolte agli Stati membri in base a una serie di criteri, per esempio il crollo del Pil causato dalla crisi e i dati sulla disoccupazione degli ultimi anni. Per ricevere le risorse, ogni Stato membro deve consegnare un piano nazionale entro la fine di aprile 2021 (anche se c’è un margine di flessibilità), in cui spiega come intende spendere i soldi europei e che poi viene valutato dalla Commissione Ue (avevamo spiegato tutti i dettagli in un’altra analisi). 

All’epoca a capo del governo italiano c’era Giuseppe Conte, supportato dalla maggioranza composta da Partito democratico, Movimento 5 stelle, Italia viva e Liberi e Uguali. A settembre 2020 il governo Conte ha presentato in Parlamento le linee guida per la stesura del piano, poi approvate da Camera e Senato, a cui sono seguiti mesi di aspre trattative tra i diversi partiti della maggioranza per trovare una quadra sui contenuti veri e propri del PNRR.

Il 12 gennaio 2021, con l’astensione delle ministre di Italia viva, il governo ha approvato una prima proposta del PNRR, poi trasmessa al Parlamento per raccogliere le modifiche da adottare. In seguito si è però aperta la crisi di governo, con la decisione di Matteo Renzi di far cadere l’esecutivo Conte, che è stato succeduto a febbraio da quello guidato da Mario Draghi. Fatta eccezione per Fratelli d’Italia e alcuni parlamentari, l’ex presidente della Banca centrale europea (Bce) ha ricevuto la fiducia da tutto l’arco parlamentare, che – per il momento – ha accolto con soddisfazione il piano di Draghi.

Come abbiamo spiegato in passato, secondo alcuni commentatori il cambio di governo avrebbe danneggiato il paese, causando ritardi e confusione nella stesura del piano; secondo altri, invece, l’arrivo di Draghi avrebbe permesso all’Italia di guadagnare maggiore prestigio e autorevolezza agli occhi dell’Ue.

Al di là di come la si pensi, tra febbraio e marzo la proposta di PNRR avanzata dal governo Conte – una base di partenza non priva di lacune e problemi, ma anche di aspetti positivi  – è stata esaminata dal Parlamento in una serie di audizioni, alla Camera e al Senato. Le due camere hanno poi approvato due risoluzioni per suggerire all’attuale governo di introdurre una serie di modifiche al PNRR, ma già dal suo insediamento il governo Draghi, per mano soprattutto dei suoi membri tecnici, aveva di fatto iniziato a mettere mano al documento scritto dall’esecutivo precedente, trattando periodicamente con l’Ue sui contenuti da aggiungere o da modificare. 

Il 25 aprile, a cinque giorni dalla scadenza della consegna con l’Ue, il Consiglio dei ministri ha approvato la versione attuale del PNRR, poi rimandato al Parlamento. Camera e Senato hanno così avuto a disposizione poche ore per analizzare il testo (analizzeremo meglio più avanti le critiche in merito) per dare il via libera al documento, consegnato dal governo all’Ue il 30 aprile.

La copertina del PNRR – Clicca sull'immagine per scaricare il testo completo

Come vedremo alla fine di questa analisi, ora la palla passa alla Commissione, che dovrà valutare la qualità del testo ed esprimere un giudizio per dare il via libera alla prima erogazione dei fondi. E qui arriviamo alla quantità di risorse che spettano al nostro paese.

Di quanti soldi stiamo parlando?

Come abbiamo anticipato, il Next Generation Eu ha un valore complessivo di 750 miliardi di euro (attenzione: alcuni parlano di 800 miliardi di euro circa, perché fanno riferimento al valore espresso in prezzi costanti, ossia tenendo conto degli effetti dell’inflazione).

Di questi 750 miliardi – raccolti con l’emissione di titoli di debito comune sui mercati – 360 miliardi di euro sono risorse distribuibili agli Stati membri sotto forma di prestiti (i cosiddetti loans) che quindi andranno restituiti, seppure a condizioni economiche vantaggiose grazie ai bassi tassi di interesse; 390 miliardi sono invece sovvenzioni a fondo perduto, e in concreto non andranno restituiti. 

La maggior parte delle risorse del Next generation Eu viene dal Recovery and resilience facility (RRF, tradotto in italiano con “Dispositivo per la ripresa e la resilienza”), un fondo da 672,5 miliardi, seguito dai 47,5 miliardi di React-Eu, un fondo per misure di sostegno per l’occupazione. In aggiunta ci sono altre risorse, come mostra il Grafico 1, ma di valore ben più basso.

Grafico 1. La suddivisione del Next Generation Eu – Fonte: Commissione Ue

Nel proprio Recovery plan, ogni paese Ue ha inserito risorse di vario tipo, scegliendo magari di non prendere la quota di prestiti che gli spettava, come fatto da Francia e Germania, due Paesi che già spendono molto poco per indebitarsi sui mercati. 

Nel complesso, il PNRR del governo Draghi contiene risorse per un valore superiore ai 235 miliardi di euro (oltre una decina di miliardi in più di quello di Conte). 191,5 miliardi provengono dal Recovery and resilience facility (di cui l’Italia è il primo paese beneficiario in termini di risorse in valore assoluto), di cui 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. Queste risorse andranno impiegate tra il 2021 e il 2026, sei anni in cui l’Italia dovrà essere in grado di colmare le storiche lacune – che hanno anche altri Paesi Ue – nello spendere i fondi europei. 

Circa 13 miliardi arrivano da React-Eu e oltre 30,6 miliardi, invece, provengono da un fondo complementare, con investimenti che avranno gli stessi obiettivi di quelli del PNRR, ma che saranno interamente finanziati con debito pubblico italiano. Per avere un’idea, con questo fondo – previsto da un decreto-legge approvato il 29 aprile – il governo intende finanziare, tra le altre cose, una parte di provvedimenti come Transizione 4.0 (incentivi per favorire la digitalizzazione delle imprese) o il Superbonus al 110% (quello con cui lo Stato di fatto paga i cittadini che fanno interventi edilizi in ottica ambientale).

Quali sono le voci di spesa del PNRR?

Veniamo adesso al cuore del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, ossia gli interventi che il governo Draghi vuole finanziare con gli oltre 235 miliardi di euro.

In base al regolamento europeo che a febbraio 2021 ha istituito ufficialmente il Recovery and resilience facility, i vari piani nazionali devono poggiare su sei «pilastri», che sono in sostanza sei grandi aree di intervento: la transizione verde; la trasformazione digitale; la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; la coesione sociale e territoriale; la salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; e le politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani.

Non solo: ci sono anche vincoli più specifici. Per esempio, almeno il 37% delle risorse che un paese riceve dal Recovery and resilience facility deve essere impiegato in provvedimenti per il contrasto ai cambiamenti climatici e il 20% per la digitalizzazione. 

Secondo le stime del governo, il PNRR dedicherà circa il 40% delle risorse del RRF nella transizione ambientale e il 27% circa alla transizione digitale. Questi sono due dei tre «assi strategici» del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, insieme a quello sul Mezzogiorno (nella sezione sulle critiche vedremo le polemiche sulle risorse destinate al Sud).

Il PNRR – sulla linea di quello di Conte – si articola lungo sei missioni, finanziate dal Recovery and resilience facility, da React-Eu e dal fondo complementare. Le sei missioni rispecchiano in larga parte i pilastri europei visti sopra e sono suddivise in sedici componenti, che a loro volta contengono nel complesso decine di voci di spesa (e riforme settoriali, come spiegheremo tra poco). Vediamole una per una, concentrandoci soprattutto sui 191,5 miliardi provenienti dal Recovery and resilience facility, il cuore del Next Generation Eu (Grafico 2). 

Grafico 2. La distribuzione delle risorse del RRF per “Missione” – Fonte: PNRR

Come si vede dal Grafico 2, oltre 59,3 miliardi di euro – la fetta più grande – vanno alla missione numero 2, “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, che contiene quattro componenti (Tabella 1). A questi si aggiungono oltre 10 miliardi tra React-Eu e fondo complementare. 

Secondo il piano, "serve una radicale transizione ecologica verso la completa neutralità climatica e lo sviluppo ambientale sostenibile per mitigare le minacce a sistemi naturali e umani". La missione numero 2 contiene voci di spesa pensate proprio per questo obiettivo. 

Tra le altre cose, qui ci sono risorse per migliorare la gestione dei rifiuti; sviluppare una filiera agroalimentare sostenibile; incrementare la quota di energia proveniente da fonti rinnovabili e l’efficientamento energetico degli edifici; rafforzare la tutela del territorio e la prevenzione per il dissesto idrogeologico. 

Tabella 1. Missione numero 2 del PNRR

Al secondo posto, in termini di risorse complessive, troviamo la missione numero uno, “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, con 40,7 miliardi dal RRF (Tabella 2) e oltre 9 miliardi da React-Eu e fondo complementare.

Questa sezione si pone «l’obiettivo di dare un impulso decisivo al rilancio della competitività e della produttività del Sistema paese». Come? Per esempio attraverso la digitalizzazione della pubblica amministrazione e della giustizia; favorendo la transizione digitale nelle industrie; e realizzando investimenti per le connessioni ultraveloci.

In questa missione sono presenti anche quasi 6,7 miliardi di euro destinati al turismo e alla cultura. L’obiettivo è quello di promuovere questi due ambiti facendo leva su diversi aspetti, legati in gran parte alle potenzialità del digitale, ancor oggi inespresse.

Curiosità: nel piano presentato da Conte, questa missione conteneva le risorse (circa 4,7 miliardi per il 2021 e 2022) per finanziare il cosiddetto cashback, con cui lo Stato restituisce ai cittadini una percentuale degli acquisti effettuati con pagamenti elettronici. Ora il cashback è sparito dal PNRR, ma questo non significa necessariamente che il governo Draghi voglia eliminarlo, come sostengono da settimane indiscrezioni stampa. Questa misura potrà infatti essere finanziata, per esempio, con risorse nazionali.

Tabella 2. Missione numero 1 del PNRR

Sull’ultimo gradino del podio, in termini di risorse complessive, c’è la missione numero 4, “Istruzione e ricerca”, con circa 33,8 miliardi, di cui 30,8 provenienti dal RRF (Tabella 3). 

Come suggerisce il nome, le sfide in questa missione riguardano la necessità di colmare le carenze strutturali nell’offerta di servizi educativi e quelle nelle competenze di base, e sfide come quelle sull’alto tasso di abbandono scolastico. 

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Quasi 5 miliardi di euro sono per esempio destinati all’aumento dei posti negli asili nido (228 mila in più) e nei servizi per la prima infanzia. Circa 4 miliardi invece sono legati alla messa in sicurezza e alla riqualificazione dell’edilizia scolastica.

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Altri 11,5 miliardi sono la quota destinata al mondo della ricerca, dove – come abbiamo scritto in passato – l’Italia è parecchio indietro rispetto ad altri Paesi europei.

Tabella 3. Missione numero 4 del PNRR

Veniamo adesso alle altre tre missioni del PNRR.

Quasi 31,5 miliardi di euro sono destinati alla missione numero 3, “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, con 25,1 miliardi dal RRF (Tabella 4) e 6,3 miliardi dal fondo complementare. 

Quasi tutti i fondi saranno impiegati per investimenti sulle linee ferroviarie, con il potenziamento dei collegamenti ad alta velocità, per passeggeri e merci, dal Nord al Sud. 

Tabella 4. Missione numero 3 del PNRR

Alla missione numero 5, dedicata a “Inclusione e coesione”, vanno circa 29,6 miliardi di euro, di cui oltre 19,8 miliardi dal RRF (Tabella 5).

«Questa missione ha un ruolo di grande rilievo nel perseguimento degli obiettivi, trasversali a tutto il PNRR, di sostegno all’empowerment femminile e al contrasto alle discriminazioni di genere, di incremento delle prospettive occupazionali dei giovani, di riequilibrio territoriale e sviluppo del Mezzogiorno e delle aree interne», si legge nel piano. «Per accompagnare la modernizzazione del sistema economico del paese e la transizione verso un’economia sostenibile e digitale sono centrali le politiche di sostegno all’occupazione: formazione e riqualificazione dei lavoratori, attenzione alla qualità dei posti di lavoro creati, garanzia di reddito durante le transizioni occupazionali».

Le voci di spesa principali riguardano le politiche attive per il lavoro, ossia quelle pensate per aiutare i disoccupati a trovare una nuova occupazione, con il potenziamento dei centri per l’impiego; e quelle destinate alla rigenerazione urbana e l’edilizia sociale.

Tabella 5. Missione numero 5 del PNRR

In fondo alla classifica, per valore di risorse, troviamo la missione numero 6, quella incentrata sul tema “Salute”, con circa 20,2 miliardi complessivi, di cui oltre 15,6 miliardi dal RRF (Tabella 6). 

Le due componenti sono state articolate da un lato per potenziare il Sistema sanitario nazionale (Ssn), da un punto di vista digitale, di strutture e di servizi domiciliari; dall’altro per rafforzare la ricerca in ambito biomedico e sanitario.  

Tabella 6. Missione numero 6 del PNRR

Ricapitolando: il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” si articola lungo sei missioni, e 16 componenti, con una lunga serie di obiettivi e di voci di spesa. Come vedremo meglio più avanti, ci sono state critiche sulla distribuzione delle risorse, che però sono soltanto un lato della medaglia del documento inviato all’Ue.

Perché si parla tanto delle riforme?

Come spiega il PNRR, infatti, «i “Piani nazionali di ripresa e resilienza” sono innanzitutto piani di riforma. Le linee di investimento devono essere accompagnate da una strategia di riforme orientata a migliorare le condizioni regolatorie e ordinamentali di contesto e a incrementare stabilmente l’equità, l’efficienza e la competitività del paese. In questo senso le riforme devono considerarsi, allo stesso tempo, parte integrante dei piani nazionali e catalizzatori della loro attuazione». 

Per vedersi approvare i piani da parte dell’Ue, i singoli Stati membri devono rispettare alcune delle raccomandazioni ricevute dalla Commissione europea nel 2019 e nel 2020. La lista per l’Italia è davvero ampia: le raccomandazioni per il nostro paese vanno dall’aumentare la spesa in ricerca all’abbreviare i tempi della giustizia, passando per il contrasto all’evasione fiscale e la lotta alla povertà.

Da un lato, il governo Draghi punta a rispettare alcune raccomandazioni con i progetti delle singole missioni. Dall’altro lato, è necessario intervenire con misure più radicali, ossia riforme specifiche. Ed è proprio su questo punto che, secondo indiscrezioni stampa, c’è stata maggiore tensione tra l’esecutivo italiano e la Commissione Ue, con settimane di trattative in cui Bruxelles avrebbe maggiori garanzie all’Italia dal punto di vista riformatorio.

Il PNRR di Draghi prevede due riforme «orizzontali», chiamate così perché riguardano in maniera trasversale tutte le missioni: la riforma della pubblica amministrazione e la riforma della giustizia. In estrema sintesi, la prima punta ad ammodernare gli enti pubblici, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche delle competenze e dello snellimento burocratico, con un ricambio generazionale nelle assunzioni; la seconda invece ha l’obiettivo di rendere il sistema giudiziario più efficiente e competitivo, in linea con quello di altri Paesi europei. 

Come è evidente, già soltanto con queste due, siamo di fronte a riforme ambiziose, di cui si discute da anni ormai nel dibattito politico. Il PNRR prova a fissare modalità e tempi di attuazione più o meno precisi (per esempio dicendo che un determinato obiettivo si raggiungerà entro una determinata data, attraverso un determinato provvedimento) per porsi paletti e rispettare le indicazioni dell’Ue, che chiede un calendario, almeno di massima, per far sì che le riforme non restino parole al vento. Bisognerà capire però come queste promesse – più dettagliate di quelle di Conte, ma ancora per certi versi vaghe – si concretizzeranno all’interno di una maggioranza che contiene schieramenti con idee diverse su molti fronti.

Sotto alle due riforme orizzontali, ci sono altre riforme più specifiche. Le cosiddette “riforme settoriali” riguardano infatti innovazioni normative relative a specifici ambiti di intervento o attività economiche. Le cosiddette “riforme di accompagnamento”, infine, non fanno propriamente parte del piano, ma sono ritenute fondamentali per accompagnarne, appunto, l’attuazione. Qui rientrano, per esempio, la riforme per la razionalizzazione e per l’equità del sistema fiscale e la riforma per l’estensione e il potenziamento della rete di protezione sociale dei lavoratori.

Negli ultimi giorni ci sono state polemiche perché nella PNRR finale sono spariti alcuni riferimenti contenuti nelle bozze circolate prima dell’approvazione da parte del governo. Per esempio, in una versione precedente c’era scritto che “quota 100” – un cavallo di battaglia della Lega, che permette di andare in pensione prima – sarebbe terminata a fine 2021 e «sostituita da misure mirate a categorie con mansioni logoranti». Questa parte è poi scomparsa, ma già il governo Conte aveva annunciato che “quota 100” non sarebbe stata rinnovata dopo il periodo sperimentale 2019-2021. 

Anche il riferimento all’introduzione al salario minimo legale, che c’è nella maggior parte dei paesi europei ed è caro soprattutto a Pd e Movimento 5 stelle, è stato eliminato dal piano inviato all’Ue.

Chi monitorerà sul piano e quali saranno i suoi effetti?

Veniamo adesso a uno dei temi di maggiore scontro tra Renzi e Conte, durante la crisi del precedente governo: la struttura (la cosiddetta task force o governance, come si è letto per mesi sui giornali) che deve vigilare sulla realizzazione del piano. Da un punto di vista politico, la gestione di oltre 200 miliardi di euro era, ed è tutt’oggi, un tema su cui i partiti vogliono avere maggiore spazio.

Il PNRR presentato da Draghi spiega che la realizzazione dei singoli interventi coinvolgerà non solo lo Stato, ma anche le regioni e gli enti locali, come i comuni. Tutti questi soggetti saranno responsabili nel prevenire, per esempio, frodi o conflitti di interessi.

Il coordinamento centrale del PNRR spetterà però al Ministero dell’Economia e delle Finanze, oggi guidato dal tecnico Daniele Franco. Tra i suoi compiti, ci sarà quello di monitorare l’avanzamento dei lavori e chiedere all’Ue i pagamenti periodici, a obiettivi raggiunti.

C’è meno chiarezza invece intorno al ruolo della Cabina di regia per il PNRR, che sarà istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per esempio, ad oggi non si è ancora capito chi ne farà parte: se politici o tecnici, o se entrambi. Questa cabina avrà, tra i vari compiti, quello «di monitorare l’efficacia delle iniziative di potenziamento della capacità amministrativa» e «di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità».

Il PNRR contiene anche una stima dell’impatto che circa 183 miliardi di euro del piano avranno sull’economia italiana. Questa cifra fa riferimento alla spesa aggiuntiva effettiva che verrà fatta con i soldi europei (le restanti risorse coprono progetti in parte già programmati). Secondo il governo Draghi, nel 2026 il Prodotto interno lordo italiano sarà più alto del 3,6% rispetto a uno scenario base, senza piano (Tabella 7).

Tabella 7. Impatto sul Pil del PNRR – Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze

Questo dato va però preso con cautela. Si tratta infatti di previsioni – fatte dal governo – nell’arco di sei anni che poggiano su una serie di assunzioni, per esempio sul grado di efficienza con cui saranno implementati gli investimenti del PNRR. Il dato visto prima, tra l’altro, fa riferimento a uno scenario ottimista e ci sono percentuali di crescita più basse, a seconda di scenari meno positivi. «È pertanto evidente quanto sia cruciale per le prospettive di espansione dell’economia e per la sostenibilità del debito pubblico selezionare progetti di investimento ad alto impatto sulla crescita», si legge nel PNRR. 

Il piano prevede poi che tra il 2024 e il 2026 l’occupazione generale in Italia sia più alta del 3,2%, con +3,7% per quella femminile e +3,3% per quella giovanile, con percentuali ancora più alte per il Mezzogiorno. Sottolineiamo che, secondo il PNRR, le missioni sono valutate «sulla base dell’impatto che avranno nel recupero del potenziale dei giovani, delle donne e dei territori, e nelle opportunità fornite a tutti, senza alcuna discriminazione». Inoltre, nel piano è contenuta un sorta di “clausola” – voluta in particolare dal Pd – in base alla quale nei bandi di gara per il finanziamento dei progetti i requisiti di assunzione in particolare di giovani e donne. 

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Vedremo nelle prossime settimane come verranno commentati questi dati da altre autorità indipendenti, sia italiane che europee.

Quali sono le critiche al PNRR e che cosa succederà adesso?

Per il momento, una delle critiche più diffuse fatte a Draghi non riguarda tanto il contenuto del PNRR, quanto le tempistiche, un tema su cui già il governo Conte era stato attaccato dall’opposizione e da una parte della sua maggioranza.

In Parlamento, Fratelli d’Italia e alcuni parlamentari, come Nicola Fratoianni di Sinistra italiana, hanno accusato il governo di aver dato ai parlamentari soltanto poche ore di tempo per leggere le quasi 300 pagine del PNRR, per poi votare le risoluzioni che ne hanno dato il via libera. Un comportamento definito da più parti «inaccettabile». 

In effetti, come abbiamo visto, il governo Draghi ha trasmesso il PNRR al Parlamento a soli cinque giorni dalla scadenza del 30 aprile. Nelle sue comunicazioni al Senato, il presidente del Consiglio ha provato a difendersi da questa accusa, ammettendo che i tempi della discussione sono stati «ristretti», ma ribadendo che il suo governo ha «tenuto conto dei molti punti di vista del Parlamento», raccolti durante gli ultimi mesi. Inoltre, Draghi ha aggiunto che deputati e senatori avranno un ruolo di primo piano per quanto riguarda le riforme, fondamentali per il PNRR. Ma come abbiamo anticipato, non sarà per nulla un compito facile trovare un accordo tra le varie forze politiche su temi divisivi come quello sulla giustizia o sul fisco.

Una seconda categoria di critiche mossa al PNRR di Draghi riguarda in generale le risorse destinate alle varie voci di spesa. Secondo alcuni, infatti, i soldi alla sanità sarebbero ancora troppo pochi, rispetto ai bisogni del paese. Secondo altri, il PNRR non ha accolto la richiesta di una parte della comunità scientifica di adottare il Piano Amaldi (di cui abbiamo parlato in una precedente analisi) che ha l’obiettivo di ridurre il divario nella ricerca tra l’Italia e gli altri grandi paesi europei. 

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Inoltre, da un punto di vista politico la sensazione è che sia ancora presto per individuare criticità sui vari temi, dal momento che il governo ha il supporto di quasi tutto l’arco parlamentare. Le singole forze politiche che compongono la maggioranza, in queste ore, stanno cercando per lo più di intestarsi il merito per singole voci di spesa, piuttosto che condannare limiti o rischi futuri.

Sul fronte ambientale – uno dei temi di maggiore attualità a livello europeo e mondiale – c’è chi comunque ha sollevato delle perplessità sul documento presentato. Per esempio, secondo Legambiente, il PNRR è un passo in avanti, ma rimane «ancora debole rispetto agli obiettivi europei». Tra le varie promesse del PNRR, c’è quella di aggiornare il cosiddetto “Piano nazionale integrato per l’energia e il clima” (PNIEC), pubblicato in via definitiva a inizio 2020. In questo testo sono stabiliti gli obiettivi dell’Italia per attuare la transizione ambientale e ridurre, tra le altre cose, le emissioni responsabili dei cambiamenti climatici. Secondo il PNRR, entro il 2030 l’Italia dovrà dimezzare le sue emissioni rispetto ai livelli del 1990, ma alcuni ambientalisti ritengono che il nostro paese possa fare di più.

Un’altra polemica ha riguardato infine gli investimenti destinati al Mezzogiorno. Secondo le stime del governo, circa 82 miliardi delle sei missioni del PNRR (il 40% circa sul totale) saranno destinati per investimenti e opere al Sud, per esempio per l’alta velocità, le politiche del lavoro e la transizione energetica. Secondo alcuni amministratori del Mezzogiorno, capitanati dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris, queste risorse non sarebbero abbastanza e non rispetterebbero i criteri dell’Ue. Questa critica, già con il governo Conte, era arrivata dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. L’obiettivo delle risorse europee però è quello di risollevare le economie nazionali: storicamente è vero che il Sud è l’area più svantaggiata d’Italia, ma la crisi causata dall’epidemia ha colpito tutto il paese. 

In ogni caso, critiche a parte, ora tocca alla Commissione europea esprimersi sul piano italiano. Come abbiamo spiegato in passato, la Commissione Ue ha due mesi di tempo per dare la sua approvazione e proporre al Consiglio dell’Unione europea, che ha a sua volta un mese di tempo, di dare il definitivo via libera.

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Visto il continuo dialogo tra l’Italia e l’Ue nelle ultime settimane, l’approvazione della Commissione Ue dovrebbe essere, salvo sorprese, una formalità. Secondo indiscrezioni stampa, il 18 giugno potrebbe essere la prima data utile per avere buone notizie da Bruxelles, con l’ipotesi di ricevere entro l’estate circa il 13% delle risorse europee, ossia 25 miliardi (ricordiamo che il primo paese ad aver inviato il suo piano nazionale è stato il Portogallo, il 22 aprile). 

Ogni sei mesi poi l’Italia potrà presentare all’Ue la richiesta dei pagamenti per il PNRR, che saranno subordinati al raggiungimento degli obiettivi. Se a piano avviato la Commissione dovesse ritenere che il nostro paese non stia facendo abbastanza, potrebbe sospendere una parte dei contributi, se non tutti. Un’eventualità, oggi, che nessuno pensa di prendere in considerazione, anche solo in via teorica. 

Immagine in anteprima via Commissione Ue

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