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Putin sta vincendo?

15 Dicembre 2023 9 min lettura

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Putin sta vincendo?

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La posa sicura, il volto che accenna sorrisi, il tono fermo e anche qualche battuta: Vladimir Putin giovedì 14 dicembre ha risposto alle domande dei giornalisti e dei cittadini per quattro ore e quattro minuti, dalle 10 di Mosca, senza dare l’impressione di essere in difficoltà. Il presidente russo durante la lunga maratona trasmessa sia in diretta televisiva che online è riuscito a rendere visibile la propria soddisfazione per l’andamento della guerra in Ucraina e per le discussioni attorno al sostegno militare e finanziario negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, più volte tornando sui temi attorno alla “operazione speciale militare”, anche grazie alle domande (spesso concordate) sia dei voenkory, i blogger nazionalisti diventati corrispondenti di guerra, sia dei militari e dei volontari al fronte. Un messaggio importante anche rispetto all’impostazione della campagna elettorale per il rinnovo della carica di presidente, dove invece dell’agenda proposta dall’Amministrazione presidenziale improntata a temi lontani dalla guerra si affermano le rivendicazioni della giustezza del conflitto e delle vittorie (vere o esagerate) delle forze armate russe. L’impasse di fatto lungo i duemila e passa chilometri della linea del fuoco viene letto dal Cremlino come la dimostrazione dei propri successi e soprattutto del fallimento della controffensiva ucraina e dei rifornimenti provenienti dai paesi dell’Alleanza atlantica, e Putin ha ripetutamente segnalato la distruzione da parte dei militari russi delle armi e dei mezzi occidentali in dotazione al nemico.

Ampio spazio è stato dedicato alle questioni economiche e sociali, tema di numerose domande soprattutto da parte dei cittadini, preoccupati dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dei rincari delle bollette. L’inflazione, secondo i dati enunciati da Putin, si attesterebbe al 7,5% annuo, ma si tratta più di una stima che di un elemento reale, perché il costo delle uova, alimento alla base della cucina russa, è cresciuto secondo quanto rilevato da Rosstat, istituto statistico statale, del 46,2% dall'1 gennaio all’11 dicembre, con un incremento medio del 4,55% nel corso di sei giorni, dal 5 all’11 dicembre. 

Un’impennata dovuta essenzialmente a tre fattori: l’esaurimento delle scorte estive; le complicazioni doganali sull’importazione; il rincaro generale dei mangimi, dell’elettricità e del costo del lavoro. Già precedentemente l’Autorità russa sui prodotti agro-alimentari aveva annunciato l’eliminazione delle tasse sull’import dalla Turchia, misura confermata dal presidente durante la linea diretta rispondendo al video inviato da una pensionata, Irina Akopova da Krasnodar, in lacrime per il carovita. Se i prezzi, nella conversione in euro, possono sembrare convenienti raffrontati a un salario italiano, in realtà devono essere rapportati agli stipendi russi, in media (al settembre 2023) pari a 69.439 rubli, ovvero 700,85 euro, una cifra in cui vi sono sia Mosca (125.349 rubli, cioè 1265,16 euro) sia la Crimea (45.166 rubli, 455,86 euro) e il Daghestan (35.201, uguale a 355,29), dati abilmente omessi da chi elogia le politiche del Cremlino in Italia. 

Di fronte però a questi indicatori socioeconomici preoccupanti per una larga fascia della popolazione russa, Putin si è mostrato sicuro, anche rispetto al passato quando di fronte a denunce simili criticava le decisioni e l’immobilismo del governo e delle autorità locali: si tratta di difficoltà temporanee, secondo il presidente, a cui i ministeri responsabili starebbero già lavorando per trovare una soluzione. 

Un approccio differente anche se si guarda alle campagne elettorali del passato, in cui promesse e programmi – come i “decreti di maggio”, undici provvedimenti promulgati nel 2012 con indicazioni precise al governo sul miglioramento della condizione socioeconomica e poi modificati o aboliti in molte loro parti tra il 2020 e il 2023 – sono assenti; il discorso è ben diverso per altre misure, dirette al sostegno dei militari e dei volontari impiegati nella guerra in Ucraina, applicate celermente nonostante alcuni ritardi e problemi denunciati durante la conferenza stampa e la linea diretta sia dai voenkory che dai combattenti. 

Già nel corso del 2022 erano state adottate disposizioni di supporto per i familiari, da tassi agevolati per l’acquisto di case e appartamenti fino a una serie di aiuti nella ricerca di impiego o nel pagamento di tasse e mutui, seguite poi l’anno successivo dalla gratuità degli studi universitari sia per i combattenti che per i propri parenti, senza dover sostenere gli esami d’ammissione (obbligatori in non pochi atenei), dalle quote per l’assunzione in varie professione e infine da una serie di misure prese nelle regioni, come l’abbonamento gratuito per il trasporto pubblico. Si tratta della creazione di una base importante di consenso per il regime di Vladimir Putin, la cui posizione privilegiata nella Russia post-24 febbraio 2022 è ormai un dato di fatto, e che però potrebbe rappresentare una delle possibili cause di instabilità interna, anche se dopo il tentato ammutinamento messo in campo da Evgenij Prigožin con i suoi uomini della Wagner e la sua tragica fine nei cieli a nord di Mosca, lo spettro della ripetizione in forme diverse di uno scenario del genere sembra essersi allontanato, complici i problemi della controffensiva ucraina. 

Nel rispondere alla domanda dei due conduttori della linea diretta, i giornalisti del Primo canale russo, Ekaterina Berezovskaja e Pavel Zarubin, sulle sue letture per il prossimo periodo, Putin ha detto che si sarebbe dedicato alla rilettura del Codice penale, puntuta replica alla domanda di un corrispondente della testata Life sulla severità delle condanne per i reati economici, ritenuta una “caccia alle streghe”: è stato l’unico momento in cui il leader ha reagito nervosamente, sostenendo come si trattasse di una vera e propria esagerazione. 

Il tema degli arresti per reati d’opinione non è stato quasi toccato durante le quattro ore di domande e risposte, se non da parte di Valerie Hopkins, giornalista del New York Times, sulla sorte del collega del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, detenuto con l’accusa di spionaggio dalla scorsa primavera: la risposta di Putin è stata significativa, perché ha ufficializzato l’esistenza di una trattativa al riguardo ed è possibile leggervi anche quale sia la contropartita richiesta da Mosca, lo scambio con Vadim Krasikov, agente dell’FSB detenuto in Germania, dove sta scontando una condanna all’ergastolo per l’assassinio di Zemlikhan Khangoshvili, già comandante di una unità cecena durante la seconda guerra nella repubblica caucasica e ritenuto dalle autorità russe responsabile dell’attentato alla metropolitana della capitale il 31 agosto  2004, dove morirono 10 persone.

Cosa si muove all’interno della Russia?

Eppure la repressione continua a segnare le cronache quotidiane dalla Russia, in un continuo inasprimento delle leggi. Lo scorso 30 novembre la Corte suprema della Federazione Russa ha riconosciuto il movimento LGBT “organizzazione estremista”, formula assai larga per consentire di colpire quanta più gente possibile (qui l’approfondimento di Maria Chiara Franceschelli); da dieci giorni di Alexey Navalny non vi è traccia, il suo nome è stato eliminato dalla lista di detenuti della Colonia penale n.2 del villaggio di Melechovo nella regione di Vladimir, e ancora prima i suoi avvocati sono stati messi agli arresti con l’accusa di partecipazione a organizzazione terroristica (il governo russo ha così classificato il Fondo per la lotta alla corruzione, struttura fondata dal blogger e politico in carcere dal 2021 dopo un tentativo di avvelenamento). 

Le condanne si susseguono nei confronti degli oppositori alla guerra, e nuovi casi vengono aperti anche nei confronti dei detenuti, i cui ricorsi vengono respinti: Il’ja Jašin, condannato a 8 anni e sei mesi di galera per le proprie dichiarazioni contro l’aggressione militare russa, il 14 dicembre ha visto respinto l’appello, occasione in cui ha però avuto la possibilità di intervenire.

“L’Ucraina orientale, abitata prevalentemente dalla popolazione russa, con l’avanzata dell’esercito russo si è trasformata in un cumulo di rovine. Putin ha cancellato dalla faccia della terra centinaia di cittadine e villaggi ucraini, ha privato della vita decine di migliaia di uomini e donne, milioni di persone sono diventate rifugiati”, ha dichiarato Jašin durante il discorso al tribunale. “Persino quegli ucraini che un tempo erano vicini alla Russia oggi ci chiamano assassini e invasori, Putin ha per sempre separato da noi gli ucraini, trasformando i fratelli in nemici di sangue”.

La guerra non ha portato nulla di buono alla Russia, aggiunge poi il politico, sottolineando come “ogni giorno nelle trincee muoiono i nostri soldati, che avevano giurato di difendere la patria ma invece sono stati gettati in un paese straniero a combattere non si sa in nome di cosa. Il governo divora le riserve finanziarie, brucia letteralmente nel fuoco della guerra miliardi di rubli che avrebbero potuto essere investiti nell’economia, nell’istruzione, nella sanità, e nei negozi crescono vertiginosamente i prezzi, l’inflazione mangia gli stipendi e i sussidi, il popolo diventa sempre più povero”. 

Le parole di Jašin fotografano la situazione con una certa dovizia di particolari, ma oltre agli aspetti economici e sociali vi sono migliaia di famiglie in attesa dei propri cari, mobilitati al fronte ormai quattordici mesi fa e non rientrati, nonostante le promesse di avvicendamento da parte dei vertici militari. Alla fine di ottobre è nata Put’ domoj (La strada verso casa), iniziativa delle mogli dei cittadini inviati a combattere con la mobilitazione parziale dell’autunno 2022, che ha messo in campo una serie di sit-in e manifestazioni, spesso disperse dalle forze dell’ordine, per chiedere chiarezza sul destino dei propri mariti, compagni, figli. 

Le donne sono scese in piazza il 7 novembre in piazza Teatral’naja a Mosca, durante l’annuale manifestazione del Partito comunista della Federazione Russa (Kprf) per l’anniversario della rivoluzione d’Ottobre, per far presenti le proprie rivendicazioni, ma sono state allontanate dai dirigenti della formazione di Gennadij Zyuganov, convinto sostenitore della guerra, e segnalate alla polizia; in altre città invece gli attivisti del Kprf hanno appoggiato gli slogan delle donne. Numerosi appelli sono stati rivolti a Putin e inviati alla linea diretta, ma non sono stati mostrati durante le ore di trasmissione, in uno di essi il messaggio è chiaro: “Siamo tante e ne saremo sempre di più”. Put’ domoj denuncia anche le torture e gli arresti dei mobilitati che si rifiutano di combattere o obiettano agli ordini e alla disciplina, spesso feroce, di alcune unità; “Non siamo il vostro gregge”, si legge in un’altra dichiarazione. 

Il 9 dicembre, per la Giornata degli eroi della patria, decine di donne in varie città russe, il capo coperto da uno scialle bianco, simbolo del proprio dissenso, si sono recate ai monumenti ai caduti per portare fiori e ricordare i propri familiari al fronte, un’azione che ha lasciato interdette le forze di polizia. Si tratta di qualcosa di nuovo, perché la questione della guerra qui viene posta non più dagli attivisti antimilitaristi o solidali con il popolo ucraino, ma da famiglie difficilmente imputabili di essere antipatriottiche; una linea di frattura che potrebbe svilupparsi (o rientrare) in modo inatteso, e a cui al momento il Cremlino non ha ancora trovato risposta, anche se l’annuncio della ricandidatura fatto da Putin durante l’incontro con il presidente dell’assemblea della repubblica di Donetsk, Artem Žoga, padre di Vladimir, comandante del battaglione Sparta e morto nel marzo 2022, potrebbe essere una risposta che indica come vi siano famiglie “patriottiche”, pronte a sacrificare i propri cari, e donne invece “egoiste”.

Le donne si trovano, malgrado tutto, al centro del dibattito politico in questo momento, e non solo a causa della guerra. Da novembre in poi in una serie di regioni sono state adottate leggi e circolari che impediscono alle cliniche e alle strutture sanitarie private di praticare interruzioni di gravidanza, mentre la retorica antiabortista ha raggiunto nuove vette, fra varie proteste, con l’attivo sostegno della Chiesa ortodossa russa, da anni impegnata in una battaglia per l’abolizione dell’aborto, e di un settore importante dell’establishment politico, rappresentato dal magnate ultranazionalista Konstantin Malofeev e dalla sua holding Tsargrad; una senatrice legata all’oligarca, Margarita Pavlova, aveva dichiarato come fosse necessario limitare l’accesso all’istruzione universitaria alle donne, per affrontare la crisi demografica in cui la Russia si dibatte ormai da tre decenni. 

L’argomento è particolarmente esplosivo, come si può desumere dalle parole di Vladimir Putin durante la conferenza stampa del 14 dicembre, in cui ha sostenuto che l’aborto non viene limitato, e come sia necessario ricorrere a misure di stimolo della maternità, affermazioni prudenti ma in cui viene sottaciuta la pratica di rendere molto più difficile il ricorso a una misura in costante diminuzione sin dall’inizio degli anni Novanta.

Putin sta vincendo? Più volte nel corso di questi mesi di guerra si è posta l’attenzione sul processo di sgretolamento della verticale del potere, dinamica che però non conosce sviluppi lineari, ma accelerazioni e momenti d’assestamento, e oggi assistiamo a quest’ultimi, dopo un lungo periodo, apertosi nell’autunno 2022 con la riconquista di alcuni territori tra cui la città di Cherson da parte ucraina e conclusosi con l’eliminazione di Evgenij Prigožin il 24 agosto 2023. 

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Le contraddizioni che attraversano il sistema, però, sono ben lontane dall’essere risolte: persino Putin, tra una dichiarazione ottimista e un’altra trionfale riguardo alla condizione economica del paese, dove si dovrebbe registrare una crescita del Pil del 3,5%, è costretto ad ammettere a denti stretti i problemi presenti in settori strategici, quali l’automotive (il costo delle automobili di produzione russa è cresciuto in media del 40%) e l’aeronautica civile, dove la manutenzione dei velivoli di fabbricazione occidentale incontra enormi difficoltà e l’industria russa non riesce a compensare la richiesta di aerei. 

L’attacco alle donne in nome dei valori tradizionali, la loro mobilitazione per il ritorno a casa dei propri cari e in difesa dei propri diritti, potrebbero annunciare una nuova, ulteriore fase, nell’epoca aperta il 24 febbraio 2022 e rendere i pronostici, spesso impressionisti, prima su una rapida sconfitta del Cremlino e oggi di una sua altrettanto repentina vittoria, lontani dalla propria realizzazione.

Immagine in anteprima via Kremlin.ru

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