Il razzismo in Serie A è ancora all’anno zero
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Deve esistere, da qualche parte, un manuale segreto di come non ci si comporta davanti a episodi di discriminazione, e nell’ambiente del calcio italiano devono averlo letto tutti. L’episodio di Francesco Acerbi e Juan Jesus è purtroppo solo l’ennesima conferma di un sistema che, nonostante i numerosi precedenti, sembra reagire ogni volta come se fosse la prima.
Il razzismo nel calcio non riguarda solo l’Italia. La differenza però sta nella risposta
La giornata di lunedì 18 marzo è stata esemplare, da questo punto di vista. Mentre la polemica attorno all’epiteto razzista che sarebbe stato rivolto dal difensore dell’Inter all’avversario brasiliano andava avanti dalla sera precedente, nella mattinata l’agente di Acerbi, Federico Pastorello, interveniva al TransferRoom Summit di Roma sostenendo che in realtà non c’era stato alcun insulto razzista, e che la vicenda era stata “riportata male”. Nel primo pomeriggio, la FIGC annunciava l’esclusione del giocatore dalla Nazionale, impegnata in questi giorni in un paio di amichevoli negli Stati Uniti. Una decisione presa “per garantire la necessaria serenità alla Nazionale e allo stesso calciatore”, e non per il contenuto delle offese rivolte all’avversario: anzi, la Federazione chiariva che, dopo il colloquio con Acerbi, questi aveva spiegato che non c’era stato, da parte sua, “alcun intento diffamatorio, denigratorio o razzista”. E qui il primo dubbio: Pastorello nega l’uso esplicito di una parola razzista, mentre nel comunicato della FIGC si fa riferimento all’intento, non al termine.
Cosa sia successo esattamente domenica sera durante Inter-Napoli lo sanno, per adesso, solamente tre persone: Acerbi, Juan Jesus e l’arbitro della partita, Federico La Penna. A lui, intorno all’ora di gioco, il difensore del Napoli è andato a segnalare di aver ricevuto un’offesa dall’avversario. Il video, circolato molto sui social, non ci fa sentire cosa ha detto Juan Jesus, ma il labiale sembra inequivocabile, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo della cosiddetta “n-word”. A ribadire che di mezzo c’era un insulto razzista, il giocatore indicava all’arbitro il logo della campagna antirazzista della Serie A che porta sulla maglietta. La Penna aveva poi richiamato Acerbi, il quale si era scusato con l’avversario. Una circostanza confermata dallo stesso Juan Jesus a fine partita ai microfoni di DAZN, durante un’intervista in cui si è limitato a dire che il nerazzurro era andato “un po’ oltre con le parole”.
Per quasi tutta la giornata di lunedì, nessuno ha parlato espressamente di un caso di razzismo se non per negarlo e ridurre tutto a una questione di campo. Anche il Napoli era rimasto criptico, pubblicando sui social un video contro il razzismo, ma senza fare alcun esplicito riferimento a quanto avvenuto la sera prima. Si attendeva probabilmente che si esprimesse il Giudice Sportivo, chiamato a sentire di sicuro i due giocatori e anche il direttore di gara. Il rischio, per Acerbi, è quello di una squalifica di 10 giornate (che significa non scendere più in campo da qui alla fine del campionato), ma cosa succederebbe con la Nazionale, con cui Acerbi dovrebbe disputare gli Europei della prossima estate? E soprattutto: si può definire equa una squalifica di 10 turni a un calciatore per un simile episodio, quando la stessa cosa, se fatta da un tifoso, comporta un Daspo di 5 anni?
L’Inter, che da tempo si pone come un club in prima linea nella lotta al razzismo, ha emesso il suo comunicato nel primo pomeriggio di lunedì. Vale a dire 16 ore dopo la fine della partita contro il Napoli: un ritardo che non può non fare pensare alla stessa tardiva reazione dell’Udinese in seguito agli insulti razzisti rivolti da alcuni suoi tifosi nei confronti del portiere del Milan Mike Maignan, lo scorso gennaio. Il comunicato del club nerazzurro è piuttosto breve, e dice solamente che la società avrà “quanto prima un confronto con il proprio tesserato” per fare luce sulla vicenda. E qui emerge un altro problema. Il video di Juan Jesus che si lamenta con La Penna ha iniziato a circolare online già durante la partita; al termine dell’incontro, non solo al brasiliano, ma anche agli interisti Dimarco e Inzaghi è stato chiesto cosa fosse successo tra Acerbi e il giocatore del Napoli. Al momento in cui la squadra nerazzurra ha lasciato San Siro, il caso era già scoppiato e tutti i media ne stavano parlando: com’è possibile che il pomeriggio successivo il club ancora non avesse saputo dal proprio tesserato la sua versione dei fatti? Un paradosso ancora più grande è che, mentre l’Inter era all’oscuro di tutto, Acerbi si era già spiegato con il suo agente, con il ct e i suoi compagni di Nazionale.
A livello comunicativo, al momento nessuno ne sta uscendo bene. Tutte le parti coinvolte hanno o negato o preso tempo, invece di affrontare l’argomento, come se fossero stati tutti colti in controtempo da quanto accaduto e dal clamore che ne è seguito. Non aiuta il fatto che lo scorso turno di Serie A fosse dedicato appositamente alla nuova campagna contro il razzismo del calcio italiano: quello che potrebbe essere uno degli episodi discriminatori più gravi della storia recente - perché commesso da un tesserato - è avvenuto proprio nel giorno in cui soprattutto le persone in campo avrebbero dovuto portare un messaggio completamente opposto. Ma c’è in generale anche un sistema dell’informazione che sta fallendo: in questa galassia di inviati e insider, sempre a contatto diretto con dirigenti e giocatori e pronti a far trapelare qualsiasi indiscrezione, nessuno - né dall’Inter, né dal Napoli, né dall’Italia - è riuscito a dare conferma del tipo di offesa di cui per 24 ore si è discusso.
Acerbi, rientrando a Milano nella serata di lunedì dal ritiro dell’Italia, ha confermato di non aver pronunciato alcuna frase razzista, aggiungendo che il brasiliano aveva “frainteso” le sue parole. A quel punto la palla si è spostata necessariamente tra i piedi di Juan Jesus, chiamato implicitamente a confermare o smentire la versione dell’avversario, che stava passando dalla parte della vittima (la persona fraintesa) dopo essere inizialmente stato in quella del colpevole. E il difensore del Napoli ha risposto, in serata sul suo profilo Instagram, dicendo ciò che la maggior parte delle persone aveva immaginato fin da subito. L’insulto razzista c’è stato, ed è stata proprio la "n-word" che si percepiva dal video. Così come ci sono state le scuse e pure un’aggiunta altrettanto discutibile da parte del giocatore dell’Inter: “per me ne*ro è un insulto come un altro”.
Un frase, quest’ultima, che apre un ulteriore capitolo: è stata riferita in questo modo anche alla FIGC, facendo scaturire un comunicato che provvidenzialmente parlava di “intento” e non di “parole”? Perché se così fosse, la questione si allargherebbe, andando ben oltre il solo Acerbi: chi ha sentito quelle parole e ha pensato di redigere quel comunicato - il Commissario Tecnico Spalletti sostiene che il suo pensiero è “racchiuso” nella nota della Federazione - non dovrebbe poter continuare a ricoprire le sue attuali cariche nel calcio italiano. In gioco, qui, c’è l’immagine stessa di questo sport nel nostro paese, specialmente quella che viene mostrata all’estero, dove è già purtroppo ben radicata l’idea che la Serie A sia il campionato più razzista d’Europa. Quello in cui si verificano gli episodi più frequenti, in cui le punizioni sono le più leggere e contraddittorie, in cui le stesse istituzioni sono parte diretta del problema (ricordiamo il caso della campagna delle tre scimmie del 2019). Se per chi gestisce questa azienda da 5 miliardi di euro all’anno la prospettiva sociale conta poco, dovrebbero importare almeno le ricadute commerciali di un brand la cui immagine è sempre più discutibile.
Nell'ambito dell'iniziativa Valigia Blu Live, Gian Marco Duina (attivista e fondatore Hopeball), Valerio Moggia (giornalista sportivo) e Marialaura Scatena (giornalista sportiva femminista) interverranno il 21 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia nell’evento “Calcio e discriminazioni”.
Immagine in anteprima: frame video via repubblica.it