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Cosa c’è da sapere sul Recovery plan, il piano al centro della crisi di governo

2 Febbraio 2021 17 min lettura

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Cosa c’è da sapere sul Recovery plan, il piano al centro della crisi di governo

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di Carlo Canepa

Da settimane il Recovery plan italiano è al centro del dibattito pubblico e politico del nostro paese. 

Da un lato, il leader di Italia Viva Matteo Renzi lo brandisce di continuo, per giustificare l’apertura della crisi di governo. Secondo l’ex presidente del Consiglio, il piano con cui diremo all’Europa come intendiamo spendere gli oltre 200 miliardi di euro di aiuti comunitari ha troppi difetti e va migliorato. Proprio Italia Viva, a fine dicembre, aveva presentato "CIAO 2030" (acronimo che sta per "Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità"), un piano con alcune proposte alternative su come investire le risorse del Recovery plan (che, come vedremo, sono in parte state poi recepite). Tra le varie cose, Renzi ha chiesto più soldi sulla cultura e i giovani, ma anche l’accesso agli aiuti del Mes per la sanità. 

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Dall’altro lato, gli altri partiti della maggioranza del governo Conte II – concordi sull’idea di trovare miglioramenti – citano la necessità di fare in fretta e bene sul Recovery plan proprio per criticare l’apertura della crisi, ritenuta inopportuna.

Al di là del giudizio sull’attuale situazione politica del nostro paese e di come si risolverà nelle prossime ore, una cosa è certa: il Recovery plan resterà a lungo tra le priorità di chi si troverà a governare l’Italia nei prossimi mesi. Per questo, abbiamo realizzato questo manuale di conversazione per conoscere tutti i punti più importanti su questo tema e per affrontare in maniera informata eventuali confronti con amici, conoscenti o estranei, sui social o meno. 

Vediamo dunque, in sette domande e risposte, che cos’è questo Recovery plan, quali sono le cifre e i contenuti in gioco, e quali elementi stanno generando maggiore dibattito.

  1. Che differenza c’è tra Recovery fund e Recovery plan?

Partiamo da una questione che a prima vista sembra solo terminologica, ma che in realtà è molto importante per capire di che cosa stiamo parlando: la differenza di significato tra Recovery fund e Recovery plan. Troppo spesso, infatti, i mezzi di informazione e i politici italiani utilizzano questi due termini come fossero sinonimi, creando non poca confusione.

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Il Recovery fund è il nome improprio con cui ormai da mesi si fa riferimento al Next Generation Eu, ossia un pacchetto di risorse da 750 miliardi di euro, la cui creazione è stata concordata a luglio 2020 dai 27 Stati membri dell’Ue per far fronte alla crisi economica causata dal coronavirus. Di questi 750 miliardi, 360 saranno distribuiti ai paesi sotto forma di prestiti da restituire (i cosiddetti loans), e 390 sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto (i cosiddetti grants).

Il nome Recovery fund viene da una proposta fatta a maggio 2020 da Francia e Germania per la creazione di un fondo per la ripresa, poi utilizzato come sinonimo nei mesi dopo per il Next Generation Eu

La parte più consistente dei 750 miliardi del Next Generation Eu è composta dal Recovery and resilience facility (in italiano “Dispositivo per la ripresa e la resilienza”), un fondo da 672,5 miliardi di euro. Le restanti risorse del Next Generation Eu sono distribuite tra altri fondi, il più consistente dei quali è il React-Eu.

La suddivisione del Next Generation Eu. Fonte: Commissione Ue

Il Recovery plan è invece il nome con cui comunemente viene chiamato il piano con cui l’Italia dovrà dire all’Europa come spenderà gli oltre 200 miliardi di euro destinati al nostro paese (saremo quelli che riceveranno più soldi di tutti dall’Ue, ma sulle cifre precise ci torneremo più avanti). Il nome ufficiale del piano italiano è “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr).

In base agli accordi europei, ogni Stato membro è tenuto a presentare i suoi piani nazionali per ricevere le risorse del Recovery and resilience facility, ma in concreto i vari piani di ripresa nazionali – come quello italiano – contengono anche altre risorse.

Ricapitolando: il Recovery fund indica l’insieme degli aiuti europei messi in campo per far fronte alla crisi; il Recovery plan indica il piano con cui ogni Stato membro spiega all’Ue come intende spendere i soldi che gli spettano. 

  1. A che punto è il Recovery plan

Cerchiamo adesso di capire come siamo messi con la consegna del nostro piano, prima di addentrarci nei dettagli sui contenuti. Negli scorsi mesi, a partire dall’autunno, si è infatti spesso sentito dire che l’Italia era in ritardo con la consegna del suo Recovery plan. Ma le cose sono più articolate di così. 

Mettiamo un primo punto fermo: la data di scadenza per la consegna dei piani. Il 22 dicembre, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Ue hanno raggiunto un accordo provvisorio sul regolamento del Recovery and resilience facility, che lo scorso 11 gennaio è stato approvato dalle Commissioni Bilanci e Affari economici e monetari del Parlamento europeo. Quest’ultimo darà molto probabilmente il suo sì definitivo al regolamento nella plenaria dall’8 all’11 febbraio 2021; poi arriverà l’ok del Consiglio dell’Ue.

In base agli accordi europei fin qui presi, i vari Recovery plan vanno consegnati in via ufficiale entro il 30 aprile 2021. Tra l’altro, il regolamento dice che questa scadenza è «as a rule», ossia “in linea di massima”: dunque ha una certa flessibilità. Ma più tardi è consegnato un piano, più tardi sarà approvato, e meno tempo si avrà per metterlo in pratica.

Al di là di questa considerazione, abbiamo quindi ancora a disposizione tre mesi per consegnare il nostro Recovery plan all’Europa. Le accuse di ritardi però, arrivate in passato al governo italiano, hanno riguardato non il piano definitivo, ma le sue bozze preparatorie.

A settembre 2020, il governo ha presentato in Parlamento le linee guida per la realizzazione del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, approvate dalle camere il mese successivo. Da lì è partita la stesura vera e propria del piano italiano e sono iniziate le accuse di ritardo. La Commissione Ue ha infatti invitato i singoli paesi a mandare le bozze dei loro piani a partire dal 15 ottobre, ma le agitazioni all’interno del governo italiano non preannunciavano una stesura, per così dire, “pacifica” del nostro Recovery plan

Dopo una serie di bozze rese pubbliche dai giornali, il 12 gennaio il Consiglio dei ministri ha approvato la proposta di “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che ora è all’esame del Parlamento. Il governo ha detto che terrà conto delle indicazioni provenienti da Camera e Senato per migliorare e integrare il piano, prima di consegnarlo in via ufficiale all’Ue.  

Una volta inviato il nostro Recovery plan, la Commissione Ue ha due mesi di tempo per valutarlo (sui criteri di valutazione ci torneremo meglio più avanti), per poi mandare una proposta di esecuzione al Consiglio dell’Ue, che entro un mese potrà approvarlo a sua volta a maggioranza qualificata. Dalla consegna del piano alla sua approvazione da parte dell’Ue, dunque, potrebbero passare fino a tre mesi.

Lo scorso 21 gennaio, il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni aveva dichiarato che a quella data l’Italia era una dei 17 paesi Ue ad aver inviato una bozza del proprio piano, mentre i restanti 10 paesi avevano inviato poco o nulla.

Ricapitolando: al momento, l’Italia è ancora dentro la data di scadenza per consegnare il proprio Recovery plan. Ma la crisi di governo potrebbe rendere più accidentato il percorso, se non dovesse risolversi in breve tempo.

  1. Che cosa c’è nel Recovery plan dell’Italia? 

Veniamo adesso all’oggetto della discordia all’interno del governo dimissionario, analizzando che cosa c’è scritto nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (qui il testo ufficiale) approvato dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio e ora all’esame del Parlamento. Ricordiamo che si tratta di una proposta – o “bozza”, come la chiamano i politici e i mezzi di informazione – e che dunque il testo subirà molto probabilmente diverse modifiche. Per non parlare di quelle che potrebbero essere indicate dall’Ue in sede di valutazione.

Partiamo dalle cifre in campo, molto ingenti: in totale il Pnrr italiano contiene risorse per circa 310 miliardi di euro. Di questi, quasi 224 miliardi di euro vengono dalle risorse del Next Generation Eu, così divisi: circa 210 miliardi dal Recovery and resilience facility – e circa 14 miliardi dal fondo ReactEu [1]. Le altre risorse contenute dal Pnrr provengono dagli altri fondi europei previsti per il nostro Paese per il settennio 2021-2027.

Concentriamoci sui quasi 224 miliardi di risorse del Next Generation Eu, che riceveremo entro il 2026 (e che dovremo restituire tra il 2027 e il 2058). Il Pnrr li suddivide su sei “Missioni”: sono le aree tematiche con gli interventi strutturali del piano e vanno dalla digitalizzazione alla salute, passando per le infrastrutture e la rivoluzione verde.

Tabella 1: risorse del Pnrr divise per missioni e componenti. Fonte: Pnrr

Per quanto riguarda i soldi del Recovery and resilience facility, circa 66 miliardi saranno destinati a interventi “in essere”, ossia a misure già messe in campo dal governo o contenute nei vari provvedimenti approvati negli scorsi mesi (tra i più discussi, per esempio, c’è il cosiddetto cashback). Poco più di 145 miliardi saranno invece destinati a interventi “nuovi” (circa il 70%), e tra questi ci sono i quasi 69 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto destinati al nostro paese. 

Come si vede dalla Tabella 1, la missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” è quella con più risorse, il 31% sul totale del Next Generation Eu, seguita da quella su “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”. 

Ogni missione è a sua volta divisa in varie componenti (in totale sono 16) e poi in linee di intervento (in totale sono 48). Per esempio, la componente “Politiche del lavoro” – nella missione “Inclusione e coesione” – ha al suo interno sette linee di intervento, tra cui la “Fiscalità di vantaggio per il lavoro al sud e nuove assunzioni di giovani e donne” e il “Sostegno all'imprenditoria femminile”.

Districarsi tra le varie missioni, componenti e linee di intervento non è semplice, così come è difficile stabilire quanti soldi sono destinati a singole voci, come la parità di genere, i giovani e il Sud. Queste sono infatti le tre priorità trasversali su cui si articola il Pnrr. Ai giovani, per esempio, andranno risorse come quelle per l’istruzione e la ricerca o l’inclusione e la coesione. 

Va inoltre aggiunto che, oltre a singoli interventi, il Pnrr contiene una serie di promesse su riforme «di contesto» che il nostro paese deve adottare ormai da anni per migliorare, tra le altre cose, la produttività e la sburocratizzazione. Parliamo, per esempio, della riforma della giustizia e del sistema tributario, e dell’aumento della lotta all’evasione fiscale.

Al di là della reale fattibilità di queste riforme, le decine di miliardi del Pnrr sono suddivise in maniera congrua tra le varie voci di spesa oppure no? Qui la questione si fa più complessa. Da un lato, subentra inevitabilmente il giudizio politico: detta in parole semplici, alcuni partiti hanno a cuore alcuni interventi e puntano a stanziarci sopra più risorse. Dall’altro lato, bisogna però tenere conto anche del giudizio tecnico della valutazione dei piani, ossia dei vincoli da rispettare.

Vediamo brevemente il primo elemento, per poi passare al secondo.

  1. Perché si è parlato tanto delle bozze? 

Come abbiamo accennato in precedenza, l’approvazione della proposta di Pnrr da parte del Consiglio dei ministri è arrivata il 12 gennaio, dopo settimane di discussioni all’interno della maggioranza. Prima della versione definitiva del testo, ora all’esame del Parlamento, erano infatti circolate diverse altre bozze, frutto della dialettica all’interno della maggioranza. 

La prima bozza del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” è iniziata a circolare a inizio dicembre scorso, mentre un’altra versione è stata resa pubblica da alcuni quotidiani alla fine del 2020. Dopo alcuni giorni, il 7 gennaio, i partiti della maggioranza hanno ricevuto un testo intitolato “Linee di indirizzo per la bozza da sottoporre al CdM”, che conteneva «una sintesi delle attività di rielaborazione della bozza di Piano nazionale di ripresa e resilienza». Qui si riassumeva il lavoro di confronto fatto tra i vari partiti del governo Conte II per trovare un punto di incontro sui contenuti del Pnrr, poi approvato il 12 gennaio, con l’astensione di Italia viva. Nonostante l’approvazione, infatti, Renzi ha deciso comunque di continuare con la crisi di governo, che ha portato il 26 gennaio alle dimissioni di Conte.

Rispetto alle bozze circolate a inizio dicembre, il Pnrr è in parte stato modificato. Per esempio, un cambio ha riguardato l’aumento degli impieghi delle risorse per nuovi interventi (arrivando al 70% visto prima). Su questo punto, Renzi si era parecchio lamentato perché con il programma "CIAO 2030" voleva maggiori risorse per progetti “nuovi”, ma qui subentra un problema di tipo finanziario. Va sottolineato infatti che una parte dei soldi europei verrà stanziata per interventi già previsti per questioni, per così dire, di convenienza sul debito pubblico. I prestiti del Recovery and resilience facility hanno infatti condizioni economiche più vantaggiose di quelli che l’Italia può ottenere sui mercati. In concreto, il nostro Paese utilizzerà i soldi europei per sostituire parte dei prestiti che avrebbe contratto per finanziare misure già in essere, non aumentando così i livelli di indebitamento a livelli  troppo rischiosi.

Un’altra modifica ha riguardato i soldi per la sanità arrivati a quasi 20 miliardi nel Pnrr del 12 gennaio (vedi Tabella 1 sopra), rispetto ai circa 15 miliardi della bozza precedente. Spesso si è sentito ripetere che le prime versioni del Pnrr destinassero solo 9 miliardi alla sanità, ma questa cifra non teneva conto delle risorse stanziate per l’edilizia ospedaliera.

Secondo Renzi, il Pnrr sarebbe sì migliorato, ma le modifiche non sarebbero state sufficienti: da qui la crisi di governo. Gli ex alleati di governo, dal Movimento 5 stelle al Partito democratico, hanno invece sottolineato come le richieste di Italia Viva siano state in parte accontentate, nello spirito di migliorare collegialmente il testo del piano.

Riprendendo la domanda fatta in precedenza, non è possibile stabilire con nettezza e in maniera oggettiva se gli stanziamenti tra le varie voci del Pnrr siano congrui o meno: questo resta, come è evidente, un giudizio politico, e rientra proprio nella dialettica politica tra le forze che sostengono il governo decidere quali investimenti privilegiare.

Ma queste decisioni non possono fare a meno di tenere conto dei vincoli che l’Ue ci impone per ricevere le risorse del Next Generation Eu. E qui subentrano gli aspetti tecnici.

  1. Che cosa ha detto l’Europa?

Come abbiamo visto prima, una volta inviato il nostro piano all’Europa, tocca alla Commissione Ue valutarlo, sulla base di una lista di criteri (qui la lista completa). Semplificando: l’Ue valuterà la pertinenza, l’efficacia, l’efficienza e la coerenza del Pnrr italiano, dandogli poi un voto da A (il più basso) a C (il più alto).  

Tra le varie cose, la Commissione stabilirà se il nostro piano, per esempio, rispetta le raccomandazioni che l’Ue ha fatto all’Italia per riformare il sistema paese, oppure se contribuisce davvero a far crescere la nostra economia e l’occupazione. Alcuni criteri (per esempio, l’effettivo contributo alla transizione verde e digitale) hanno un peso maggiore degli altri nella valutazione finale.

Al di là di questo, va sottolineato che sin dallo scorso autunno l’Italia ha avviato un dialogo costante e informale con le autorità europee per la stesura del suo Recovery plan (qui, qui e qui sono scaricabili le linee guida più aggiornate dell’Ue per la realizzazione dei piani nazionali). 

Negli scorsi giorni, sono circolate alcuni commenti delle autorità europee su quanto inviato finora, in via informale, dal nostro paese. Per esempio, il 18 gennaio il commissario Gentiloni ha detto che il Recovery plan italiano «è ampiamente convergente con i nostri obiettivi e politiche generali, ma come molti altri deve essere discusso e rafforzato dal punto di vista delle riforme, delle raccomandazioni Ue, dei dettagli sul calendario e degli obiettivi che vogliamo raggiungere». «Abbiamo una base molto buona ma dobbiamo lavorare per rafforzarla, non vale solo per l’Italia ma per tutti», ha poi aggiunto Gentiloni.

Dunque, per il momento, è esagerato dire come hanno fatto alcuni politici – tipo il segretario della Lega Matteo Salvini – che l’Europa ha già «bocciato» il nostro Recovery plan. Ma è innegabile che ci siano ancora parecchie lacune, colmabili – si spera – nei prossimi giorni con l’intervento del Parlamento e con i confronti tra il governo dimissionario e le parti sociali, come sindacati e associazioni di categoria.

Serve infatti più chiarezza su come l’esecutivo – qualunque sia il sostituto del Conte II – intenda raggiungere gli interventi contenuti nel piano. Alcuni critici del Pnrr, per esempio, hanno sottolineato una forte carenza per quanto riguarda la stima del ritorno economico degli investimenti. Il Recovery plan approvato il 12 gennaio ha qualche pagina dedicata proprio all’impatto che le decine di miliardi europei avranno sulla crescita del PIL italiano, ma a livello abbastanza generale e vago, mentre l’Ue richiede target e scadenze più dettagliate per ogni singola voce.

Impatto del Pnrr sul Pil in scostamenti percentuali rispetto allo scenario base. Fonte: Pnrr

Altre criticità sul nostro Recovery plan sono state di recente sollevate dai tecnici del Parlamento, chiamati ad analizzare in un dossier tutte le cifre tra le pieghe del piano. In breve: il Servizio studi di Camera e Senato ha fatto notare che bisognerà molto probabilmente trovare delle risorse aggiuntive, oltre a quelle europee, per coprire tutti gli investimenti previsti dal Pnrr. Questo potrebbe comportare il rischio di far aumentare ancora di più l’indebitamento del nostro paese, che è già cresciuto moltissimo a causa dell’emergenza coronavirus. Il Ministero dell’Economia è però intervenuto sul tema, dicendo che in realtà questo rischio sarebbe per il momento infondato.

Secondo alcuni corrispondenti italiani da Bruxelles e Berlino, anche Francia e Germania avrebbero inoltre ricevuto critiche da parte dell’Ue sulle bozze di piano che hanno inviato alle autorità europee.

  1. Che fine ha fatto la task force per il Recovery plan?

Un altro punto da chiarire, per rispettare le indicazioni date dalla Commissione Ue, riguarda la cosiddetta governance del Recovery plan, ossia la creazione di una struttura di monitoraggio che vigili su come vengono spese le risorse del Next Generation Eu. Questa struttura è infatti prevista dagli accordi europei ed è stata al centro di aspri scontri nella maggioranza del governo Conte II nel mese di dicembre.

All’epoca, diverse fonti stampa avevano infatti riportato l’intenzione da parte dell’esecutivo di introdurre con un emendamento alla legge di Bilancio per il 2021 la creazione di una task force per monitorare l’applicazione del Recovery plan. L’intenzione iniziale di Conte sarebbe stata quella di creare una cabina di regia, composta dalla presidenza del Consiglio, dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd) e da quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5s). Il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola sarebbe dovuto essere il referente di questa struttura con la Commissione Ue. Le sei missioni del Pnrr sarebbero dovute invece essere gestite da sei manager, a capo di una task force con un numero non precisato di tecnici. Questa ipotesi è poi naufragata, anche per le proteste di Italia Viva.

Come spiega un dossier del Parlamento, il governo si è comunque impegnato a presentare al Parlamento, «sulla base delle linee guida europee per l’attuazione del piano», un modello di governance che, tra le altre cose, monitori i progressi di avanzamento della spesa del Pnrr. La crisi di governo ha, per il momento, congelato questa decisione, che potrebbe essere presa anche con un decreto-legge.

Che cosa hanno deciso di fare in questo senso gli altri grandi paesi Ue? La risposta è: dipende. Per esempio, in Spagna il controllo del piano nazionale di ripresa fa capo al primo ministro socialista Pedro Sánchez, mentre in Francia e Germania il coordinamento e la gestione operativa sono in mano ai ministeri dell’Economia e delle Finanze.

Ricordiamo che la questione del monitoraggio e della realizzazione del piano è un tema fondamentale del dibattito di questi giorni, non solo perché ce lo chiede l’Europa. Da un lato, l’Italia sarà infatti il Paese Ue che riceverà più soldi dal Next Generation Eu; dall’altro lato, il nostro paese è spesso criticato di non essere in grado di spendere tutti i fondi che le arrivano ogni anno dall’Ue. Per esempio, nel settennio 2014-2020, l’Italia ha speso il 43% dei fondi europei, contro una media Ue del 50%. 

Senza tralasciare il fatto che, oltre ai singoli interventi, servirà adottare anche le riforme promesse. Nell’eventualità che il Pnrr venga approvato dall’Ue, ci sarebbe inoltre un continuo controllo da parte delle istituzioni comunitarie per verificare che gli impegni presi dall’Italia siano rispettati, pena la sospensione dell’erogazione dei fondi.

  1. Che cosa succede ora? 

Ad oggi, l’Italia non ha ancora un nuovo governo e non è chiaro se il mandato esplorativo ricevuto dal presidente della Camera Roberto Fico si tradurrà in un terzo governo Conte, con una maggioranza più o meno identica a quella del Conte bis.

In ogni caso, l’attuale governo dimissionario rimane in carica per il “disbrigo degli affari correnti”: il suo mandato politico è stato fortemente ridotto, ma può ancora approvare, per esempio, i decreti-leggi o provvedimenti per far fronte all’emergenza. Parallelamente, anche l’attività legislativa di Camera e Senato è limitata principalmente all’esame dei decreti da convertire in legge, mentre nelle commissioni si sta discutendo proprio sul testo del Recovery plan. Una volta terminato l’iter – non si hanno scadenze a proposito – il Parlamento approverà delle risoluzioni di cui il governo ha detto che terrà conto per migliorare il Pnrr.

Alla fine di tutto, dunque, molto del destino a breve termine del Pnrr dipenderà comunque dal prossimo esecutivo, che difficilmente potrà stravolgere il piano avviato. Un suo totale ripensamento vorrebbe dire altro tempo da investire per la sua stesura e un nuovo dialogo informale con le autorità europee, mentre la scadenza di fine aprile si avvicina.

Movimento 5 stelle, Partito democratico e Liberi e uguali hanno più volte dato il proprio sostegno all’attuale Pnrr, riconoscendo la necessità di migliorarlo, mentre Italia Viva resta ancora fortemente critica e ha messo il Recovery plan tra i «contenuti» su cui si deve discutere per poter riformare una maggioranza di governo (nonostante le numerose modifiche concessele nelle ultime settimane).

Da alcuni giorni, il leader della Lega Matteo Salvini ripete che il centrodestra sarebbe al lavoro per presentare un proprio Recovery plan, ma per il momento non è stato pubblicato ancora nessun testo ufficiale. Salvini, ma anche altri esponenti dell’opposizione, hanno più volte criticato i soldi europei per la ripresa, dicendo che hanno delle condizioni molto forti, per esempio il rispetto delle regole europee sui vincoli di bilancio. È vero, come ha spiegato Pagella Politica, che il regolamento per il Recovery and resilience facility «lega l’erogazione dei fondi al rispetto delle regole fiscali europee, ma questo avveniva e avviene anche per tutti gli altri principali fondi del bilancio Ue». Inoltre, queste regole fiscali – previste dal cosiddetto “Patto di stabilità” – rimarranno sospese per tutto il 2021, e forse anche per il 2022, e non è vero che una loro violazione comporterà in automatico politiche di austerità su pensioni o tasse.

Come abbiamo accennato in precedenza, nella plenaria dell’8-11 febbraio 2021 il Parlamento europeo molto probabilmente approverà il regolamento del Recovery and resilience facility, e dopo arriverà l’ok del Consiglio dell’Ue. Poi entro il 30 aprile, ogni giorno sarà valido per la consegna ufficiale del piano nazionale all’Ue, e per dare il via al percorso di valutazione e di eventuale approvazione. Senza dimenticarsi che l’impiego di una buona parte delle risorse europee è già stato previsto dall’ultima legge di bilancio, oltre 121 miliardi tra il 2021 e il 2023. 

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[1] Come spiega un dossier del Parlamento, il Pnrr contiene risorse riconducibili al Recovery and resilience facility per quasi 211 miliardi di euro, oltre 14 miliardi in più rispetto ai circa 197 miliardi di euro previsti per l’Italia da questo fondo. Il Pnrr motiva questa eccedenza con due considerazioni: da un lato, la possibilità che «una parte degli interventi sia finanziato da risorse private, generando un effetto leva che ridurrebbe l’impatto sui soldi della Pubblica amministrazione»; dall’altro lato,  «l’opportunità di sottoporre al vaglio di ammissibilità della Commissione europea un portafoglio di progetti più ampio di quello finanziabile, per costituire un “margine di sicurezza” che garantisca il pieno utilizzo delle risorse europee anche nell’eventualità che alcuni dei progetti presentati non vengano approvati».

Foto in anteprima via Ansa

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