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Razan Ghazzawi, blogger e attivista per i diritti umani: restare o partire? #SiriaICare

11 Novembre 2012 3 min lettura

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Razan Ghazzawi, blogger e attivista per i diritti umani: restare o partire? #SiriaICare

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Un paese non è un albergo da abbandonare quando il servizio non è all'altezza - continueremo

La situazione in Siria è in costante peggioramento. Bombardamenti, combattimenti, stragi provocano migliaia di morti. Quotidianamente perdono la vita almeno 150, 200 persone.

Razan Ghazzawi, blogger siro-americana e attivista per i diritti umani, arrestata due volte per aver denunciato ciò che accade in Siria, ha lasciato il paese il 6 ottobre scorso. Non sa se ritornerà e quando. Come lei sono tanti a chiedersi cosa fare: restare, nonostante tutto, o partire?

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di Razan Ghazzawi @RedRazan 

 Partire o non partire, sembra essere il problema.“La battaglia è giunta ad una fase estremamente difficile; chi cadrà per primo?”, Bassel Shehada, vittima dei combattimentiL’argomento più diffuso per le strade della Siria è la partenza di tutti: famiglie, uomini d’affari e, soprattutto, attivisti. Questo problema ha raggiunto un punto in cui molti in Siria sono sempre più arrabbiati con gli amici che sono partiti o che stanno considerando l’idea di abbandonare la rivoluzione in un momento difficile. Alcuni paragonano l’idea di partire ad un tradimento verso la Siria.“Cerchiamo di non prenderci in giro, quelli che stanno lasciando la Siria hanno buone conoscenze o provengono da famiglie benestanti. L’economia siriana si sta sgretolando, se puoi acquistare un biglietto e spendere soldi in qualche altro paese, significa che sei abbastanza ricco per farlo”, dice Somayya, i cui amici stanno partendo uno dopo l’altro, fuggendo dalle campagne detentive del regime.“Il regime sta deliberatamente spingendo i giovani a partire, i nomi di alcuni attivisti, presenti nella lista dei ricercati, sono scomparsi. Il regime sta lasciando trapelare i nominativi di migliaia di attivisti ricercati per impaurirli e spingerli a considerare la fuga.  È proprio perché il regime vuole che partiamo che, credo, dovremmo rimanere. Penso che anche il solo restare significhi resistere”, dice Sumayya con voce tranquilla, aggiungendo “partire significa essere sconfitto”.Anche Maya, un’amica di Sumayya, rifiuta di lasciare la Siria in questo momento critico: “Non sto neanche considerando l’idea di partire, perché dovrei? Sì, è pericoloso e la situazione sta peggiorando, ma questo è esattamente il motivo per cui dovrei restare. Devo essere attenta, guardarmi alle spalle, avere sempre un soprannome e utilizzare software che mi garantiscano l’anonimato, e se qualcosa va male, bene. Penso che è così che deve andare”.

Ismail ha 20 anni ed è partito per il Libano dieci mesi fa, dopo che il suo nome era emerso  durante gli interrogatori di alcuni suoi amici in prigione. Gli ho chiesto come si senta ad essere un rivoluzionario lontano da casa. Ha risposto così: “Ogni volta che mi ubriaco sogno di tornare, quando sono sobrio ho motivi ragionevoli per pensare che non dovrei. Mi sento in colpa; più violento diventa il regime, più mi sento in colpa verso chi muore. Penso che le difficoltà uniscano le persone; se sei sotto un bombardamento, ti ricordi costantemente perché questa rivoluzione è iniziata. Non poter testimoniare questa violenza, o provarla direttamente, ti ricorda chi sei: un rivoluzionario in fuga”.

Ho chiesto ad Ismail perché si senta in colpa essendo fuggito solo per proteggersi e mi ha risposto: “Ho voluto questa rivoluzione, ci ho creduto molto tempo prima del suo inizio, e poi sono partito, lasciando la gente morire”.

Partire o non partire, rimane il problema per molti attivisti, molti dei quali combattono per arrivare ad una risoluzione. Posso andare avanti con la mia vita mentre decine di persone muoiono ogni giorno? Posso avere un lavoro, una nuova vita, quando molti giovani sono stati uccisi per aver osato costruire un futuro a casa? C’è una casa altrove?

Termino il mio articolo con queste domande e con i versi di Mahmoud Darwish:

Ho dato la mia foto alla mia amata:

“Se muoio, appendila al muro.”

Mi ha chiesto: “C’è un muro per appenderla?”

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Ho risposto: “Costruiremo un muro.”

“Dove, in quale casa?”

“Costruiremo una casa.”

“Dove, in quale luogo dell’esilio?

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