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La RAI libera dai partiti: le proposte di legge per una nuova governance

12 Maggio 2021 23 min lettura

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La RAI libera dai partiti: le proposte di legge per una nuova governance

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Oggi pomeriggio davanti alle sedi della Rai in diverse città italiane si svolgeranno dei presidi organizzati dall’Unione sindacale giornalisti Rai (USIGRAI) «per chiedere un Consiglio di amministrazione autonomo, indipendente e di alto profilo. E per sollecitare il parlamento a dare una corsia preferenziale ai disegni di legge di riforma della governance». 

Il tema dell’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo dai partiti politici è tornato al centro del dibattito pubblico in Italia dopo quanto successo al concerto del 1 maggio, con la richiesta da parte della società di produzione dell’evento al cantante Fedez, esplicitata durante una telefonata (resa poi pubblica) a cui ha partecipato anche la vice direttrice di RaiTre Ilaria Capitani, di evitare di leggere una parte del suo intervento in cui venivano citati con nomi e cognomi esponenti leghisti che avevano pronunciato frasi omofobe. «Nel servizio pubblico tu puoi dire tutto quello che vuoi, però dovresti avere anche le persone che citi all’interno del tuo discorso che potrebbero difendersi», dice al telefono uno degli autori del programma al cantante che però ribatte domandando quando nel pregresso degli interventi degli artisti al concerto del 1 maggio si fosse mai verificata una simile dinamica. «Io le sto chiedendo di adeguarsi a un sistema che probabilmente lei non riconosce che, però, è quello corretto», risponde l’autore.

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Dopo la denuncia di Fedez di aver subito un tentativo di censura e la pubblicazione online della telefonata, il caso è esploso a livello mediatico. L’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, con un comunicato, ha successivamente dichiarato di non aver mai censurato il rapper “né altri artisti” e precisato che “di certo in Rai non esiste e non deve esistere nessun ‘sistema’ e se qualcuno, parlando in modo non appropriato per conto e a nome della Rai, ha usato questa parola mi scuso. Su questo assicuro che sarà fatta luce con gli organizzatori del Concerto, che la Rai acquista e manda in onda fin dalla sua prima edizione, per capire come sia stato possibile soltanto ipotizzare un’aberrazione del genere e se esistano delle responsabilità aziendali”. 

Questa vicenda ha scatenato anche la reazione dei partiti, con la richiesta da parte di diversi esponenti politici delle dimissioni dei dirigenti coinvolti. “Vedere i partiti che si accapigliano sulla vicenda Fedez è il trionfo dell'ipocrisia. Perché noi un ‘sistema’ in Rai lo denunciamo da anni: ed è esattamente quello della partitocrazia, che, a partiti alterni, occupa il Servizio Pubblico”, ha commentato l’USIGRAI. Il caso ha anche riaperto la discussione politica sulla necessità di un riforma della Rai per evitare che il servizio pubblico subisca pressioni e ingerenze politiche. Su questo aspetto il presidente della Camera ed ex presidente della Commissione di vigilanza Rai, Roberto Fico (M5s) ha dichiarato: «Spero che questo Parlamento possa iniziare una discussione vera su una riforma della governance della Rai ma allo stesso tempo ci deve essere un cambio di cultura».

In questo articolo abbiamo ricostruito come funziona oggi la governance della RAI, quali sono le proposte di riforma in Parlamento e riassunto la situazione all’estero.

La governance RAI e i partiti

L'ultima riforma della Rai – società (controllata per il 99,56% dal ministero dell’Economia e delle Finanze e per il restante 0,44% dalla SIAE ) concessionaria del servizio pubblico e radiotelevisivo – è stata quella del 2015 targata Matteo Renzi. Prima della sua approvazione in Parlamento, l’allora presidente del Consiglio Renzi aveva dichiarato che l’obiettivo era che non esistesse più «una contiguità con i partiti e le forze politiche» e la RAI: «Questo non significa – aveva precisato l’ex segretario del Pd e ora leader di Italia Viva – che chi ha responsabilità nel governo e nelle forze politiche si debba tirare fuori dal compito di individuare la missione strategica, di controllare e vigilare e contemporaneamente indicare le persone alla guida dell’azienda, ma che quando tu hai scelto una missione, chi controlla e chi la guida, non c’è bisogno di aprire una discussione tra le forze politiche per nominare il vice direttore di un Tg regionale». «Chi gestisce l’azienda – aveva concluso Renzi – deve fare le proprie scelte di cui risponderà al termine del mandato o in corso se si allontana dalla direttive della Commissione di vigilanza»

La riforma, però, aveva ricevuto diverse critiche tra le quali quelle della Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) e dell’USIGRAI che in un comunicato congiunto avevano scritto: “Il Presidente del Consiglio aveva promesso di togliere la Rai ai partiti e restituirla ai cittadini. E invece l’ha messa alle dirette dipendenze del governo. (...) Da oggi la Rai sarà guidata da un amministratore delegato, quindi da un capo azienda con molti più poteri, scelto direttamente dall’esecutivo. (...) L’Italia è già da troppo tempo in fondo alle classifiche mondiali per la libertà di informazione. Ora c’è il concreto rischio di scivolare ancora più in basso”.

La riforma approvata ha modificato la disciplina della governance della Rai, introducendo la figura dell'amministratore delegato (Ad) al posto di quella del direttore generale, riducendo il numero dei membri del Consiglio di amministrazione e modificando le modalità della loro designazione, rispetto a quanto previsto in precedenza dalla “riforma Gasparri” del 2004. Nel dettaglio, come si legge in un focus della Camera dei deputati, la legge ha ridotto “da 9 a 7 i membri del Consiglio di amministrazione. Fra i requisiti per la nomina, ha inserito l'onorabilità, prevedendo, inoltre, che la composizione del Consiglio di amministrazione (CdA) è definita favorendo, fra l'altro, la presenza di entrambi i sessi e l'assenza di conflitti di interesse”. Sono state anche introdotte “alcune cause di incompatibilità, fra le quali il ricoprire o aver ricoperto nei 12 mesi precedenti la data della nomina, la carica di Ministro, vice ministro o sottosegretario di Stato”. I sette membri del CdA vengono designati in questo modo: “2 sono eletti dalla Camera e 2 dal Senato, previo avviso pubblico e presentazione di candidature; 2 sono designati dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'Economia e delle Finanze; 1 è designato, attraverso elezione, dall'assemblea dei dipendenti RAI, tra i dipendenti dell'azienda titolari di un rapporto di lavoro subordinato da almeno 3 anni consecutivi”.

Tra i compiti affidati al CdA c’è l'approvazione “del piano industriale e del piano editoriale, del preventivo di spesa annuale, degli investimenti di importo superiore a 10 milioni di euro, degli atti e dei contratti aziendali di carattere strategico, inclusi i piani annuali di trasmissione e di produzione, e delle variazioni rilevanti degli stessi, degli atti e dei contratti che, anche per effetto di una durata pluriennale, siano di importo superiore a 10 milioni di euro, nonché del (nuovo) piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale”.

Il ruolo dell’amministratore delegato (Ad) della Rai – che come abbiamo visto prende il posto del direttore generale – viene nominato dal CdA, su proposta dell'assemblea degli azionisti (cioè dal MEF) e rimane in carica per 3 anni, a meno che il Consiglio di amministrazione non decida per la revoca, sentito il parere dell'assemblea dei soci. I compiti dell’Ad sono “assicurare la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee editoriali e le direttive formulate e adottate dal CdA; gestire il personale dell'azienda; nominare i dirigenti di primo livello, acquisendo, per i direttori di rete, di canale e di testata, il parere obbligatorio del CdA che, per i direttori di testata, è vincolante se espresso con la maggioranza dei due terzi; assumere, nominare, promuovere e stabilire la collocazione aziendale degli altri dirigenti, nonché, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico, degli altri giornalisti; provvedere anche all'attuazione del piano industriale e del preventivo di spesa annuale; sentito il parere del Consiglio di amministrazione, definire i criteri e le modalità per il reclutamento del personale e quelli per il conferimento di incarichi a collaboratori esterni; proporre all'approvazione del CdA il (nuovo) Piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale”.

Il presidente del Consiglio di amministrazione (cioè il presidente della Rai) viene nominato dallo stesso consiglio “e la sua carica diventa effettiva dopo l'acquisizione del parere favorevole, espresso a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, della Commissione parlamentare di vigilanza Rai (Questa commissione è stata istituita nel 1975 e tra le sue funzioni ci sono quelle di indirizzo rispetto alla società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e di vigilanza sulla sua attuazione, n.d.r.)".

L’influenza della politica non si limita però solo al ruolo dell’Ad e del presidente. Come spiega Il Post, infatti, “riguarda anche la media dirigenza, secondo un sistema spesso complesso di equilibri, che non riguardano soltanto la rappresentanza dei partiti in Parlamento ma anche i rapporti tra le correnti all’interno di uno stesso partito. Inoltre la lottizzazione si fa sentire in alcuni casi anche all’interno delle redazioni. I cambi di governo, di solito, determinano non soltanto la sostituzione dei manager dell’azienda, ma anche il cambiamento di funzioni giornalistiche, oltre che della linea politica delle testate”.

Durante l’estate 2018 si è insediato il nuovo consiglio di amministrazione della Rai, dopo una contesa all’interno della stessa maggioranza dell’allora governo Conte I – formata da Lega e Movimento 5 stelle – sui nomi da scegliere per le cariche di Amministratore delegato e del presidente Rai. A ottobre dello stesso anno, i media italiani raccontavano come all’interno della maggioranza di governo "gialloverde" si stesse lavorando per raggiungere un’intesa politica anche sulle nomine per quanto riguarda la direzione dei Tg del servizio pubblico e dei direttori di rete (che formalmente spetta all’Ad presentare al Consiglio di amministrazione). Accordo poi raggiunto il mese successivo. Due anni dopo, a maggio 2020, con il nuovo governo Conte sostenuto dalla nuova maggioranza M5s, Partito democratico, LeU e Italia Viva, il CdA della Rai ha approvato nuove nomine “per procedere con il riequilibrio nelle reti e nei tg chiesto da mesi dal Pd dopo il cambio di maggioranza”, scriveva Giovanna Vitale su Repubblica. In quell’occasione Riccardo Laganà, consigliere eletto dei dipendenti Rai, aveva annunciato che non avrebbe partecipato al voto «per protesta contro il solito metodo spartitorio dei partiti». 

«La cultura della lottizzazione – ha detto il presidente della Camera, Roberto Fico, in un'intervista lo scorso 3 maggio – deve essere superata sia dentro la Rai che fuori. Nelle stanze dei partiti come in quelle dei Tg. Purtroppo le nomine dei direttori dei telegiornali o dei direttori di rete vengono ratificate dal consiglio di amministrazione della Rai, ma sono fatte fondamentalmente in altri luoghi. Derivano da accordi tra i partiti di maggioranza che in quel momento storico sono al governo. E questa cosa non è in alcun modo cambiata fino a oggi. Neanche con noi», cioè con il Movimento 5 stelle che fin dalla sua fondazione si era schierato contro il potere dei partiti nel servizio pubblico. «È la realtà dei fatti e nessun partito fino a oggi si è sottratto. Nessuno escluso, sono il primo a dirlo. Ecco perché una discussione di questa portata è importante adesso», ha continuato l'esponente cinque stelle.

Entro il prossimo giugno è prevista la scadenza del CdA Rai insediatosi nel 2018. Da febbraio 2021 Mario Draghi è il nuovo presidente del Consiglio e il governo italiano ha nuova maggioranza formata dalla stragrande maggioranza dei partiti in Parlamento. Mentre 194 nomi di candidati per i posti di consiglieri nel Cda Rai sono arrivati alla Camera e al Senato per essere votati, si attende di capire come si muoverà Draghi. Secondo fonti del MEF citate dall’agenzia di stampa AdNKronos, il nuovo presidente del Consiglio “sceglierà lui" presidente e Ad senza consultare i partiti.

Le proposte di riforma della Rai in Parlamento

Lo scorso 4 maggio la Commissione Vigilanza Rai ha avviato un'"indagine conoscitiva sui modelli di governance e sul ruolo del Servizio pubblico radiotelevisivo, anche con riferimento al quadro europeo e agli scenari del mercato audiovisivo". Nel frattempo, in Parlamento sono presenti diversi disegni di legge che puntano a riformare nuovamente la Rai. Vediamo nel dettaglio cosa prevedono.

Proposta Orlando (Pd): A ottobre 2020 il deputato del Partito democratico Andrea Orlando ha presentato una riforma del servizio pubblico radiotelevisivo. Nella relazione illustrativa del Disegno di legge si legge  che “la RAI è già stata oggetto di interventi di riforma. Il più recente è quello del 2015. Molti problemi sono stati affrontati, ma non è stato risolto quello centrale relativo a una governance indipendente dal potere politico. Questo è un limite gravissimo nell’attuale contesto competitivo. (...) La RAI deve soprattutto conquistare autonomia. L’intreccio tra la RAI e i partiti è ritenuto talmente inevitabile da essere spesso tollerato come un male minore. Non è così. La sua degenerazione finisce per rendere difficile il funzionamento stesso dell’azienda. Il pluralismo, ragione fondamentale dell’esistenza del servizio pubblico, rischia di scadere in un sistema che non mette al centro il cittadino, ma l’invadenza dei partiti. La RAI deve conquistare il massimo di autonomia e di autentico pluralismo”.

La proposta di legge affida così a una fondazione la proprietà e la scelta delle strategie e dei vertici della RAI. Il consiglio di amministrazione della fondazione sarà composto da undici membri che rimarranno in carica per 6 anni: cinque saranno nominati dai Presidenti della Camera e del Senato, due membri dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e altri due membri dalla Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI). Un altro membro viene nominato dall’Accademia nazionale dei Lincei e l’undicesimo consigliere è eletto dai dipendenti della RAI. 

Gli undici membri del consiglio di amministrazione della Fondazione dovranno avere precisi requisiti: “Devono essere scelti tra persone di riconosciuto prestigio professionale e di notoria indipendenza, che si siano distinte nei settori della comunicazione, dell’audiovisivo, del cinema, delle arti, della cultura, del diritto, dell’economia, dei mezzi di comunicazione, delle reti di comunicazione elettronica o delle nuove tecnologie. La norma dispone, inoltre, che non possono essere nominati coloro che nei due anni precedenti alla nomina abbiano ricoperto incarichi di governo, incarichi elettivi politici a qualunque livello o ruoli e uffici di rappresentanza nei partiti politici, oppure l’incarico di presidente, amministratore delegato o consigliere di amministrazione nell’ambito di imprese private operanti nel settore delle comunicazioni”.

Il consiglio di amministrazione della Fondazione avrà inoltre un presidente che sarà scelto “tra i componenti del medesimo consiglio, che lo elegge con voto a maggioranza assoluta. Il presidente, che dura in carica fino alla scadenza del mandato, non può essere rieletto a meno di mandato triennale”. Il consiglio di amministrazione della fondazione nominerà anche il CdA RAI e potrà disporre la revoca del presidente della Rai, dell’amministratore delegato (che sarà nominato dal CdA Rai, sentito il consiglio di amministrazione della Fondazione, e la sua carica durerà tre anni) e dei membri del consiglio di amministrazione della RAI che sono incorsi “in gravi violazioni della legge o dello statuto sociale”.

Proposta Fedeli (Pd): Esiste anche un’altra proposta di legge del Partito democratico, a prima firma della senatrice Valeria Fedeli, presentata in Senato a novembre 2020. Si tratta di un testo molto simile a quello di Andrea Orlando, prevedendo la nascita di una fondazione per rendere autonoma la Rai dalla politica e dai partiti. A cambiare però, rispetto al testo del deputato democratico e attuale ministro del Lavoro, è il numero dei membri del consiglio di amministrazione e la loro modalità di nomina. Nella proposta di Fedeli, il CdA è composto da dieci membri e non da undici: cinque saranno eletti dalla Commissione parlamentare di vigilanza a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti; due nominati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; due nominati dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI); uno eletto dai dipendenti della RAI. In pratica, spiega Angelo Zaccone Teodosi su Key4biz, nella proposta di Orlando 5 membri “parlamentari” del CdA della Fondazione sono nominati dai Presidenti di Camera e Senato, mentre nel testo di Fedeli sono eletti dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza e inoltre nella proposta della senatrice democratica “tutti 7 membri (parlamentari e regionali) sono eletti a seguito di una procedura ad evidenza pubblica, con invio dei curricula dei candidati ed audizioni in contraddittorio, mentre in quella Orlando sono soltanto 2 i membri “regionali” del Cda, ovvero quelli nominati dalla Conferenza Stato-Regioni”.

Proposta Fornaro (LeU): Un terza proposta presentata il 26 febbraio 2020, a prima firma di Federico Fornaro, capogruppo alla Camera di Liberi e Uguali e commissario della Vigilanza Rai, punta “a delineare un nuovo assetto della governance della RAI basato sul modello societario duale”, al posto di quello monistico (consiglio di amministrazione e collegio sindacale). Questo nuovo modello, si legge nella relazione illustrativa del Ddl, “prevede una governance in cui le più importanti funzioni dell’assemblea ordinaria, che nel modello tradizionale spettano ai soci e, quindi, alla proprietà, sono attribuite a un organo professionale quale il consiglio di sorveglianza”. In questo sistema alla proprietà spetterebbe “solo stabilire le linee del programma economico della società (oggetto sociale e, nel caso della RAI, la missione di servizio pubblico) e le modifiche di struttura della società (operazioni sul capitale, fusioni e, più in generale, delibere dell’assemblea straordinaria)”. 

Nel sistema duale il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale vengono sostituiti dal consiglio di gestione e dal consiglio di sorveglianza. Secondo chi propone la legge “il modello duale sarebbe ottimale per la RAI, poiché garantirebbe una gestione ‘snella’ dell’azienda all’interno del consiglio di gestione (composto da un presidente, con i poteri dell’amministratore delegato, e da altri due consiglieri) e parimenti un controllo effettivo ed efficace, ad opera del consiglio di sorveglianza, sia del rispetto della mission e degli indirizzi strategici sia del rispetto di norme e regolamenti da parte del consiglio di gestione”. 

Il nuovo consiglio di sorveglianza sarà costituito da 15 membri (per assumere la carica devono possedere particolari requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza e alla scadenza del loro mandato, che dura sei anni, non possono essere rieletti): il presidente viene nominato d’intesa tra i Presidenti della Camera e del Senato, sei membri vengono indicati dal Parlamento (tre dai deputati e tre dai senatori), due dall’assemblea degli azionisti e due dai dipendenti (di cui uno tra i giornalisti), due dalla Società italiana degli autori ed editori e, infine, due sono indicati dalla Conferenza dei rettori delle università italiane. Al consiglio di sorveglianza spetta “le funzioni di indirizzo, di supervisione strategica e di controllo della RAI, il potere di nomina del presidente e degli altri due componenti del consiglio di gestione, il potere di revoca dello stesso consiglio di gestione, l’approvazione del bilancio preventivo e del bilancio consuntivo della società, il controllo del rispetto delle finalità del servizio pubblico, l’espressione di un parere non vincolante sul piano industriale e sul piano editoriale e infine la nomina al proprio interno del comitato di controllo interno, composto da tre membri, il cui presidente partecipa alle riunioni del consiglio di gestione, senza diritto di voto”.

Il consiglio di gestione provvederà invece alla gestione della RAI e avrà il compito di attuare le scelte strategiche definite e approvate dal consiglio di sorveglianza, “fornendo a quest’ultimo, con cadenza trimestrale, informazioni sull’andamento dell’azienda”. Questo consiglio sarà costituito da tre componenti: “Al presidente del consiglio di gestione sono assegnati i poteri tipici del consigliere delegato e la rappresentanza legale della RAI, mentre gli altri due componenti devono essere in possesso di requisiti professionali nella gestione di imprese con fatturato e numero di dipendenti paragonabili a quelli della RAI. I componenti del consiglio di gestione, che non possono essere nominati anche consiglieri di sorveglianza, restano in carica per tre esercizi e sono rieleggibili per una sola volta. Essi sono revocabili dal consiglio di sorveglianza in qualunque momento”.

In un’intervista dello scorso luglio a Prima Comunicazione, Fornaro ha spiegato che l’obiettivo base della governance duale è «quella di distinguere tra le funzioni di indirizzo e controllo, affidate ad un Consiglio di Sorveglianza, e la gestione dell’azienda, affidato a al consiglio di gestione nominato dal Consiglio di Sorveglianza». «In ultima ratio, – continua l’esponente di LeU – il senso della mia proposta è di creare un’intercapedine tra la politica e la Rai, per impedire ai partiti di entrare nella vita quotidiana dell’azienda. È il Consiglio di Sorveglianza che nomina il Consiglio di Gestione, ma, una volta superato questo passaggio, sono più chiare e definite quali sono le responsabilità dell’indirizzo e del controllo rispetto a quella gestionale. Oggi invece tutto è mescolato e confuso. (...) La politica c’è ancora, ma questo modello, ritengo, può avere nella suo DNA qualche anticorpo in più per contrastare il virus».

Proposta Di Nicola (M5s): Una quarta proposta di riforma della RAI è quella a prima firma Prima Di Nicola, senatore del Movimento 5 stelle e vice presidente della Commissione Vigilanza Rai, presentata a dicembre 2019 e che si rifà alla proposta di legge di Roberto Fico della scorsa legislatura quando l’attuale presidente della Camera dei Deputati ricopriva la carica di presidente della Commissione di vigilanza Rai. La relazione illustrativa spiega che l’intento del Ddl è quello “di garantire alla società concessionaria del servizio pubblico la mas­sima indipendenza di gestione. Soprattutto, mettendola al riparo da ogni tentativo di in­terferenza della politica, peccato originale del sistema pensato e realizzato in Italia, tanto da minarne alla radice la necessaria credibilità ai fini della corretta formazione-informazione”. Per raggiungere questo obiettivo si interviene sulla governance della RAI.

Il Ddl ridisegna così la procedura di nomina del consiglio di ammi­nistrazione, affidando un ruolo di regia in questa procedura all’Autorità per le garanzie nelle co­municazioni (AGCOM). Per fa si che l’AGCOM svolga in maniera indipendente il proprio ruolo il testo di legge prevede che “non possano essere nominati componenti dell’AGCOM i sog­getti che nei cinque anni precedenti la no­mina abbiano ricoperto cariche governative o di rappresentanza politica, e che i compo­nenti, nel corso del mandato, non possano rivestire ruoli nei partiti e movimenti poli­tici”. Il numero dei consigliere del Consiglio di amministrazione viene inoltre ridotto a cinque, “compresi il presidente e l’ammini­stratore delegato, che restano in carica per cinque anni senza possibilità di rinnovo”. All’AGCOM spetterà il compito di “pre­disporre un avviso pubblico per sollecitare le candidature alla carica di consigliere di amministrazione”. I requisiti per ricoprire la carica di consigliere di amministrazione RAI saranno competenza professionale nel settore e indi­pendenza (cioè non aver ricoperto cariche governative, politiche elettive e partitiche nei cinque anni precedenti la nomina). 

Una volta terminata la fase delle auto candidature, l’AGCOM pubblicherà nel proprio sito internet l’elenco dei candidati in pos­sesso dei requisiti e successivamente procederà al sorteggio dei nominativi. La modalità del sorteggio, spiegano gli estensori della proposta di legge, “si collega alla necessità di una netta indipen­denza della RAI dalle forze politiche e, più ancora, dal potere governativo”. Per ridurre “al massimo grado l’aleatorietà” del meccanismo del sorteggio e realizzare contemporanea­mente gli obiettivi di indipendenza e di competenza, la proposta prevede anche “l’intervento, a valle della procedura, delle Commissioni parlamentari competenti”: “Chiunque intenda candidarsi, infatti, non soltanto deve soddisfare i requisiti professio­nali individuati dalla legge, ma è tenuto an­che a presentare un elaborato sulla propria visione strategica del servizio pubblico ra­diofonico, televisivo e multimediale in rela­zione all’area per cui intende concorrere. (...) In caso di estrazione del proprio nomi­nativo, il candidato dovrà discutere l’elaborato pubblica­mente, dinanzi alle Commissioni parlamen­tari competenti, che a maggioranza dei due terzi potranno esprimere un parere sfavore­vole nei confronti del soggetto audito e ri­chiedere all’AGCOM l’estrazione di un altro nominativo”.

Successivamente, i consiglieri di amministrazione sorteggiati saranno nominati dal MEF. Sempre il ministero dell'Economia e delle Finanze avrà la facoltà di in­dicare il presidente. Nel caso questo non avvenga, il presidente sarà scelto dal consiglio di amministra­zione. Nella relazione illustrativa si legge che in questo modo si punta a limitare al massimo grado l’influenza del Governo sulla struttura e sulle attività del servizio pubblico ra­diofonico, televisivo e multimediale.

Inoltre, al consiglio di amministrazione oltre al compito di gestione viene anche affidato quello di indirizzo strategico della società. La soluzione proposta è così quella di “mantenere attribuita al consiglio di ammini­strazione la funzione di indirizzo strategico”, che invece negli altri progetti di legge che abbiamo visto in precedenza viene trasferita ad altri organismi, come a una fondazione o a un consiglio di sorveglianza in un sistema duale. Secondo gli esponenti del M5s che hanno presentato questa proposta di legge, infatti, questi nuovi organismi sono proposti in linea te­orica come organi-diaframma, come stru­menti a garanzia dell’indipendenza del ser­vizio pubblico dal potere politico, ma nella pratica rischierebbero di subire le stesse influenze, di riprodurre le stesse distorsioni del passato. Per questo motivo, “piuttosto che la creazione di nuovi organi di governo, sembra preferibile assicurare al consiglio di amministrazione indipendenza e autonomia d’azione maggiori, senza però rinunciare a un sistema di controllo diffuso della pro­grammazione della RAI, sia in termini di qualità sia in termini di coerenza con le pre­scrizioni normative e con gli indirizzi strate­gici formulati dal consiglio di amministra­zione”

 Il disegno di legge stabilisce anche una nuova disciplina delle nomine dei dirigenti, “volta a introdurre il principio di trasparenza nell’individuazione delle fi­gure dirigenziali”: “Il consiglio di amministrazione rende anzitutto conoscibili i posti dirigen­ziali disponibili, gli obiettivi e i criteri ge­nerali di scelta; in un secondo momento, ac­quisita la disponibilità degli interessati, pro­cede alla scelta fra soggetti in possesso di particolare e comprovata competenza ri­spetto all’incarico da assegnare”. Infine, viene anche prevista l’eliminazione della Commissione di vigilanza Rai, descritta come “l’an­ticamera dell’indebita influenza della poli­tica sul servizio pubblico radiotelevisivo”: “Nel disegno di legge, in sintesi, le fun­zioni della Commissione di vigilanza vengono in parte soppresse, in parte demandate all’AGCOM, oppure ricondotte alle Com­missioni parlamentari competenti per mate­ria”.

In questi giorni, la Commissione lavori pubblici e Comunicazioni del Senato è al lavoro sui disegni di legge di riforma della RAI e la discussione in questa sede dovrebbe iniziare tra due settimane.

Come funziona all'estero

Partendo da un recente focus della Camera dei Deputati è possibile provare a comparare come funziona la governance dei sistemi radiotelevisivi pubblici di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. 

In Francia la legge fondamentale che regola la gestione del servizio di radiotelevisione pubblica è la legge n.86-1067 del 30 settembre 1986. Il titolo III di questa legge regola le emittenti pubbliche francesi: France Télévisions, Radio France e la Société de l'audiovisuel extérieur de la France (denominata France Médias Monde). "Il provvedimento – spiega il dossier – specifica che lo Stato detiene direttamente la totalità del capitale di queste tre società e dispone che i loro statuti siano approvati mediante decreto (art. 47)".

Per quanto riguarda la governance, la legge prevede che il potere di regolazione del sistema radiotelevisivo pubblico venga affidato a un'autorità amministrativa indipendente denominata Conseil Supérieur de l'Audiovisuel (CSA). Il CSA è composto da sette membri – sei membri, scelti rispettando la parità di genere, più il presidente – e il loro mandato dura 6 anni e non è rinnovabile. "Ad eccezione del Presidente, il CSA è rinnovato per un terzo ogni due anni. Il Presidente è nominato direttamente dal Capo dello Stato, mentre gli altri membri, sempre nominati dal Capo dello Stato, sono designati dai Presidenti delle assemblee legislative, (tre per ciascun ramo del Parlamento), previo parere conforme delle rispettive commissioni competenti per gli affari culturali, espresso a votazione segreta e approvato con la maggioranza dei 3/5 dei voti espressi. I componenti del Consiglio, infine, non possono essere nominati se hanno già compiuto i 65 anni di età", continua il focus. Il CSA nomina i presidenti di France Télévisions, Radio France e France Médias Monde per un mandato di cinque anni: "Trascorsi i primi quattro anni di mandato di tali autorità, il CSA presenta un parere motivato sui risultati delle società che essi presiedono, con riferimento al 'progetto strategico delle società nazionali di programma', che viene trasmesso alle commissioni parlamentari competenti in materia di servizi audiovisivi pubblici delle due Camere. Entro due mesi dall'inizio del loro mandato i presidenti sopra richiamati presentano alle stesse commissioni, e ai presidenti delle assemblee parlamentari, una 'relazione di orientamento'. Tra i compiti del CSA c'è anche quello di garantire l'indipendenza e l'imparzialità del settore pubblico della comunicazione audiovisiva, di favorire la libera concorrenza tra editori e distributori di servizi radiotelevisivi, di vigilare sulla qualità e la diversità dei programmi, sullo sviluppo dei servizi audiovisivi nazionali e sulla difesa della lingua e della cultura francesi".

In Germania la legge fondamentale della Repubblica Federale "esclude ogni influenza dello Stato sul contenuto dei programmi, mediante la previsione di forme di difesa contro l'interferenza statale, dall'altro la Corte costituzionale federale attribuisce allo Stato il compito di adottare disposizioni 'in positivo' a garanzia della pluralità di espressioni attraverso le trasmissioni radiotelevisive. L'intervento del Governo federale riguarda l'assegnazione delle frequenze, il controllo sul loro utilizzo, la costruzione delle infrastrutture e il controllo sulla gestione degli impianti". La struttura federale della Germania attribuisce ai stati federati, cioè ai Länderla competenza esclusiva per la cultura e la radiotelevisione. Le principali emittenti pubbliche in Germania sono: ARD(Arbeitsgemeinschaft der öffentlich-rechtlichen Rundfunkanstalten Deutschlands – Consorzio delle emittenti radiotelevisive pubbliche della Germania), Deutsche WelleDeutschlandRadioZDF.

Sul controllo e sulla responsabilità del sistema pubblico, i governi dei Länder adottano un sistema di "controllo interno": "I governi regionali detengono un 'potere di ultima istanza' sugli organismi radiotelevisivi, che viene esercitato soltanto in casi estremi di 'cattiva gestione' o di gravi violazioni di legge. Per ogni emittente pubblico sono previste tre autorità responsabili per la gestione e supervisione dell'organismo: il Direttore Generale (nominato dal Consiglio televisivo con un mandato di quattro anni), il Consiglio televisivo (rappresenta i più importanti gruppi sociali come ad esesmpio i parlamenti regionali, gli apparati delle grandi 'chiese', lavoratori e sindacati, università, organizzazioni culturali, sportive o organizzazioni per anziani, donne e stranieri) e il Consiglio d'amministrazione (che ha tra i 7 e 9 membri scelti, di norma, dal Consiglio per l'emittenza radiotelevisiva, ma che non provengono dallo stesso Consiglio)".

In Spagna la Ley 7/2010 (General de la Comunicación Audiovisual) ha stabilito una legislazione di base del settore della comunicazione audiovisiva sia pubblica sia privata. L'articolo 40 di questa legge definisce il servizio pubblico di comunicazione audiovisiva "come un servizio essenziale di interesse economico generale che ha come missione di diffondere contenuti che promuovano i principi e i valori costituzionali, contribuire alla formazione di un'opinione pubblica plurale, far conoscere la diversità linguistica e culturale della Spagna e diffondere la conoscenza e le arti, con particolare attenzione alla cultura audiovisiva".

Il servizio pubblico radiotelevisivo è gestito dalla società per azioni (a capitale interamente statale) Corporación de Radio y Televisión Española (RTVE). Questa società è amministrata e gestita da un consiglio di amministrazione, che una riforma del 2017 ha modificato: "La nuova legge stabilisce che il Consiglio sia composto da dieci membri di riconosciuta esperienza e competenza, secondo il principio della composizione paritaria dei sessi. I consiglieri sono eletti dal Parlamento: sei dal Congresso dei deputati, quattro dal Senato, previa audizione dei candidati. Il Presidente della Corporación RTVE, che presiede anche il Consiglio, è eletto dal Congresso dei deputati tra i dieci membri, con una maggioranza dei due terzi". Tra le competenze del Consiglio di amministrazione ci sono: l'amministrazione di RTVE e la direzione strategica; la nomina e la revoca del gruppo direttivo di primo livello di RTVE e autorizzazione alla nomina dello stesso nelle società filiali, su proposta del Presidente di RTVE e l'approvazione dell'organizzazione di base di RTVE e delle sue modifiche. Il Parlamento esercita un'attività di controllo sullo svolgimento dell'attività di RTVE, "che è tenuta ad inviare annualmente alle Camere un rapporto sulle modalità di esecuzione del contratto-programma e del mandato-quadro".

Nel Regno Unito, infine, la regolamentazione del servizio pubblico radiotelevisivo si basa su due fonti principali: "Lo statuto (Royal Charter) che disciplina la costituzione e l'assetto della società concessionaria (British Broadcasting CompanyBBC) e il contratto di servizio (Agreement) che ne indirizza l'operato. I due documenti sono integrati dalla serie di protocolli (protocols) che, regolarmente aggiornati, disciplinano le attività degli organi della società concessionaria in attuazione delle disposizioni statutarie e del contratto di servizio". Il report della Camera spiega che "la stabilità e l'efficacia di questo quadro regolamentare di matrice convenzionale sono generalmente considerate tra le ragioni del prestigio acquisito nel tempo dalla BBC".

Riguardo alla governance, lo statuto e il contratto di servizio "concorrono a individuare e a disciplinare le finalità istituzionali, l'indipendenza editoriale, le fonti di finanziamento e i compiti di servizio pubblico della società concessionaria". Al vertice della BBC c'è il Board, un organo collegiale chiamato a garante l'indipendenza della società concessionaria e responsabile dei risultati ottenuti in conformità alle sue finalità e obblighi. Al Board spettano "la direzione strategica della società, la definizione del piano editoriale e la designazione del management, nonché l'attuazione delle decisioni adottate da Ofcom", l'autorità regolatrice di settore.

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Il Board è composto da quattordici membri nominati mediante Order in Council (cioè dalla Corona su proposta del Governo) tra persone dotate di esperienza e competenze rilevanti e designate in base a una valutazione comparativa, secondo i criteri generali stabiliti per le nomine pubbliche (raccolti nel Governance Code): "I dieci non executive members del collegio ricoprono la carica per quattro anni (rinnovabile una sola volta) e annoverano il Presidente, i rappresentanti delle quattro regioni del Paese e altri cinque componenti". Il presidente viene nominato dopo una consultazione con la BBC  sui requisiti professionali necessari per questa carica e la relativa candidatura può essere sottoposta all'esame della commissione parlamentare competente mediante un'apposita audizione. La figura apicale del Direttore Generale presiede invece l'Executive Committe (formato dai nove direttori a capo dei settori di attività della BBC), a cui spettano i compiti di gestione operativa. Al suo interno il Board è articolato in nove comitati, competenti per le quattro principali regioni del paese (Scozia, Galles, Inghilterra ed Irlanda del Nord) e per specifiche materie, tra cui il controllo di gestione, le retribuzioni del management, le operazioni commerciali e la politica editoriale.

Da segnalare infine la vigilanza, esterna alla BBC, esercitata dall'autorità indipendente per le comunicazioni (Ofcom). Ad esempio "spetta all'Autorità garantire l'accuratezza e l'imparzialità dell'informazione, oggetto di appositi codici di condotta (broadcasting codes) la cui violazione può dare luogo a sanzioni pecuniarie o ad obblighi di rettifica nei confronti delle emittenti radiotelevisive".

Foto in anteprima via Il mattino di Sicilia

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