Il dibattito sulla quarta dose e il vaccino universale contro tutti i coronavirus
8 min letturaIn Israele il gruppo di esperti consultati dal ministero della Salute sulla pandemia di COVID-19 ha raccomandato la somministrazione di una quarta dose di vaccino anti COVID-19 a tutti i cittadini di età pari e superiore a 18 anni, cinque mesi dopo la terza o dalla guarigione dalla malattia. Secondo il panel di esperti, i dati dell’analisi – basata su statistiche riguardanti il confronto tra 400mila over 60 che avevano ricevuto la quarta dose e 600mila persone della stessa età che avevano ricevuto la terza – mostrano che una quarta dose del vaccino aumenta gli anticorpi fino a tre volte di più.
Haaretz racconta però che questo parere del panel di esperti ha ricevuto diverse critiche. La professoressa Gili Regev-Yochay – che ha guidato uno studio dello Sheba Medical Center secondo il quale la quarta dose aumenta ulteriormente gli anticorpi rispetto alla terza ma probabilmente non è sufficiente nel prevenire le infezioni da Omicron – ha dichiarato che ad oggi non esiste una necessità di offrire una quarta somministrazione del vaccino anti COVID-19 alle persone più giovani. Per Regev-Yochay, inoltre, questa mossa potrebbe ridurre la fiducia nei confronti dei vaccini. Secondo invece un membro del panel a favore della decisione «i giovani che hanno ricevuto tre dosi sono abbastanza protetti, ma se si vuole migliorare il loro livello di protezione, una quarta dose lo farà sicuramente». Tuttavia all’interno dello stesso comitato di esperti la raccomandazione di una quarta dose alla popolazione generale over 18 non ha avuto un voto unanime: “Dei 50 membri, 33 hanno votato a favore. Otto erano favorevoli a consentire solo alle persone sopra i 40 anni di ricevere la quarta dose e otto ritenevano che solo gli israeliani a rischio avrebbero dovuto ricevere il nuovo richiamo”, scrive sempre Haaretz.
Questa raccomandazione, che amplierebbe il precedente limitato avvio della somministrazione della quarta dose nel paese agli israeliani sopra i 60 anni e alle persone a rischio, è ora in attesa ora dell’approvazione del ministero della Salute. Il sì da parte del ministro della Salute israeliano, Nitzan Horowitz, non sembra comunque scontato. Durante un’intervista a Radio Israel, Horowitz ha dichiarato che non crede si avvierà la somministrazione di una quarta dose a tutta la popolazione di Israele.
Nel frattempo, nuovi studi pubblicati dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC), l’agenzia di salute pubblica statunitense, confermano come la terza dose (la dose di richiamo o booster) fornisca una protezione solida contro malattie gravi, ospedalizzazione e decessi, ma minore contro l’infezione. Per questo motivo i governi stanno ancora spingendo sulla somministrazione della dose di richiamo, una volta terminato il ciclo completo della vaccinazione. Eric Topol, professore di medicina molecolare presso Scripps Research, ha dichiarato che i funzionari della sanità pubblica devono comunicare chiaramente che, sebbene i vaccini e le dosi di richiamo «non reggono contro le infezioni da Omicron, sono comunque un muro contro la malattia grave da COVID-19... ed è una cosa fenomenale». A favorire la spinta delle istituzioni sulle dosi richiamo è stato l'arrivo di Omicron – definita dall'OMS variante di preoccupazione e considerata in base a evidenze scientifiche maggiormente trasmissibile rispetto a Delta –, spiega Chiara Watson su Nature. Secondo Alejandro Balazs, immunologo presso il Ragon Institute di Cambridge, nel Massachusetts, questo si deve al fatto che, rispetto a questa variante, le persone che hanno completato il ciclo vaccinale ora hanno «una risposta anticorpale insufficiente per prevenire le infezioni». Le dosi di richiamo, quindi, sono state utilizzate per aumentare i livelli di anticorpi neutralizzanti, limitare i casi di infezioni e alleviare lo stress degli ospedali, ma la preoccupazione è che i booster non blocchino le infezioni per molto tempo.
In questo quadro di incertezza, una quarta dose di vaccino anti Covid, anche in base ai dati dello studio di Israele, come abbiamo visto, non sembrerebbe ad oggi giocare un ruolo decisivo contro la possibilità delle persone di infettarsi. Diversi esperti suggeriscono che prima di somministrare un secondo richiamo siano necessari nuovi dati. Ma è proprio la strategia di vaccinare ogni tot mesi la popolazione a incontrare diverse perplessità. In un comunicato pubblicato il 21 gennaio 2022 sul sito dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), si legge che le autorità di regolamentazione internazionali partecipanti a un workshop sulla risposta globale alla variante Omicron, organizzato sotto l'egida dell'International Coalition of Medicines Regulatory Authorities (ICMRA), “hanno convenuto che la somministrazione di dosi multiple di richiamo a brevi intervalli [di vaccini] non è un approccio sostenibile a lungo termine”: “È necessario – si legge – sviluppare una strategia sui tipi di vaccini necessari per gestire la COVID-19 in futuro. Questa è una discussione globale in corso, che si trova al crocevia tra scienza, politica e salute pubblica e richiederà il coordinamento tra i responsabili delle decisioni in materia di sanità a tutti i livelli”.
Una nuova strategia che dovrebbe partire da nuovi vaccini a disposizione. Pochi giorni prima del comunicato dell'EMA, il gruppo consultivo tecnico sulla composizione del vaccino anti COVID-19 (TAG-CO-VAC) dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ponendo la stessa questione, ha affermato che i prossimi nuovi vaccini contro la COVID-19 dovrebbero avere un alto impatto, oltre che sulle ospedalizzazioni e sulle morti, anche sulla prevenzione delle infezioni e della trasmissione del nuovo coronavirus Sars-CoV-2. Inoltre, i nuovi vaccini dovrebbero essere in grado di sviluppare risposte immunitarie di lunga durata “al fine di ridurre la necessità di successive dosi di richiamo”. Il gruppo tecnico dell’OMS spiega che “in linea con questo approccio, ci sono molte opzioni da considerare: 1) Un vaccino monovalente che crea una risposta immunitaria contro le varianti circolanti predominanti. Questa opzione deve però affrontare la questione della rapida comparsa di nuove varianti di Sars-CoV-2 e il tempo necessario per sviluppare un vaccino modificato o nuovo contro di esse; 2) Un vaccino multivalente contenente antigeni di diversi Sars-CoV-2; 3) Un vaccino pan Sars-CoV-2: un'opzione più sostenibile a lungo termine che sarebbe effettivamente a prova di variante”. Comunque, “fino a quando questi vaccini non saranno disponibili e con l'evolversi del virus SARS-CoV-2 potrebbe essere necessario aggiornare la composizione di quelli attuali, per garantire che i vaccini continuino a fornire i livelli raccomandati dall'OMS di protezione contro le infezioni e malattia da COV, inclusa Omicron e future varianti”.
Proprio sul vaccino pan Sars-CoV-2, Anthony Fauci immunologo e consigliere medico capo della Casa Bianca, davanti al Congresso statunitense, ha parlato recentemente degli sforzi degli USA di sviluppare un vaccino universale contro il coronavirus, che punta a combattere sia la COVID-19 che altri virus simili che potrebbero emergere nei prossimi anni: «L’importanza di sviluppare un vaccino contro il pan-coronavirus, vale a dire uno che sarebbe efficace contro tutte le varianti di SARS-CoV-2 e, in definitiva, contro tutti i coronavirus, diventa ancora più evidente». Non esiste però ancora una tempistica prestabilita su quando un simile vaccino possa essere disponibile al pubblico, ma sono in corso numerosi progetti di ricerca, con prima risultati che sembrano promettenti, spiega la CNBC: “La Duke University, l’Università del Wisconsin e il Brigham and Women’s Hospital di Boston hanno ricevuto in totale circa 36,3 milioni di dollari per finanziare lo sviluppo di vaccini contro il pan-coronavirus. A dicembre, il Walter Reed Army Institute of Research del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato lo sviluppo di un vaccino che, in studi preclinici, ‘non solo suscita una potente risposta immunitaria, ma può anche fornire un’ampia protezione contro le varianti di preoccupazione di SARS-CoV-2, così come contro altri coronavirus’. Il vaccino Walter Reed, chiamato SpFN, ha completato la sua prima fase di sperimentazione umana il mese scorso, secondo Defense One. Deve ancora superare la fase 2 e la fase 3 prima di avanzare ulteriormente”. Fauci ha inoltre specificato che la tecnologia alla base di queste ricerche non parte da zero, ma si basa, come per i vaccini a mRna, su “investimenti in ricerca clinica” fatti decenni prima della pandemia di COVID-19.
Un vaccino universale funzionante potrebbe comunque non essere sufficiente per estinguere una pandemia e prevenire quella successiva, si legge in un approfondimento sul tema su Vox: ad esempio, “non è chiaro quanto durerà la sua protezione”. David Morens, ricercatore presso i National Institutes of Health (NIH) statunitensi ha affermato: «Potresti avere un vaccino universale che copre ogni singolo coronavirus, ma se l'immunità che suscita diminuisce, non è così buono. Servirebbe un vaccino universale non solo per coprire tutti i virus, [ma anche] per indurre un'immunità duratura». Inoltre, c’è anche la questione di come distribuire un simile vaccino: “Avremmo bisogno di un'altra campagna di vaccinazione per arrivare a tutti o questo vaccino sarebbe limitato alle persone che fanno parte di gruppi ad alto rischio? Ciò potrebbe dipendere dalle prestazioni del vaccino, nonché dallo stato del sistema sanitario e dal livello di trasmissione del coronavirus. «Le politiche di salute pubblica [dovrebbero] essere sviluppate per decidere chi dovrebbe essere vaccinato», ha detto Morens”.
Nell’attesa dei risultati di queste ricerche, sempre Fauci ha dichiarato in un'intervista alla NBC News che è concepibile che le persone possano aver bisogno di dosi di richiamo del vaccino anti COVID-19 ogni anno o due. Tuttavia i vaccini utilizzati in questo caso potrebbero essere di nuova generazione. A novembre scorso, durante una conferenza stampa, Soumya Swaminathan, chief scientist dell'OMS, ha spiegato che sono allo studio molti nuovi vaccini, che ad esempio potranno essere somministrati non con una siringa, ma per via nasale od orale con possibili effetti positivi: «Tutti questi sono quelli che chiamiamo vaccini di seconda generazione. Sono ancora in fase di sviluppo. (...) Alcuni di loro potrebbero avere dei vantaggi. Chiaramente se hai un vaccino orale (ndr, una pillola ad esempio) o un vaccino nasale (ndr, somministrato tramite uno spray) questo è più facile da somministrare rispetto a uno che si somministra con un’iniezione. Se hai un vaccino monodose è decisamente preferibile al multidose, se hai un vaccino che può essere conservato a temperatura ambiente o in un normale frigorifero è meglio che avere un vaccino che richiede -20 gradi o -70 gradi. Quindi alla fine saremo in grado di scegliere quelli più appropriati».
In particolare, i vaccini intranasali, secondo un’analisi pubblicata da Facta.news, “potrebbero indurre una risposta immunitaria direttamente nelle mucose del naso, fermando il virus all’ingresso e quindi bloccando potenzialmente anche la trasmissione, un’ipotesi corroborata, al momento, da alcuni dati sugli animali. Uno studio pubblicato il 10 dicembre 2021 su Science Immunology suggerisce che vaccini di questo tipo potrebbero portare a una risposta immunitaria concentrata nei polmoni, abbattendo il virus dove fa più danno”. Ad oggi però, si legge ancora, “gli studi clinici sugli esseri umani hanno avuto risultati poco chiari: in uno dei primi, uno studio di fase 1 del vaccino nasale AdCovid prodotto dall’azienda Altimmune, il vaccino, benché ben tollerato, non ha indotto una buona risposta immunitaria”. Questo però non vuol dire che non potranno esserci dei risultati positivi: “Secondo un medico interpellato dalla rivista medica Jama, Matthew Memoli, direttore dell’unità di studi clinici del laboratorio di malattie infettive dei NIH statunitensi, se ci si basa sugli anticorpi in circolo nel sangue «i vaccini intranasali sembreranno sempre inferiori», in quanto il loro meccanismo di azione è parzialmente diverso da un vaccino iniettato. L’unico modo di risolvere la questione è vedere se e quanto effettivamente proteggono le persone”.
Alla fine comunque, scrive David Cox, giornalista esperto di salute, in un approfondimento della BBC, “una delle più grandi eredità di questa nuova ricchezza di ricerca sui vaccini potrebbe essere quella di rendere il mondo molto più preparato per i futuri focolai di coronavirus, qualcosa che molti scienziati ritengono inevitabile in base alle tendenze degli ultimi due decenni”. «Abbiamo avuto tre focolai di coronavirus negli ultimi 20 anni», afferma Andrew Allen, presidente, amministratore delegato e co-fondatore di Gritstone (azienda biotecnologica americana che sviluppa immunoterapie e vaccini contro il cancro e malattie infettive) al giornalista: «La SARS nel 2002, la MERS nel 2012, e poi la COVID-19. Penso che siamo tutti d'accordo sul fatto che ci sarà un altro focolaio di coronavirus e dobbiamo essere pronti per questo. Dobbiamo essere più preparati rispetto all’ultima volta».
Foto in anteprima di Spencerbdavis, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons