Putin e la mobilitazione parziale: il rischio di distruggere l’equilibrio su cui si regge il potere e di devastare il paese
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Trecentomila richiamati alle armi, ecco il primo dato della mobilitazione parziale indetta da Vladimir Putin e spiegata dal ministro della Difesa Sergei Shoigu. Una scelta dettata dai rovesci russi al fronte, con la perdita dei territori precedentemente occupati nella regione di Kharkiv, e dalle immagini del “ridislocamento”, come è stata chiamata la ritirata dell’esercito di Mosca, con l’abbandono al proprio destino di chi aveva scelto di collaborare con le amministrazioni insediate dalle forze d’occupazione.
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Nei primi giorni dell’avanzata ucraina, il disorientamento è stato forte, dovuto alle risposte assai confuse dei media ufficiali su cosa stava avvenendo e dall’atteggiamento dello stesso Putin, il quale prima non ha commentato le notizie dall’Ucraina per poi sfoggiare indifferenza e distacco, dichiarando che tutto va avanti secondo i piani e ora è Kiev a dover dimostrare cosa sa fare. Un periodo di alcuni giorni di incertezza, che però non hanno indotto il Cremlino a cambiare i propri piani, ma a rilanciare, probabilmente dopo aver saggiato possibili reazioni nella società. Il tono utilizzato nel discorso di Putin in cui si annuncia la mobilitazione parziale non lascia spazio ai dubbi, si tratta di una scelta adottata con la sicurezza di poter segnare un’inversione di tendenza al fronte, aumentando il numero degli effettivi e cercando di raggiungere la parità sul campo con le truppe ucraine. La prima cifra annunciata dal ministro della Difesa infatti non è quella finale, nel decreto presidenziale pubblicato il 21 settembre immediatamente dopo l’intervento di Putin non si fa menzione di quanti saranno i richiamati da pescare nello zapas, la riserva, composta da milioni di uomini che sono passati per la leva o per l’esercito. Il numero preciso della riserva è coperto da segreto di Stato, ma secondo quanto detto da Shoigu si è attorno ai 25 milioni di persone che possono essere mobilitate. Dalla mobilitazione sono esclusi soldati di leva e studenti, ragione dettata forse anche dai sondaggi pubblicati dal Centro Levada il primo settembre, dove si registrava nelle fasce d’età 18-24 e 25-39 come rispettivamente il 54% e il 53% degli intervistati era favorevole a iniziare colloqui di pace subito, a fronte del 40% e del 37% di sostenitori della guerra ad oltranza. Una rilevazione significativa, svolta in un contesto dove i sondaggi si prestano a fornire una fotografia distorta degli umori nella società a causa delle leggi repressive adottate durante l’ultimo decennio e rafforzate dal pacchetto di norme elaborato da febbraio in poi con il vilipendio alle forze armate e la diffusione di “fake news”, che segnala ancora una volta il divario generazionale esistente nella visione del mondo e nella ricerca delle informazioni.
La decisione di ricorrere alla mobilitazione parziale è possibile da leggere anche come conseguenza delle pressioni provenienti dal variegato fronte formatosi a sostegno di un’escalation sempre più forte, spesso definito come il “partito della guerra”. In realtà si tratta di un sentimento che unisce settori molto compositi, dall’area ultranazionalista che vede nell’oligarca monarchico e ortodosso Konstantin Malofeev, in Aleksandr Dugin e nel pubblicista d’estrema destra Egor Cholmogorov i principali punti di riferimento all’ex presidente e premier Dmitrij Medvedev, passando per gruppi di ufficiali delle forze armate e di sicurezza e Evgenij Prigožin, l’imprenditore della ristorazione patron del Gruppo Wagner, la compagnia di mercenari attiva in varie parti del globo a sostegno degli interessi del Cremlino. Personaggi e ambienti assai diversi, spesso in conflitto, come nel caso del rapporto tra i militari e i mercenari della Wagner, problematico già dalla campagna siriana, o tra i vari esponenti nazionalisti, per ragioni di leadership, ma in questo momento vi è stato un minimo comun denominatore, l’insoddisfazione, aperta o meno, nei confronti della gestione dell’operazione speciale militare, di cui se ne criticano irrisolutezza e mediocrità. Un sentimento declinato in modi diversi, ma in grado di poter riconfigurare equilibri e di esser la base per la costruzione di una unità di intenti tra le diverse entità, con la volontà di portare avanti la guerra fino alla vittoria finale, da conseguire nello scontro non con l’Ucraina ma con il kollektivnyj Zapad, “l’Occidente collettivo”, figura adottata da Putin nel 2021 come sinonimo sia di élites globaliste che degli Stati Uniti e dei suoi alleati (e utilizzata anche nel discorso del 21 settembre). Le critiche di quest’area nei giorni successivi alla ritirata dai territori dell’Ucraina nord-orientale hanno preso di mira anche il presidente, invocando la mobilitazione totale come soluzione ai problemi del fronte, e non è da escludere che la scelta di procedere con la parziale sia stata una risposta alle pressioni. La giornata del 19 settembre è stata quindi teatro di uno spettacolo con alcuni elementi già preparati precedentemente e altri tirati su in fretta, dagli appelli provenienti dalle Camere delle associazioni delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk a svolgere i referendum quanto prima, ripresi poi da assemblee nei territori occupati di Cherson e di Zaporiž’ja, al fissare la chiamata alle urne dal 23 al 27 settembre, dopo che si era deciso di rinviare l’appuntamento prima al 4 novembre e poi a data da destinarsi. Il messaggio di Putin ai cittadini russi e le comunicazioni di Shoigu hanno rappresentato l’epilogo delle ore di febbrile attesa.
Il richiamo alle armi è stato diviso in tre tornate a seconda dell’età: i primi a partire per l’addestramento e poi per il fronte saranno i soldati e i marinai fino ai 35 anni, i sottufficiali fino ai 50, gli ufficiali fino ai 55, i tenenti colonnelli e i capitani fino ai 60 e colonnelli e generali fino ai 65. Nella seconda tornata si innalza l’età (di 10 anni per la truppa, si arriva ai 45, e di 5 per il resto), e nella terza vi è un ulteriore allargamento della fascia. Se è vero che, come ripetuto più volte dai vertici, si tratta di personale con esperienza militare, resta da organizzare l’addestramento e la logistica dei nuovi effettivi, garantendo rapidità e sicurezza. Ogni regione dovrà stabilire una quota di “riserve” da inviare, e i governatori sono stati incaricati di seguire la mobilitazione, garantendo gli obiettivi fissati, al momento solo da Kursk è arrivato l’impegno a inviare tra i 2500 e 3000 uomini. Secondo quanto dichiarato dal presidente della Commissione Difesa della Duma Andrej Kartapolov, a fornire il maggior numero di truppe saranno le regioni occidentali e centrali, più popolose rispetto ad altri territori russi. L’affidamento a livello regionale del primo livello di convocazione ha già portato a restrizioni alla libera circolazione sul territorio federale, con divieti identici adottati sin dalle prime ore successive alla proclamazione della mobilitazione in Daghestan, nel Tatarstan, nelle regioni di Kursk e di Samara. Nei provvedimenti adottati si impone anche il rientro dei cittadini residenti per ragioni di lavoro e di studio entro tre giorni dalla pubblicazione ufficiale, in attesa della chiamata definitiva. A Mosca, mentre il 19 settembre si attendeva il messaggio televisivo del presidente, il sindaco Sergei Sobianin ha annunciato la prossima apertura di un punto di reclutamento nei pressi del centro per l’immigrazione a Sacharovo, circa 80 km dal centro della capitale, per semplificare le procedure di arruolamento dei migranti, allettati dalla promessa di ottenere la cittadinanza russa con regime semplificato. Una novità accolta negativamente dall’ambasciata del Kirghizistan, che in una nota pubblicata sul proprio sito ha ricordato ai propri cittadini come la partecipazione a missioni di guerra combattendo sotto le insegne di un altro Stato sia passibile di condanna fino a 10 anni.
Già dal mattino del 20 settembre sono state annunciate proteste contro la mobilitazione nelle principali città russe, con una partecipazione difficile da quantificare per le ormai classiche modalità di gestione dell’ordine pubblico da parte delle autorità: a Mosca e a San Pietroburgo hanno preso parte alle proteste alcune migliaia di cittadini, dato confermato dal numero dei fermi, 1386, in 38 centri urbani, con ripetute violenze nei confronti dei manifestanti. In alcuni casi ai manifestanti rinchiusi nei commissariati sono state consegnate le convocazioni al distretto militare o all’ufficio reclutamento. Si potrebbe aprire una nuova ondata di proteste simile a quanto avvenuto nelle prime settimane di guerra, con oltre 16.000 tra fermati e arrestati in trenta giorni, assieme all’intensificarsi di altre azioni di dissenso verso la guerra: dall’incendio degli uffici militari al sabotaggio ferroviario, vi sono svariati atti, spesso non coordinati tra loro, che fanno emergere la contrarietà all’operazione speciale militare di una parte della popolazione.
‼️Жестокое задержание на Арбатской #москва #война pic.twitter.com/bJKFL9YOrI
— SOTA (@Sota_Vision) September 21, 2022
Dalla mobilitazione parziale sono esclusi, oltre agli inabili e ai riformati, i deputati della Duma e i senatori del Consiglio della Federazione. Un’assenza motivata, nelle parole del parlamentare di Russia Unita Dmitrij Vjatkin, con «la responsabilità di spiegare l'importanza e la criticità della situazione attuale a tutti» per ogni deputato. «Scrivere il rapporto e andare al fronte è la decisione più semplice, ma per ognuno di noi vi sono i cittadini di cui siamo responsabili», ha detto Vjatkin, tra gli autori della legge adottata ieri all’unanimità dalla Duma che aumenta le pene in caso di reati durante la mobilitazione. Ma non sono solo i deputati a essere esentati dalla chiamata alle armi, come reso noto da uno scherzo del canale Telegram Populjarnaja politika (Politica popolare) a Nikolaj Peskov, figlio del portavoce di Putin. Spacciandosi per un funzionario del distretto militare, uno degli admin del canale ha chiesto al giovane di presentarsi per la mattina del 22 settembre per la convocazione, ricevendo in cambio una piccata - «se sapete che sono il signor Peskov, dovreste capire quanto sia scorretto che io debba essere lì», minacciando di risolvere la questione a livelli più alti. Una disparità di trattamento esibita e rivendicata come dato incontrovertibile di natura, con i chiamati al fronte che si vedranno licenziati perché “assunti" dall’esercito, e da cui si cerca di scampare in ogni modo: i biglietti aerei per le destinazioni ancora aperte ai voli dalla Russia per il 21 e il 22 settembre sono andati esauriti nel giro di cinque ore, e lunghe code di automezzi e persone stazionano ai posti di frontiera con la Finlandia, la Georgia e la Mongolia. Come ha notato il politologo Grigory Yudin, l’assenza di mobilitazione politica, dovuta alle caratteristiche del regime putiniano, autoritario ma non totalitario e volto alla depoliticizzazione della società, rende l’arruolamento di centinaia di migliaia di cittadini difficile da comprendere, un’avventura in grado in prospettiva di distruggere l’equilibrio su cui si regge il potere e di devastare il paese.
Immagine in anteprima: frame video proteste anti mobilitazione in Russia via Twitter