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Cosa vogliono Putin e Trump

19 Marzo 2025 5 min lettura

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Cosa vogliono Putin e Trump

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Durante il tardo pomeriggio di martedì 18 marzo a Mosca, mentre Vladimir Putin era impegnato in una lunga conversazione telefonica con Donald Trump, sono state rimosse le lettere Z, V, O – simboli dell’invasione russa dell’Ucraina – piazzate da più di un anno e mezzo davanti all’ambasciata degli Stati Uniti. Una notizia simbolica, che immediatamente ha visto reazioni ironiche da un lato e di sdegno dall’altro, ma durata poco: nel corso della serata le lettere son tornate al proprio posto – ufficialmente erano state rimosse per esser ripulite - a ricordare più ai moscoviti che ai dipendenti (pochi, dopo le espulsioni reciproche) della rappresentanza diplomatica americana di come il Cremlino continui a essere sulle proprie posizioni.

Può sembrare un’esagerazione, ma ieri dalle 15:30 per circa due ore agenzie di stampa, corrispondenti, diplomatici, analisti e anche comuni cittadini in varie parti del mondo hanno atteso gli esiti del vertice telefonico, forse aspettandosi un passo in avanti verso l’apertura di trattative di pace o, in seconda battuta, verso la proposta di tregua di 30 giorni avanzata nell’incontro tra le delegazioni statunitense e ucraina a Gedda; l’esito del colloquio è stato però ben diverso, e anche nel leggere il comunicato del Cremlino, pubblicato dal sito ufficiale della presidenza russa, e le dichiarazioni alla stampa da parte americana, colpisce come, al di là dell’ottimismo e del trionfalismo (quest’ultimo tra i marchi di fabbrica di Trump), vi sia abbastanza poco per quanto riguarda la risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina.

A essere dominante, leggendo le parole scelte nel comunicare (parzialmente) i contenuti della telefonata, è l’impressione che da parte russa non vi sia alcuna fretta nel sedersi al tavolo dei negoziati, e si prenda tempo, una sensazione rafforzata dalla lettura di alcuni passaggi del comunicato, a partire dal secondo paragrafo:

Ribadendo il principio della risoluzione pacifica del conflitto, il presidente russo si è dichiarato disponibile a un'analisi approfondita con i partner americani delle possibili vie di soluzione, che dovrebbero essere globali, sostenibili e a lungo termine. Ha sottolineato, inoltre, la necessità imprescindibile di affrontare le cause profonde della crisi e di garantire il rispetto degli interessi legittimi della Russia in materia di sicurezza.

Misure come l’analisi approfondita richiedono il lavoro di decine di funzionari, consiglieri, diplomatici e esperti, e in termini di durata vanno ben oltre la volontà, espressa chiaramente, della Casa Bianca di voler procedere quanto più in fretta possibile a una soluzione negoziale, ma per Vladimir Putin non vi è alcuna necessità di velocizzare il processo, anzi: sempre nel comunicato si annuncia la costituzione di commissioni bilaterali per l’elaborazione di proposte per proseguire negli sforzi di risoluzione, una misura che di per sé richiede dei tempi tecnici la cui durata appare difficile da pronosticare.

La dilazione, tattica scelta dal Cremlino, non è però mai netta, come anche il rifiuto sostanziale di un accordo con l’Ucraina, almeno in questo momento: dopo aver denunciato ancora una volta “l’inaffidabilità” del governo di Kyiv, ulteriore rimando alla volontà di rimuovere Volodymyr Zelensky, si accetta una proposta di sospensione per 30 giorni degli attacchi alle infrastrutture energetiche – centrali elettriche, raffinerie, gasdotti e così via – come primo passo, assieme a uno scambio di 175 prigionieri di guerra per 175, verso future prove tecniche di trattativa, che appaiono però sempre distanti all’orizzonte. Nel comunicato del Cremlino leggiamo, in un breve paragrafo, che “condizione chiave” è “la cessazione totale degli aiuti militari stranieri e del supporto di intelligence” a Kyiv, un passaggio poi smentito indirettamente da Donald Trump, il quale in un’intervista a Fox News poco dopo la telefonata ha sostenuto di non aver discusso del riarmo ucraino. 

Vladimir Putin ritiene di essere in vantaggio nel condurre la complessa partita con Donald Trump sugli equilibri globali, di cui l’Ucraina è una parte importante per la Russia ma appare (almeno adesso) esserlo molto meno per gli Stati Uniti, un elemento che appare presente indirettamente anche nel post su X della portavoce del presidente americano Karoline Leavitt, dove, a differenza del comunicato di Mosca, vi è un passaggio sulla sicurezza in Medio Oriente e sull’impegno dei due leader nell’evitare la “distruzione di Israele” da parte dell’Iran, parole che vengono dopo l’attacco statunitense alle basi degli Houthi in Yemen. Teheran, vicinissima alla Russia negli ultimi tre anni di guerra, attiva nei rifornimenti di missili e droni, potrebbe essere una pedina sacrificabile per Putin in cambio dell’Ucraina.

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Gli obiettivi del regime russo restano sempre gli stessi enunciati in queste settimane, e presenti sia nel comunicato che nell’intervento del presidente al congresso annuale dell’Unione degli industriali e degli imprenditori russi, avvenuto nella mattinata del 18 marzo: dopo aver ricordato ai presenti che vi sono 28.595 sanzioni nei confronti delle aziende e di esponenti russi e di dover per questo puntare allo sviluppo dell’economia nazionale solo sulle proprie forze, nel corso di una sessione chiusa al pubblico e rivolta a riferire di quali passi siano stati fatti nel corso dei contatti con gli americani, Putin e il suo consigliere economico Maksim Oreshkin avrebbero chiarito come per Mosca la situazione al fronte sia positiva, le truppe ucraina non riescono a “trincerarsi”, per cui  le condizioni avanzate restano quelle dichiarate, per far in modo come, secondo quanto riferito da alcune fonti al giornalista Andrei Kolesnikov:

Quanto ottenuto non possa esser tolto (alla Russia) e che si debbano riconoscere come parte della Russia la Crimea, Sebastopoli e i quattro territori già noti: le repubbliche di Luhansk e Donetsk, nonché le regioni di Kherson e Zaporizhya.
Se ciò dovesse accadere nel prossimo futuro, la Russia - mi hanno detto i partecipanti all’incontro - non rivendicherebbe Odessa né altri territori attualmente appartenenti all’Ucraina.
Tuttavia, anche questa posizione potrebbe cambiare, perché "non fanno in tempo a trincerarsi". (si riferiscono agli ucraini — GS)

Mosca ritiene, in questo momento, di poter ottenere – con la forza o con i negoziati, ma preferisce in questo momento la prima – i suoi obiettivi per poter dichiarare “vittoriosa” l’operazione speciale militare, e difficilmente Vladimir Putin cederà, perché si considera vicino alla meta; poco importa quali prezzi vi siano da pagare.

Nel corso della notte tra il 18 e il 19 marzo 57 droni ucraini, secondo il Ministero russo della Difesa, sarebbero stati abbattuti sui cieli delle regioni russe di Kursk, Orel, Tula, Bryansk e sul Mar d’Azov, mentre per il dicastero di Kyiv la Russia avrebbe attaccato con due missili Iskander, quattro C-300, e 145 droni, di cui 72 colpiti e 56 dispersi. Una raffineria nei pressi del villaggio di Kavkazskaya, nella regione di Krasnodar, è stata colpita dai droni ucraini, nella stessa notte a Kyiv per 6 ore c’è stata l’allerta aerea; la tregua e la pace, dai cieli di queste parti d’Europa, appaiono lontane, parole dette al telefono mentre il mondo attende, tra distruzioni e rovine.

Immagine in anteprima: frame video TG2000 via YouTube

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