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Razzismo e intolleranza nelle forze dell’ordine italiane: le reazioni al rapporto ECRI dimostrano quanto il problema sia reale

25 Ottobre 2024 9 min lettura

Razzismo e intolleranza nelle forze dell’ordine italiane: le reazioni al rapporto ECRI dimostrano quanto il problema sia reale

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Le forze dell’ordine italiane – così come quelle di altri paesi – commettono abusi a sfondo razziale.

Questo dato di fatto emerge da svariati racconti, rapporti e processi. Due recenti esempi su tutti: il caso della caserma Levante di Piacenza, clamorosamente sequestrata nel luglio del 2020. Le vittime delle torture per cui cinque carabinieri sono stati condannati in via definitiva erano, in particolare, straniere e migranti.

Nelle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione si parla poi di "un vero e proprio metodo collaudato per compiere plurimi arresti e sequestri di droga. È emblematica la circostanza che tali attività fossero conosciute all’interno della Caserma Levante con l’evocativa locuzione di arresti 'cotti e mangiati'".

Uno scenario simile è stato scoperto anche dall’inchiesta che ha messo sotto indagine 18 agenti in servizio alla questura di Verona, accusati a vario titolo di torture, lesioni, maltrattamenti e falso in atto pubblico commessi tra il 2022 e il 2023.

Come aveva scritto il GIP nell’ordinanza di custodia cautelare,

I soprusi, le vessazioni e le prevaricazioni poste in essere dagli indagati risultano aver coinvolto, in misura pressoché esclusiva, soggetti di nazionalità straniera, senza fissa dimora, ovvero affetti da gravi dipendenze da alcol o stupefacenti, dunque soggetti particolarmente “deboli”.

Al di là di questi casi arrivati di fronte a un tribunale penale, il razzismo nelle forze dell'ordine viene perpetrato anche attraverso pratiche quotidiane, sistemiche e solo all’apparenza meno impattanti delle violenze fisiche.

Tra queste ci sono la difficoltà di accedere all’assistenza legale, l’abuso di autorità, i ritardi burocratici e la profilazione razziale (un termine che spiegherò meglio più avanti) come base per i controlli, i fermi e le perquisizioni.

Quest’ultimo è un fenomeno di cui in Italia si parla poco – e con grande fastidio – ma la cui pervasività è attestata da organismi sovranazionali.

Il 27 settembre del 2024, ad esempio, il Meccanismo indipendente internazionale delle Nazioni Unite per promuovere la giustizia razziale e l’uguaglianza nell’applicazione della legge ha pubblicato un rapporto sul tema dopo una visita in Italia effettuata dal 2 al 10 maggio del 2024.

Nel testo si legge che la combinazione tra le politiche criminalizzanti sulle droghe e la profilazione razziale solleva “notevoli preoccupazioni in materia di diritti umani e colpiscono in modo sproporzionato minoranze e altri gruppi vulnerabili”. Akua Kuenyehia, presidente del panel di esperti, ha inoltre dichiarato che “il pregiudizio razziale, gli stereotipi e la profilazione creano associazioni dannose e infondate tra l’essere neri, la criminalità e la delinquenza”.  

Una conclusione simile l’ha raggiunta un altro rapporto, pubblicato il 22 ottobre del 2024 e stilato dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) istituita dal Consiglio d’Europa –  un organo indipendente non legato all’Unione Europea che si occupa di diritti umani.

Ma se il primo rapporto è passato sostanzialmente sotto silenzio, il secondo ha suscitato una reazione a dir poco scomposta da parte del governo e della destra italiana.

La presidente del consiglio Giorgia Meloni ha detto che le forze dell’ordine “meritano rispetto, non simili ingiurie”. Il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha parlato di un atteggiamento “incredibile” dell’ECRI e di “affermazioni del tutto destituite di fondamento”. Il vicepremier Matteo Salvini, con la solita finezza, ha scritto sui social che “se a questi signori piacciono tanto rom e clandestini se li portino tutti a casa loro a Strasburgo". 

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto sul tema esprimendo il suo “stupore” – e non per le dichiarazioni della premier e dei suoi ministri, ma per le “affermazioni contenuto nel rapporto” dell’ECRI contro la polizia, a cui è andata la sua “vicinanza”

Ecco: ma cosa c’è di così tanto grave in quel testo di 47 pagine? E cosa si intende precisamente per “profilazione razziale”?

Cos’è la profilazione razziale

Partiamo dalla definizione che ne dà proprio l’ECRI. La profilazione razziale è

l’utilizzo, da parte degli agenti delle forze dell’ordine, quando procedono a operazioni di sorveglianza, controllo o indagine, di elementi quali la razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità, o l’origine nazionale e etnica, senza alcuna giustificazione oggettiva o ragionevole.

Come sottolinea Oiza Q. Obasuyi in un articolo su OpenMigration, si tratta dunque di una “criminalizzazione automatica di persone di origine straniera” sulla base di alcuni marcatori, che possono essere i tratti somatici, l’abbigliamento o i luoghi frequentati.

Per Amnesty International la profilazione ha diversi effetti dannosi. Anzitutto, “rinforza pregiudizi e stereotipi nei confronti delle persone razzializzate, stigmatizzandole ancora di più e rilegandole ai margini della società”.

Inoltre, le persone ingiustamente profilate rischiano di perdere la fiducia nelle forze dell’ordine. Infine, è una pratica del tutto controproducente: “i casi risolti dopo aver fermato e perquisito sulla base delle profilazioni etniche sono pochi”.

Da noi il fenomeno si scontra con la diffusa percezione che la profilazione razziale avvenga esclusivamente negli Stati Uniti. In realtà, dall’altra sponda dell’Atlantico c’è semplicemente più consapevolezza; ci sono soprattutto varie raccolte dati (anche a livello dei singoli stati) che quanto meno permettono di misurare l’entità della profilazione e l’impatto sulle persone razzializzate.

Nel Regno Unito, invece, è il governo stesso a diffondere dati aggiornati sulla profilazione razziale, mentre in Europa bisogna affidarsi a (pochi) studi o sondaggi.

Uno di questi è il rapporto Esseri neri nell’UE dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA). L’ultima edizione del 2023 – realizzata intervistando 6752 persone afrodiscendenti in 13 paesi membri, Italia inclusa – dedica un capitolo proprio ai fermi di polizia.

Dalle rilevazioni si evince che un quarto del campione (il 26 per cento) è stato fermato nei cinque anni precedenti. Tra questi, il 48 per cento ritiene che l’ultimo fermo sia stato motivato da pregiudizi razziali. Nel campione italiano, quella percentuale scende al 40 per cento (in miglioramento, tra l'altro, rispetto alla precedente rilevazione del 2016).


L'arresto di polizia più recente percepito come frutto di profilazione razziale secondo le persone fermate nei 5 anni precedenti il rapporto FRA (confronto tra il 2016 e il 2022, dati in percentuale)

Per quanto riguarda la profilazione in Italia, al di là del rapporto della FRA c’è davvero poco altro.

Nel 2020 l’associazione Occhio ai Media, che monitora gli articoli che “mirano a denigrare e discriminare le minoranze etniche” a Ferrara, ha pubblicato un rapporto sui controlli delle forze dell’ordine durante il primo lockdown. In base al monitoraggio della stampa locale, si legge nell’introduzione, c’è stata una “presenza massiccia di articoli riguardanti controlli Covid-19, stranieri, zona GAD [un quartiere multietnico a ridosso della stazione - NdA] ed espulsioni.”

Nel 2023 Occhio ai Media, Coordinamento per Yaya e Cittadini del Mondo di Ferrara – in collaborazione con in collaborazione con l’Università Goldsmiths di Londra – hanno lanciato il Progetto Yaya, che consiste in un archivio di testimonianze per “rendere tangibili il fenomeno della profilazione razziale in Italia”.

Poi, per l’appunto, c’è il rapporto del Meccanismo indipendente dell’ONU. Nelle conclusioni, oltre a ribadire che la profilazione “erode la fiducia nell’applicazione della legge” e “riduce l’efficacia dell’operato delle forze dell’ordine”, ci si sofferma proprio sulla mancanza di dati esaustivi.

A tal proposito, ha spiegato Juan Mendez (un altro membro del panel di esperti),

la raccolta, pubblicazione e analisi dei dati disaggregati per razza o origine etnica in tutti gli aspetti della vita, in particolare riguardo alle interazioni con le forze dell’ordine e il sistema di giustizia penale, è un elemento essenziale per progettare e valutare le risposte al razzismo sistemico.

Cosa dice il rapporto dell’ECRI

Frasi simili sono contenute anche nel rapporto dell’ECRI. Prima di parlarne, però, vale la pena evidenziare che i giudizi più duri non sono riservati alla polizia ma alla politica. La Commissione rileva infatti

con seria preoccupazione che il discorso pubblico italiano è diventato sempre più xenofobo negli ultimi anni e che i discorsi politici hanno assunto toni altamente divisivi e antagonisti, in particolare nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché di cittadini italiani con background migratorio, rom e persone LGBTQ.

Detto ciò, nel capitoletto intitolato “Razzismo e intolleranza all'interno delle forze dell'ordine”, la Commissione scrive di essere “venuta a conoscenza di molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell'ordine”, in particolar modo nei confronti della comunità rom e delle persone di origine africana.

Tuttavia, le autorità “non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia”. Di conseguenza non “sembrano essere consapevoli dell’entità del problema” né “considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionali”.

In breve: non essendoci dati affidabili, non ci può nemmeno rendere nemmeno conto della dimensione del fenomeno. Che evidentemente non è episodico, ma strutturale.

Per questo, l’ECRI raccomanda che il governo “commissioni prontamente uno studio completo e indipendente” con l'obiettivo di “individuare e affrontare qualsiasi pratica di profilazione razziale da parte delle forze dell'ordine che riguardi in particolare i Rom e le persone di origine africana”.

Oltre a ciò, la Commissione raccomanda “l’istituzione di un organismo indipendente di supervisione della polizia” (che esiste in altri paesi, come Inghilterra e Galles) per sviluppare “meccanismi di responsabilità effettivi nei casi di abusi di polizia a sfondo razzisti e LGBTI-fobici”.

È fondamentale sottolineare che questo rapporto non è piovuto dal cielo in modo del tutto inaspettato; il governo sapeva che l’ECRI si stava occupando dell’Italia.

Lo dice lo stesso rapporto a pagina 41: la commissione, “conformemente alla sua procedura di monitoraggio paese per paese”, ha avviato un “dialogo confidenziale con le autorità italiane” dopo aver sottoposto loro una prima bozza.

Alcune revisioni sono state accolte, mentre altre non sono state accettate. Il governo ha comunque ottenuto che al rapporto fossero allegate le sue osservazioni, anche sul tema della profilazione razziale.

Questa però, ed è estremamente significativo, non è stata contestata alla radice. Per tutta risposta il governo ha infatti menzionato l’esistenza dell’OSCAD, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori.

Questa struttura, che opera presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ha il compito prioritario di fornire “un valido supporto” alle vittime di crimini d’odio in modo da “superare il fenomeno dell’under-reporting e quindi favorire l’emersione dei reati a sfondo discriminatorio”.

Inoltre, si legge sempre dalla pagina ufficiale, l’OSCAD “promuove la formazione e l’aggiornamento professionale degli operatori delle Forze di polizia”.

Il doppio registro della destra meloniana

In altre parole: il governo ha fatto sapere all’ECRI che la polizia si sta occupando della profilazione razziale – anche se al momento non è prevista una raccolta dati sistematica né la realizzazione di uno studio ufficiale.

Nell’interlocuzione ufficiale con la Commissione il governo non ha parlato di “ingiurie” e offese contro la polizia italiana, né tanto meno ha invitato i funzionari a tornare a Strasburgo con “rom e clandestini”.

L’ha fatto soltanto dopo, operando uno spin propagandistico a uso e consumo dell’opinione pubblica interna: il solito organismo politicizzato europeo, che nessuno sa bene cosa faccia, ha detto cose fuori di testa sul nostro paese; e soprattutto – e questo proprio non doveva farlo – si è permesso di attaccare la nostra polizia.

Questo doppio registro, tra l’altro, è già stato utilizzato per rintuzzare le critiche provenienti da organismi sovranazionali di controllo.

Il 24 luglio del 2024 la Commissione europea aveva pubblicato la Relazione sullo Stato di diritto 2024 della Commissione UE, che sostanzialmente ci metteva in compagna di Ungheria e Slovacchia per la gestione del servizio pubblico radiotelevisivo.

La risposta di Meloni non si era fatta attendere: il rapporto non solo “è stato distorto a uso politico da alcuni nel tentativo di attaccare il Governo italiano”, ma è esso stesso il frutto di “attacchi maldestri e pretestuosi” di “professionisti della disinformazione e della mistificazione”.

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Qualche giorno dopo il governo e la destra se l’erano presa con una relazione della Media Freedom Rapid Response (MFRR, un’iniziativa co-finanziata dalla Commissione europea), intitolata Silenziare il quarto Stato. La deriva democratica in Italia e ancora più allarmante della Relazione sullo Stato di diritto.

Invece di affrontare il merito, e facendo molta confusione tra i due rapporti, Meloni ha detto che gli “accenti critici” non sarebbero della Commissione ma di alcuni “portatori d’interessi” – cioè i “giornalisti anti-Meloni” (per citare un titolo de Il Giornale) che vogliono gettare fango sul governo.

Si ripete dunque la strategia di usare un copione a uso e consumo dell'opinione pubblica interna, proprio mentre si è chiamati in causa da organismi sovranazionali.

E anche questa volta – dal presidente della Repubblica in giù – a livello di discussione pubblica c’è stata una completa negazione della realtà: sia sul rapporto dell’ECRI che, più in generale, sulla profilazione razziale e sul razzismo poliziesco.

Come al solito, a dover rispondere è chi porta alla luce dei problemi. E per il governo Meloni, chi lo fa diventa automaticamente un nemico della patria.

(Immagine in anteprima via Flickr)

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