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Putin è un criminale di guerra: l’isolamento internazionale e la riduzione del paese a “Stato canaglia” sono irreversibili prima di un eventuale cambio di regime

20 Marzo 2023 8 min lettura

Putin è un criminale di guerra: l’isolamento internazionale e la riduzione del paese a “Stato canaglia” sono irreversibili prima di un eventuale cambio di regime

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L’ultima settimana ha costituito una svolta decisiva per i procedimenti aperti allo scopo di indagare i crimini di guerra commessi dall’esercito russo in Ucraina. Il 15 marzo la commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha pubblicato un report dettagliato riguardo «attacchi con armi esplosive in aree popolate, uccisioni volontarie di civili, reclusioni illegali, tortura, stupri e altre violenze sessuali, nonché trasferimenti illegali e deportazioni di bambini». 

È proprio quest’ultimo il motivo per cui, due giorni dopo, la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, così come per Maria Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del governo russo – la sua risposta al mandato di cattura internazionale è stato dichiarare come i minori ucraini siano circondati da “persone affettuose”. Secondo il procuratore della ICC Karim Khan, le prove raccolte testimonierebbero un’intenzione deliberata di strappare i bambini dall’Ucraina, all’insaputa delle famiglie di appartenenza.

Il 13 marzo era trapelata l’informazione sull’apertura da parte della Corte di due casi per crimini di guerra, in relazione sia alle deportazioni che ai bombardamenti russi delle infrastrutture civili. Lo scopo manifesto di questi ultimi è stato quello di tenere al freddo e al buio milioni di cittadini ucraini durante lo scorso inverno. La Corte aveva negato di fornire ulteriori dettagli ai giornalisti, e in pochi avevano immaginato che fra i due soggetti incriminati ci potesse essere proprio il capo del Cremlino.

La richiesta di arresto del presidente russo è certamente una decisione simbolica, guardando unicamente al breve termine. Sarebbe, in effetti, pretenzioso aspettare che Putin possa costituirsi viaggiando in uno dei 123 paesi firmatari del Trattato di Roma; in via teorica gode dell’immunità garantita agli alti funzionari in carica (Slobodan Milosevic fu messo sotto custodia solo dopo la fine della sua presidenza). La Russia è tra i paesi che non hanno ratificato la dottrina della Corte penale internazionale, perciò le decisioni della ICC non hanno giurisdizione per il paese, rendendo di fatto impercorribile un processo in contumacia, così come non è stata ratificata da Stati Uniti, Cina e dalla stessa Ucraina, la quale aveva però richiesto di applicare la giurisdizione della Corte dell’Aja prima dell’invasione del 24 febbraio 2022.

Si tratta in ogni caso di un segnale storico, alla vigilia dell’incontro tra il presidente russo e Xi Jinping a Mosca. Il round di colloqui, che inizierà oggi e proseguirà fino a mercoledì, risentirà inevitabilmente della decisione. La delegazione cinese, sempre più tentata nello svolgere un ruolo di mediazione, incontrerà un leader di fatto riconosciuto come potenziale criminale di guerra da ben 123 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite.

Di sicuro un effetto concreto del mandato di arresto internazionale è la restrizione alla libertà di movimento di Putin, che in Europa non potrà recarsi nemmeno in paesi a lui meno ostili come Ungheria e Serbia. L’unica meta percorribile rimane quella della Bielorussia di Lukashenko. A livello globale, la sentenza della Corte è applicata anche a quegli Stati che, pur condannando l’aggressione russa a livello formale nelle varie risoluzioni dell’ONU, non avevano disposto sanzioni contro la Russia né si erano espressi duramente verso Putin. Tra essi ci sono Brasile, Argentina e gran parte del continente africano – persino il Mali, in cui vige una dittatura amica di Mosca e sostenuta dai mercenari di Wagner, non potrà ospitare una visita di Stato del presidente russo.

La decisione della Corte internazionale traccia una linea di demarcazione per la Russia del futuro. L’isolamento internazionale e la riduzione del paese a “Stato canaglia” sono irreversibili prima di un eventuale cambio di regime. Nella decisione della ICC traspare, oltre alla condanna formale per i crimini, un sottotesto politico: separare i destini di Putin e Russia. Secondo il Cremlino, la volontà di rimuovere il presidente sarebbe parte di un’agenda occidentale, in cui però la propaganda tenta di invertirne i fattori: è l’ennesimo attacco alla Russia che esisterà finché Putin rimarrà in piedi.

Pure se avvenisse un regime change, la cui probabilità è ad oggi risibile, la Russia tornerà a essere un interlocutore per la comunità internazionale nel grado in cui il nuovo potere si dissocerà da Putin e dalla sua cerchia. Finché, cioè, non collaborerà alla cattura delle alte cariche incriminate a livello internazionale, che col tempo aumenteranno. Reed Brody, il procuratore che contribuì a incriminare per crimini di guerra il dittatore ciadiano Hissène Habré, ha sottolineato come il mandato renda “il mondo di Putin un posto più piccolo”.

Non ultimo, come ricorda Amnesty, la decisione è un passo importante per la certificazione della responsabilità di crimini internazionalmente riconosciuti, a prescindere dalla posizione di potere dell’imputato. La stessa organizzazione internazionale aveva documentato le deportazioni illegali dei bambini ucraini già nel novembre dello scorso anno. Secondo la ICC, invece, rendere pubbliche le accuse può “contribuire alla prevenzione di ulteriori crimini”.

Seppur si possa dibattere ampiamente dall’efficacia formale degli organismi legali che ambiscono ad avere una giurisdizione universale, il lavoro della Corte penale internazionale e delle varie inchieste indipendenti stanno fornendo a cascata le prove dei crimini di guerra commessi dai russi, collegandoli a persone fisiche e facendoli emergere dalla foschia generata dalla guerra. Garantendo, cioè, l’accountability dei responsabili di crimini commessi contro l’umanità. 

Il gruppo di investigatori indipendenti nominati dall’ONU, nel redigere il dossier , si è recato nel paese per otto volte nell’ultimo anno. Ha visitato 56 città, in nove diverse regioni dell’Ucraina, ascoltando a lungo quasi 600 testimoni. Gli esperti hanno ispezionato luoghi di tortura, fosse comuni, crateri di bombe, documenti, fascicoli, testimonianze audiovisive e immagini satellitari.

Il report dell’ONU non si focalizza unicamente sui crimini di guerra russi, eppure il quadro che emerge è di un “piccolo numero” di apparenti violazioni delle convenzioni di Ginevra commessi dalle Forze armate ucraine rispetto alle abbondanti prove del “disinteresse [dell’esercito russo] per i danni e le sofferenze dei civili”, le cui violenze – tra cui stupri, torture, evirazioni – sono qualificate dal dossier come parte di un sistema preordinato durante l’occupazione delle città ucraine, in cui i civili interrogati venivano torturati, puniti ed umiliati in quanto individui e parte di un gruppo.

Il presidente della commissione indipendente dell’ONU è il norvegese Erik Møse, che nel 1994 fu presidente del tribunale internazionale creato ad hoc a seguito del genocidio e massacro dei Tutsi in Ruanda. Rispondendo in merito al carattere sistematico oppure episodico dei crimini commessi dalle truppe di Mosca, Møse ha apertamente parlato di “ipotesi di genocidio”.

Sia le prove raccolte dalla ICC sulle deportazioni illegali (come i raccapriccianti campi di rieducazione per almeno 6,000 bambini) che i numerosi crimini di guerra russi accertati dalle investigazioni erano ampiamente noti all’opinione pubblica, tramite inchieste giornalistiche e documenti di organizzazioni non governative, su alcuni aspetti addirittura intelligibili dalla stessa propaganda di Stato russa.

Tuttavia, i risultati delle inchieste arrivano per la prima volta sotto l’egida della comunità internazionale: la Corte dell’Aja è il principale organismo di competenza per i crimini che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, mentre gli esperti dell’ONU hanno lavorato sotto un mandato creato lo scorso anno dal Consiglio dei diritti umani, che riunisce i governi di 47 paesi membri delle Nazioni Unite.

I risultati delle indagini arrivano proprio una settimana dopo un’esclusiva del New York Times per cui, nonostante l'amministrazione Biden e le agenzie di intelligence abbiano sostenuto la consegna alla Corte penale internazionale delle prove raccolte dagli Stati Uniti sui crimini russi, i funzionari del Pentagono avrebbero finora cercato di fermare tali sforzi.

Per i funzionari del Pentagono, infatti, ci sarebbe stato il timore di creare un precedente impugnabile contro gli stessi Stati Uniti per perseguire crimini passati o futuri commessi dalle truppe americane.Non è ancora chiaro come la controversia interna a Washington si sia risolta, e se le (eventuali) prove fornite dagli statunitensi siano state decisive per il lavoro della ICC, poiché i tempi sono stati serrati.

Nonostante la via per la giustizia sia ancora più tortuosa per quanto riguarda i crimini commessi durante una guerra, per il procuratore e avvocato dei diritti umani Reed Brody, gli ultimi sviluppi costituiscono in ogni caso un momento decisivo per la giustizia internazionale, “un momento Norimberga”. La Russia era riuscita a sfuggire procedimenti giudiziari significativi durante le sue campagne in Cecenia, Georgia e Siria. 

La persecuzione dei crimini di guerra in Ucraina pone molte novità rispetto a diverse guerre del passato. Solo alcuni decenni fa, in Bosnia o in Ruanda, molti procedimenti per crimini di guerra potevano basarsi su una singola foto oppure su testimoni difficili da raggiungere, mentre oggi è aumentata la disponibilità di materiali e mezzi di supporto alle investigazioni. Lo scorso febbraio i procuratori ucraini avevano registrato già oltre 60,000 crimini russi sui quali erano aperte le indagini.

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Pure il contesto della guerra influisce sulla quantità di prove emerse. Alcuni conflitti sono caratterizzati dall’assenza o quasi di qualsiasi assetto istituzionale che possa garantire indagini accurate, come in Congo, oppure presentare un sistema giudiziario completamente inefficace in un contesto dittatoriale, come in Siria. In Ucraina, invece, i procuratori locali hanno lavorato a stretto giro con gli esperti internazionali, fornendo numerose evidenze che vengono via via confermate da organismi indipendenti, anch’essi spesso con limiti infrastrutturali e di risorse – dunque strettamente dipendenti dal contesto in cui operano.Nonostante sembri ancora lontano il giorno in cui un processo fisico possa avvenire in un tribunale internazionale, mentre l’Ucraina e almeno 33 stati valutano la fattibilità dell’istituzione di un tribunale ad hoc in seguito alla risoluzione del Parlamento europeo, le indagini e prove emerse negli ultimi giorni compiono un primo passo nel fornire giustizia ad alcune vittime di questa guerra.

L’apertura dei procedimenti giudiziari per ora è solo una macchia, indelebile (non esiste termine di prescrizione per i crimini internazionali), sulle fedine di militari e politici russi, e serve soprattutto a definire che tipo di guerra si stia combattendo in Ucraina. Parlare di “orrori della guerra” in modo astratto e relativo, in una visione secondo cui i crimini sarebbero commessi da ambo le parti e tenderebbero ad annullarsi in gravità in un gioco a somma zero, è quanto di più distante rispetto a ciò che sta emergendo in Ucraina.

William John Gauthier from Denmark, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

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