Nel crepuscolo della storia: gli anni di Putin a Dresda
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«Cuore ardente, mente fredda e mani pulite», recitava il famoso motto di Felix Dzeržinskij, l’ascetico sterminatore, fondatore della Čeka, la sanguinaria polizia segreta bolscevica, antenata del meglio noto Kgb e della Stasi tedesco-orientale. «Un buon comunista è un anche buon čekista», rispose lapidario Lenin a chi dei suoi, inorridito dalla ferocia, gli rammentava che i guardiani della rivoluzione non erano esattamente dei gentiluomini, ma un’«organizzazione costellata di elementi criminali, sadici, degenerati». Attorno alla figura di Dzeržinskij si sviluppò un culto professato nel mondo dei servizi segreti comunisti fino alla rimozione della sua statua davanti alla Lubjanka nell’agosto 1991. In Unione Sovietica come nei regimi del cosiddetto socialismo reale installati dal Cremlino nell’Europa orientale, il čekismo diventò una sorta di sottoprodotto dell’ideologia marxista-leninista, che serviva a legittimare il potere repressivo degli apparati di sicurezza.
Più che una dottrina, il čekismo era per la verità un modo di essere e di pensare nella dimensione di guerra civile di classe ideologicamente invocata, un corredo di “valori” e precetti che dovevano essere propri di una speciale categoria di compagni, incaricati di proteggere la dittatura del partito da ogni insidia, soldati ideologici dotati di consapevole disciplina, passione, ardimento, lealtà, spirito di sacrificio e devozione alla causa, mossi dal più profondo e inflessibile sentimento di odio quale prerogativa essenziale nella lotta contro il nemico di classe. Nella Germania orientale, il capo della Stasi Erich Mielke impose il canone del čekista anti-intellettuale e sempre vigile, provvisto del “sesto senso proletario”, che gli consentiva di riconoscere e scovare il nemico in ogni circostanza.
La spada e lo scudo: il fascino discreto del čekismo
Si può dire che il čekismo esprimesse le componenti peggiori della “cultura” del comunismo sovietico: la legittimazione del ricorso a ogni mezzo e violenza potesse risultare utile al trionfo del socialismo, in spregio a qualsiasi morale (borghese), la manipolazione della verità nell’interesse del raggiungimento di un bene superiore, l’intolleranza verso ogni forma di pluralismo e autonomia sociale. Eppure, il “mestiere” del čekista esercitava un certo fascino, considerato il fatto che gli ipertrofici apparati di sicurezza dei paesi comunisti non ebbero mai difficoltà a rimediare personale. A interessare i giovani aiutavano, oltre alla mirata propaganda nelle scuole, i libri di spionaggio e film patriottici come Ščit i meč (“La spada e lo scudo”), una miniserie per il grande schermo prodotta nel 1968 e diretta da uno dei più popolari cineasti sovietici, Vladimir Basov. Il film raccontava la storia dell’agente Alexander Belov, che nel 1940 veniva mandato nella Germania nazista per carpire informazioni su di un possibile attacco tedesco all’Urss. Grazie alle sue capacità mimetiche e di fine manipolazione, ai nervi d’acciaio e alla perfetta padronanza della lingua tedesca, Belov riusciva ad infiltrarsi e a fare carriera nel servizio segreto delle SS, procurandosi così l’accesso a informazioni sensibili di vitale importanza per sconfiggere il nazismo.
La spada e lo scudo, pellicola che rese famoso Stanislav Ljubshin con l’interpretazione del protagonista, riscosse un notevole successo, entusiasmando soprattutto il pubblico più giovane. Fra questi pare vi fosse anche un ragazzino poco più che adolescente, figlio di una coppia di operai di Leningrado che abitava in un’umile kommunalka. Piccolo di statura e piuttosto gracile di corporatura, la sua passione erano la box e il judo. Nel 1968, dopo aver visto le quattro puntate del film di Basov, se ne aggiunse un’altra, quella per le cloak-and-dagger operations, come dicono gli inglesi, le operazioni coperte e lo spionaggio. Voleva arruolarsi subito bel Kgb, racconterà in seguito, gli dissero di tornare più avanti. Prima era meglio che studiasse, magari giurisprudenza. Così fece.
La famiglia Putin in riva all’Elba
Quando giunse a Dresda, nell’agosto 1985, Putin era un capitano del Kgb di 33 anni in forza al Primo Direttorato, struttura preposta alla ricerca informativa all’estero, in altre parole: spionaggio internazionale. Era stato arruolato dieci anni prima, appena terminati con successo gli studi di diritto internazionale alla Facoltà di Legge dell’Università statale di Leningrado. Aveva fatto la scuola di addestramento e ora era alla sua prima missione all’estero. Da meno di due anni era sposato con la hostess dell'Aeroflot Ljudmila Škrebneva, dalla quale aveva avuto una prima figlia, Masha, ed erano in attesa della seconda, Katja. A Dresda prese servizio nella piccola residentura del Kgb in Angelikastraße 4, un nucleo di appena 8 funzionari, assai più piccola della residentura di Berlino-Karlshorst, che era la più grande a ovest dell'Urss, dove vi lavoravano più di 1000 funzionari.
L’ufficio lavorava in stretto collegamento con i compagni tedeschi dell'amministrazione distrettuale della Stasi nella vicinissima Bautzener Straße. Nel capoluogo della Sassonia, Putin ci rimase cinque anni, fino a che non lo richiamarono a Leningrado nel febbraio del 1990 col grado di tenente colonnello. L’agiografia russa riporta che la famiglia Putin trascorse in riva all’Elba i suoi anni più felici. La mattina Wolodja portava le bambine al nido prima di recarsi a lavoro, a pranzo rientrava a mangiare con la moglie nel loro modesto appartamento, due camere e cucina, al civico 101 di Radeberger Straße. Nei finesettimana gite fuori porta con una Lada verde, picnic in campagna o escursioni sui monti della vicina Svizzera sassone.
La realtà dev’essere stata un poco diversa, innanzitutto per il lavoro che impegnava Putin, e in secondo luogo Ljudmila si confidava con un’amica, una collega del marito, Lena S., cittadina della DDR di origini baltiche che parlava perfettamente il russo e faceva l'interprete alla residentura del Kgb. Con lei Ljudmula sfogava la frustrazione per i frequenti tradimenti di Wolodja e le furibonde litigate che sfociavano, pare, anche in episodi di violenza domestica. Lena la consolava, e poi segnalava tutto a Pullach, in Baviera, dove aveva sede il quartier generale del Bundesnachrichtendienst (Bnd). Perché Lena S. era una spia di Bonn. Traducendo per Putin, che il tedesco ancora non lo padroneggiava, e il suo superiore, il colonnello Lazar Matvejev, durante i frequenti colloqui con i funzionari della Stasi, la donna si trovava in una posizione ideale per carpire informazioni non solo sulla vita privata di un ufficiale del Kgb, ma anche e soprattutto sugli incarichi di Putin, che operava sotto duplice copertura, nella Germania est come responsabile organizzativo della Casa dell'Amicizia tedesco-sovietica di Lipsia, nella Germania occidentale come uomo d’affari in trasferta per conto di grandi imprese di Stato sovietiche.
A cavallo della Cortina di ferro: incarichi e missioni di Putin in Germania
Da documenti della Stasi, testimonianze di ex ufficiali del Kgb e fonti occidentali americane e tedesche emerge almeno una parte delle sue reali e molteplici attività. Putin gestiva una serie di agenti sovietici operativi sul territorio della Repubblica federale nel settore dello spionaggio militare contro strutture Nato e americane. Gli fu affidata nello specifico la costruzione di una rete di osservazione per spiare la base delle Special Forces Usa di Bad Tölz e le installazioni di addestramento di Wildflecken e Munsterlager, con risultati pare non giudicati soddisfacenti. L'acquisizione di fonti, l'individuazione di potenziali nuovi confidenti e agenti era comunque uno dei suoi compiti principali: risulta che ingaggiò ex cittadini della DDR espatriati all'ovest, anche se ostili al socialismo ma simpatizzanti della Perestrojka di Gorbacëv, studenti della Technische Universität provenienti da vari paesi extraeuropei, soprattutto figli di personalità politiche o appartenenti alle classi dirigenti di quei paesi, con la prospettiva di riuscire a piazzarli in posizioni di vertice, partecipò anche a uno speciale programma segreto predisposto da Mielke nel 1986 per assicurare la sopravvivenza finanziaria e operativa di un nucleo di ufficiali della Stasi nell'eventualità di un collasso del regime tedesco-orientale. Putin aiutò a trasferire capitali all'ovest tramite una rete di imprese controllate dal Kgb.
Nel frattempo, promosso a maggiore, reclutò e addestrò tedeschi orientali come agenti specializzati delle trasmissioni da destinare a impieghi operativi straordinari non meglio identificabili. Quest'ultima attività gli attirò le proteste formali del generale Horst Böhm, capo della Stasi a Dresda, come testimonia una nota del 29 marzo inviata al generale Širikov per lamentare la doppia acquisizione da parte dei sovietici di riservisti già confidenti della Stasi. La vera ragione del disappunto dei tedeschi era probabilmente un'altra: gli agenti sarebbero stati addestrati dal Kgb a Dresda come sleepers da attivare nel caso la DDR avesse cessato di esistere o di essere uno Stato socialista. In altre parole, i sovietici si preparavano a una crisi mortale della DDR, scenario evidentemente ritenuto possibile, per ritrovarsi attrezzati con una rete di informatori dalla Germania post-DDR.
Inoltre, Dresda era la sede della Robotron, la grande azienda di Stato produttrice di elettronica, una delle principali dell'intera area Comecon. Come tale, Dresda era anche il centro del mercato nero della tecnologia per aggirare l'embargo tecnologico imposto dai paesi occidentali, la cosiddetta lista CoCom. Appare molto probabile che Putin si sia occupato anche della supervisione e della protezione del contrabbando di componenti high-tech di produzione occidentale destinati a implementare l'industria elettronica sovietica e della DDR.
Fra Dresda e Leningrado al tramonto del mondo sovietico
Di tutto ciò erano informati l’interprete Lena S. e, attraverso di questa, il Bnd e i collegati americani. La talpa nella residentura di Dresda rimase attiva fino al 1989, quando la donna restò incinta di un ufficiale sovietico. A Pullach erano intenzionati a portare avanti la collaborazione confidenziale anche in queste nuove condizioni tanto era preziosa, con la scusa di una gravidanza difficile, che richiedeva un consulto medico specialistico che poteva ottenere solo in Occidente, fu organizzato un incontro coi suoi gestori del Bnd a Berlino ovest, ma Lena chiese di essere ritirata. La doppia vita le pesava, non riusciva più a reggere la pressione. I tedeschi occidentali l'accontentarono e alla prima occasione buona fu trasferita in una località della Germania meridionale, dove poté rifarsi una vita, protetta da una nuova identità.
Putin, intanto, assistette alla fine della DDR, che arrivò davvero. Si racconta che quando fu occupata dai dimostranti la centrale distrettuale della Stasi di Bautzener Straße, la sera del 5 dicembre 1989, qualche migliaio di manifestanti si presentarono anche davanti ai cancelli della villetta del Kgb, pretendendo di entrarvi. Putin, avanzato nel frattempo a vicecapo residentura, sarebbe uscito ad affrontarli, secondo taluni pistola in pugno, intimando di non violare la soglia, perché quello era territorio dell'Urss, e di sciogliere immediatamente l’assembramento. Pochi mesi dopo, lo raggiunse il richiamo a Leningrado. La sua ultima operazione a Dresda, l’organizzazione di una rete di agenti composta da ex funzionari della Stasi, fallì per il tradimento di uno di questi, che si consegnò a Colonia alla centrale del Verfassungsschutz, il servizio di sicurezza interno della Repubblica federale, facendo saltare tutto. A Leningrado, ritrovò una vecchia conoscenza dei tempi dell’università, il professore Anatolj Sobčak, che divenne il suo mentore politico. Nel giugno 1991 Sobčak fu eletto sindaco della città, ribattezzata San Pietroburgo, due mesi dopo, nelle convulse giornate del fallito colpo di Stato contro Gorbacëv, Putin rassegnò le dimissioni dal Kgb dopo quindici anni di servizio. Non finiva così la storia, come diceva Fukuyama, terminava solo la carriera del čekista, e cominciava quella del politico che avrebbe fatto, nei decenni a venire, la storia della Russia.
Immagine in anteprima: Novembre 1987: Putin riceve la spilla d’onore della Società di amicizia tedesco-sovietica alla presenza del generale Horst Böhm, capo della Stasi a Dresda (®BStU).