Armi, assistenza e ambiguità: quanti e quali aiuti sta ricevendo l’Ucraina?
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“Mi servono munizioni, non un passaggio”. Il 26 febbraio 2022, poche ore dopo l’inizio dell’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, il presidente Volodymir Zelensky rispondeva così al governo americano, rifiutando senza mezzi termini la possibilità offerta dagli Usa di mettersi in salvo e lasciare Kyiv modo sicuro.
Oggi, oltre un anno dopo, la situazione non sembra essere molto diversa: governi e istituzioni internazionali hanno stanziato miliardi di euro per fornire all’Ucraina armi e assistenza, ma gli sforzi fatti non sono bastati a mettere fine al conflitto, trasformatosi ormai in una guerra di logoramento.
A un primo sguardo, l’obiettivo dei paesi occidentali sembra chiaro: aiutare un popolo sotto attacco, garantendogli assistenza e la possibilità di difendersi. A che prezzo, però?
Con l'intensificarsi degli scontri e il continuo naufragare delle iniziative diplomatiche, il dibattito intorno a quali e quanti aiuti sia opportuno fornire a Kyiv si sta facendo spazio sui media di tutto il mondo. Quali aiuti sta ricevendo l’Ucraina, e chi li invia? Come possono i governi che affermano di sostenere l’Ucraina, senza se e senza ma, bilanciare le necessità di un paese in guerra con i propri interessi nazionali? E quali sono gli obiettivi di chi invece ha scelto di mantenere una posizione ambigua, come l’India e la Cina? Come spesso succede, le risposte partono dai dati.
I numeri
I dati sugli aiuti esteri inviati in Ucraina sono forniti dallo Ukraine Support Tracker del Kiel Institute for the World Economy, un centro di ricerca tedesco specializzato in tematiche inerenti la globalizzazione. Dall’inizio del conflitto, il centro ha tenuto traccia degli aiuti forniti all’Ucraina dividendoli in tre categorie fondamentali: militari, ossia l’invio diretto di armi, munizioni e sistemi di difesa; umanitari, con iniziative di assistenza per i rifugiati e le persone colpite dai combattimenti; e finanziari, per esempio con l’apertura di linee di credito agevolate o la concessione di prestiti a fondo perduto.
Secondo queste informazioni, dal 24 gennaio 2022 al 24 febbraio 2023 sono stati forniti all’Ucraina aiuti per un totale di quasi 170 miliardi di euro, da parte di singoli Stati o di organizzazioni sovranazionali come Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite.
Circa la metà dei fondi – quasi 85 miliardi di euro – risulta stanziata per iniziative di tipo finanziario, che raramente fanno notizia. Il 43% dei fondi, pari a oltre 72 miliardi di euro, è stato destinato ad aiuti militari, mentre solo l’8%, poco meno di 13 miliardi, è finora stato utilizzato per iniziative umanitarie.
Decisioni “spartiacque”: il ruolo dell’Unione Europea
Fin dall’inizio della guerra l’Unione Europea si è attivata per fornire aiuto all’Ucraina. Secondo il sito della Direzione generale per la protezione civile e le operazioni di aiuto umanitario europee, da febbraio 2022 la Commissione Europea ha destinato 668 milioni di euro a programmi di aiuto umanitario per i civili colpiti dal conflitto, di cui 485 milioni stanziati nel 2022 e altri 145 nel 2023.
Stando ai dati disponibili sul sito della Direzione generale, la maggior parte dei fondi relativi al 2022 – il 66% – è stata utilizzata per acquistare cibo e beni di prima necessità, e per fornire alloggio alle persone la cui abitazione è stata ridotta, da un giorno all’altro, in macerie. La parte restante è stata spesa in attività di vario tipo, legate per esempio alla salute e alla ripresa dei servizi educativi. Da un punto di vista pratico, l’UE ha attivato centri logistici in Polonia, Romania e Slovacchia da cui sono passate oltre 85 mila tonnellate di materiale consegnato.
In ambito militare, la guerra in Ucraina ha segnato una svolta per la politica estera europea da cui sarà difficile tornare indietro. Per la prima volta nella sua storia, infatti, l’Unione ha dato il via libera ai finanziamenti per l’acquisto e l’invio di armi a un paese sotto attacco, una decisione descritta come un vero e proprio “spartiacque” dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, e come la rottura di un “taboo” dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
L’UE non sta acquistando individualmente le armi che vengono inviate in Ucraina, ma rimborsa, del tutto o in parte, le spese sostenute dai singoli paesi per questo scopo attraverso la European Peace Facility (Epf), un fondo con un massimale da quasi 8 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 finanziato proporzionalmente da tutti gli Stati membri. Fino a oggi l’Epf ha finanziato l’equipaggiamento militare inviato in Ucraina per 3 miliardi di euro, di cui 2,8 miliardi spesi per armi considerate letali.
Al di là delle decisioni prese in ambito militare, da oltre un anno l’Unione europea cammina sul filo del rasoio mentre cerca di conciliare il sostegno fornito all’Ucraina con gli interessi di 27 diversi paesi membri. Anche se secondo molti analisti finora l’Ue è riuscita a mostrarsi complessivamente unita nella risposta all’invasione russa, le discussioni interne non sono mancate, per esempio in ambito energetico: le negoziazioni per il blocco, anche parziale, alle importazioni di gas e petrolio hanno infatti richiesto mesi, e a fine gennaio l’Ungheria ha dichiarato che intende porre il veto su qualsiasi sanzione relativa all’energia nucleare.
Le iniziative bilaterali, dalla Germania all’Italia
Secondo i dati del Kiel Institute, a livello bilaterale la Germania è il paese europeo che ha stanziato i fondi più consistenti a favore dell’Ucraina, sia in termini assoluti che in relazione al Pil: circa 7,4 miliardi di euro, pari al 3,5% del PIL. Di questi, 3,6 miliardi sono stati spesi per l’invio di materiale bellico, e 2,5 miliardi per aiuti umanitari. Nonostante l’impegno economico rilevante, negli ultimi mesi il paese si è fatto notare soprattutto per l’atteggiamento titubante mantenuto rispetto alla richiesta di inviare carri armati in Ucraina, a cui il cancelliere Olaf Scholz ha acconsentito solo a fine gennaio, dopo settimane di rinvii.
La Francia di Emmanuel Macron ha stanziato complessivamente 1,7 miliardi di euro a favore dell’Ucraina, di cui 0,65 miliardi per aiuti militari e 0,4 miliardi per aiuti umanitari, mentre la Spagna ha contribuito con un totale di 700 milioni di euro.
Poco al di fuori dell’Unione Europea, fin dall’inizio del conflitto il Regno Unito – dove intanto si sono succeduti tre Primi Ministri – ha mostrato fermo supporto all’Ucraina e, a oggi, ha fornito aiuti per quasi 10 miliardi di euro, di cui 6,6 in ambito militare e appena 0,2 in ambito umanitario.
Anche l’Italia sta contribuendo all’invio di aiuti in Ucraina, stanziando in totale poco più di un miliardo di euro. Circa 50 milioni di euro sono stati spesi in ambito umanitario, con una serie di iniziative ben documentate e consultabili pubblicamente sul sito del ministero degli Esteri.
La situazione diventa più confusa quando spostiamo lo sguardo verso gli investimenti militari: oggi infatti non è facile conoscere con esattezza quali tipologie di armamenti l’Italia ha inviato in Ucraina. Fin dal primo decreto-legge che autorizzava l'invio di armi nel paese, approvato ad aprile 2022 dal governo Draghi e poi prorogato dal governo Meloni fino alla fine del 2023, gli elenchi degli armamenti forniti sono sempre rimasti secretati, quindi non pubblicamente disponibili. In un’intervista al Corriere della Sera di fine gennaio, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto che l’Italia aveva fornito “cinque pacchetti di aiuti nel campo della difesa”, dal valore complessivo di “circa un miliardo di euro”. Nel frattempo è stato approvato un sesto pacchetto di aiuti.
Sul sito del ministero degli Esteri si legge che a gennaio 2023, il governo italiano e quello francese hanno annunciato la decisione di “donare” alle forze armate ucraine un “sistema di difesa aerea e antimissile a medio-lungo raggio SAMP/T, nonché di organizzare e condurre congiuntamente l’addestramento del personale ucraino sullo stesso sistema”. Il nostro paese ha inoltre finanziato la European Peace Facility con 390 milioni di euro.
Al di là delle critiche relative alla mancanza di trasparenza, l’opposizione all’invio di armi in Ucraina ha trovato spazio nel dibattito politico italiano ed è stata sostenuta anche da alcuni esponenti della maggioranza di governo. Il leader della Lega Matteo Salvini, per esempio, ha spesso preso posizioni dubbie in merito all’invio di armi, mentre il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi è ormai noto per la sua vicinanza personale a Putin, vantata in più occasioni anche dopo l’inizio del conflitto.
Posizione diversa, ma comunque ambigua, è quella del Movimento 5 stelle, che in Parlamento ha votato contro la proroga dell’autorizzazione all’invio di materiale bellico per il 2023 e i cui esponenti da mesi invocano una risoluzione diplomatica del conflitto, anche se non è chiaro come, e a che prezzo per l'Ucraina. L’intenzione di raggiungere un accordo diplomatico è stata auspicata dai rappresentanti di governi e organizzazioni internazionali fin dall’inizio del conflito, ma trovare una mediazione tra le parti in causa si è finora rivelato impossibile, soprattutto a causa delle illegittime pretese territoriali della Russia e della scarsa disponibilità di Putin e Zelensky a fare concessioni sulle rispettive posizioni.
Lo scorso novembre, il presidente ucraino aveva presentato un proprio piano di pace in 10 punti, che comprendeva tra le altre cose il ritiro delle truppe russe dal paese, la cessazione delle ostilità e il ripristino dei confini e dell’unità territoriale dell’Ucraina. La proposta però è stata prontamente rigettata da Putin, che aveva ribadito di non essere disponibile a rinunciare ad alcun territorio conquistato dalle sue forze. L’emissione di un mandato di arresto nei confronti di Putin da parte della Corte penale internazionale, il 15 marzo, ha segnato un punto di non ritorno: il Segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell'Ucraina ha affermato che trovare un accordo con la Russia è ormai “impossibile”, mentre il 7 aprile il Ministro degli Esteri russo ha detto che ogni negoziazione dovrebbe basarsi sulla creazione di un “nuovo ordine mondiale”, chiudendo quindi ulteriormente le porte a una mediazione equa e rispettosa delle norme internazionali attualmente in vigore.
Tornando all’Italia, l’opinione pubblica del nostro paese si sta mostrando titubante riguardo al sostegno da fornire all’Ucraina e alla posizione da adottare nei confronti delle due parti in guerra. Secondo l’ultimo monitoraggio di Ipsos sul sentiment dell’opinione pubblica, aggiornato al 22 marzo, il 48% della popolazione è contraria all’invio di armi da parte dell’Italia, mentre il 38% è favorevole. Inoltre, mentre il 45% degli intervistati ha affermato di sostenere l’Ucraina, quasi un italiano su due – il 47% – preferisce non schierarsi. A livello europeo la situazione è diversa: il sondaggio più recente di Eurobarometer, aggiornato a fine febbraio, mostra che il 32% degli intervistati è “completamente d’accordo” con il fatto che l’UE finanzi l’invio di armi in Ucraina, e un ulteriore 33% è “tendenzialmente d’accordo”.
I dubbi degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti sono di gran lunga il donatore più generoso nei confronti dell’Ucraina, almeno in termini assoluti, con stanziamenti per 71 miliardi euro. Di questi, 43 miliardi – oltre la metà del totale – sono stati spesi per inviare materiale bellico, tra munizioni, carri armati, missili, jet militari e sistemi di difesa. Solo 3,6 miliardi, invece, sono stati spesi in ambito umanitario, per esempio attraverso l’invio di risorse alimentari o l’attivazione di iniziative di tipo sanitario o educativo.
Nonostante goda di ampio supporto pubblico e politico, l’invio tanto consistente di armi da parte degli Stati Uniti non è esente da polemiche e dibattiti di natura sia etica che pratica. In un’analisi pubblicata su Vox, il giornalista Jonathan Guyer ha evidenziato infatti che non sempre gli interessi di Kyiv e Washington coincidono.
Nella sua analisi, Guyer spiega che con i carichi di armi che arrivano in Ucraina gli USA intendono in primo luogo evitare lo scatenarsi di un conflitto nucleare e il coinvolgimento diretto della NATO, ma anche salvaguardare il diritto internazionale e mandare un messaggio chiaro al suo primo rivale in ambito geopolitico, la Cina. Non è chiaro però fino a che punto sarà possibile spingersi per raggiungere questi scopi, per esempio cedendo alle richieste russe per la cessione Crimea, regione annessa in modo illegittimo già nel 2014 e oggi rivendicata sia da Zelensky che, in modo completamente infondato, da Putin. Come l’Unione europea, anche gli Stati Uniti si trovano quindi a fare i conti con interessi nazionali e obiettivi geopolitici di più ampia portata.
L’invio di enormi quantità di armi in Ucraina rischia inoltre di evidenziare, seppure indirettamente, la debolezza dell’industria bellica occidentale. Al momento infatti i paesi che inviano armi e munizioni a Kyiv stanno attingendo dai loro arsenali, che quindi dovranno essere rinnovati con l’acquisto di nuovi mezzi. Come raccontato dal Financial Times, la produzione di armi e munizioni è un processo che richiede tempo e risorse, e le aziende che producono materiale bellico non erano pronte a soddisfare un aumento tanto rapido della domanda. Le conseguenze sono concrete: di recente, gli Stati Uniti hanno negato l’invio di missili ATACMS a lungo raggio, proprio perché altrimenti ne rimarrebbero loro stessi sforniti.
I paesi che si astengono dall’invio di armi
Se la maggior parte dei paesi occidentali ha deciso di contribuire alla difesa dell’Ucraina anche tramite l’invio di attrezzature militari, alcuni governi hanno preferito limitarsi alla fornitura di aiuti umanitari, facendo appello alla “neutralità" che da decenni contraddistingue le loro decisioni in ambito di politica estera e sicurezza.
Un esempio chiaro è la Svizzera che, dall’inizio del conflitto, ha inviato aiuti umanitari per 300 milioni di euro, senza fare alcuno stanziamento in ambito militare. Il principio della neutralità è iscritto nella legge federale svizzera che dal 1996 vieta l’invio di materiale bellico a paesi “implicati in conflitti armati interni o internazionali”. L’escalation della guerra e il netto sostegno fornito all’Ucraina da molti paesi occidentali hanno però acceso il dibattito nel paese e in Parlamento, portando molti a chiedere al governo di rivedere la propria posizione e fare un’eccezione alla politica di neutralità. A marzo, però, il governo ha confermato senza mezzi termini che la Svizzera continuerà a tener fede alla sua neutralità, nonostante richieste in senso opposto siano arrivate anche da paesi vicini come Germania, Spagna e Danimarca.
Anche l’Austria – che non fa parte della NATO, così come la Svizzera – ha aiutato l’Ucraina da un punto di vista umanitario, ma si è astenuta dall’invio di armi appellandosi al principio di neutralità stabilito dalle sue leggi. A differenza della Svizzera, in Austria la neutralità rimane molto popolare ed è sostenuta da esponenti di molte forze politiche.
La (falsa) ambiguità di Cina e India
Infine, ci sono paesi che hanno mostrato un approccio ambiguo nei confronti del conflitto, evitando di esporsi a favore dell’Ucraina e strizzando l’occhio, seppur non apertamente, a Mosca e agli interessi del Cremlino. L’esempio più lampante è quello della Cina, il cui presidente Xi Jinping ha visitato Mosca a fine marzo e presentato un cosiddetto “piano di pace” in 12 punti, che però di pace ha molto poco, dato che non prevede il ritiro delle forze russe dai territori ucraini occupati ma chiede, piuttosto, la fine delle sanzioni occidentali contro la Russia.
Secondo diversi analisti, Xi Jinping non avrebbe particolare interesse a risolvere realmente il conflitto, dato che la posizione di difficoltà in cui si trova Mosca sta permettendo a Pechino di imporsi come forza dominante nell’area e dimostrare quindi, in modo neanche troppo velato, di avere il coltello dalla parte del manico nelle relazioni con Putin.
I dati del Kiel Institute mostrano che la Cina non ha fornito alcun aiuto all’Ucraina dall’inizio del conflitto, né militare né umanitario. Nella stessa situazione si trova l’India, che più volte si è astenuta, così come la Cina, dal votare le risoluzioni promosse dalle Nazioni Unite per la fine dell’invasione russa. Tra le altre cose, entrambi le potenze asiatiche stanno traendo vantaggio dalla situazione anche a livello energetico: dall’inizio del conflitto Cina e India hanno aumentato notevolmente le importazioni di gas e petrolio dalla Russia, compensando in parte la riduzione delle entrate causata dalle sanzioni occidentali.
Intanto, il 28 marzo 18 carri armati Leopard 2 sono arrivati in Ucraina dalla Germania, insieme a 40 mezzi da combattimento Marder per la fanteria e due veicoli per il recupero di carri armati dismessi. A questi si aggiungono altri 10 mezzi inviati dalla Svezia, tre dal Portogallo, e 31 veicoli M1A2 Abrams in arrivo dagli Stati Uniti, che il 5 aprile hanno anche annunciato un altro pacchetto di aiuti militari da 2,6 miliardi di euro.
Come spesso ricordato da Zelensky, l’Ucraina ha bisogno delle armi occidentali per continuare a resistere contro l’avanzata russa, e al momento gli alleati non sembrano mettere in dubbio gli impegni presi. Fino a quando, e con quali risultati, sono domande a cui oggi è difficile rispondere.
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