Putin non è “folle”. Cosa ci dicono i discorsi del presidente russo
7 min letturaDecostruire le narrazioni, analizzare ed evidenziarne gli strumenti e le strutture è un esercizio utile in tempi di pace, ma diventa necessario con le guerre. La retorica e la propaganda lavorano affinché vi sia, se non la mobilitazione totale, un’atmosfera di consenso e al tempo stesso di paura, e cercano la propria legittimazione costruendo immagini e delineando discorsi basati su interpretazioni unilaterali degli eventi storici, rievocando anche pagine tragiche con lo scopo di mettere a tacere ogni possibile voce critica nel fronte interno.
Dall’inizio dell’aggressione militare russa all’Ucraina, si ricorre spesso nel dibattito pubblico in Italia a spiegazioni roboanti, secondo le quali le mosse di Vladimir Putin sarebbero dettate dalla follia, causata, secondo queste versioni, da uno stato di salute precario. Vediamo analisi delle foto del leader russo nei programmi televisivi, da cui si traggono conclusioni diagnostiche che lasciano quantomeno perplessi, gettando nella confusione chi assiste a questi momenti d’infotainment. Provare a capire quali sono i temi, le modalità e i toni dei discorsi e delle apparizioni di Putin invece ci permette di basarci su elementi concreti, e consente di entrare nell’immaginario proposto dal Cremlino, attraverso l’analisi dei refrain e dei rimandi in esso presenti.
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Negli ultimi giorni, il presidente russo è intervenuto pubblicamente in due occasioni, il 16 marzo durante una riunione dedicata all’adozione di misure sociali ed economiche con i rappresentanti delle regioni della Russia, e due giorni dopo, venerdì 18, in occasione della manifestazione organizzata per l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea. Durante la riunione del 16, Putin non si è dedicato solo a illustrare i provvedimenti messi in cantiere per affrontare la grave crisi socioeconomica, ma ha attaccato duramente la “quinta colonna” presente nel paese. In uno stile che ricorda molto le frasi utilizzate nel 1999 contro i terroristi ceceni, il leader è stato esplicito nel chiamare la gente a raccolta contro i “traditori della nazione”, sostenendo come:
Il popolo russo può sempre distinguere i veri patrioti dalla feccia e dai traditori e può semplicemente sputarli fuori, come un moscerino volato per caso nella bocca (…) loro (i paesi occidentali – GS) proveranno a puntare sulla cosiddetta quinta colonna, sui traditori della nazione, su coloro che guadagnano qui, ma vivono lì, e ci vivono non solo geograficamente, ma anche nei loro pensieri, nella loro coscienza di schiavi.
In questo senso, Putin ha aggiunto anche una caratterizzazione sociale della “quinta colonna”, descrivendola come composta da ricchi viziati borghesi, che “non possono fare a meno del foie gras, delle ostriche o delle cosiddette libertà di genere”. Un’associazione che vuole presentare, in una situazione dove vi son problemi nell’acquistare lo zucchero e altri prodotti di prima necessità (tra cui gli assorbenti), chiunque si opponga alla guerra come un privilegiato, le cui fortune provengono sia dallo sfruttamento delle risorse della Russia, sia da laute retribuzioni dall’estero. In questo modo il presidente amalgama lo scontento e le critiche degli oligarchi all’avventura militare in Ucraina alle proteste contro la guerra, provando ad orientare le possibili contraddizioni sociali in chiave nazionalista. Soprattutto, come ha ben sottolineato il politologo Andrey Kolesnikov, frasi di questo tipo sono un segnale chiarissimo per i siloviki (i funzionari dei servizi e delle forze dell’ordine) e per i militanti di estrema destra, che hanno carta bianca nell’intimidazione degli oppositori, come già sta avvenendo in questi giorni. Già prima dell’attacco putiniano ai “traditori della nazione”, sono cominciate ad apparire le prime scritte con tanto di sigla Z sulle porte degli appartamenti di attivisti, giornalisti e gente comune colpevole di essersi espressa contro la guerra, e adesso fenomeni del genere potrebbero aumentare, confermando la contiguità tra settori delle forze dell’ordine e estremismo di destra.
La definizione di “traditori della nazione” non è nuova, nel vocabolario putiniano, ma era stata adoperata in precedenza solo in occasione dell’annessione della Crimea nel discorso del 18 marzo 2014 alla sessione congiunta di Duma e Consiglio della Federazione, anche in quel caso chiamando in causa i paesi occidentali e chi aveva pronosticato futuri problemi socioeconomici per la Russia:
Vorremmo sapere, a cosa si riferiscono: alle azioni di qualche quinta colonna di vari “traditori della nazione” o contano sul poter peggiorare la condizione socioeconomica della Russia e in questo modo provocare lo scontento della gente? Riteniamo irresponsabili tali dichiarazioni, apertamente aggressive e reagiremo ad esse di conseguenza.
La novità consiste nel fare appello al popolo, in un richiamo alla purezza del corpo della nazione tipico dei nazionalismi di fine Ottocento-inizio Novecento, in questo modo liberando forze in grado di poter portare alle estreme conseguenze appelli di questo genere. Non a caso, già figure di un certo peso degli ambienti ultranazionalisti e d’estrema destra hanno ripreso le parole di Putin e incitano i propri seguaci a realizzarle. Il giornale Zavtra, testata storica della galassia estremista in Russia, diretto dal noto scrittore ultranazionalista Aleksandr Prokhanov, ha pubblicato sul proprio blog un post contro l’ex vicepresidente del consiglio Arkady Dvorkovich, che in un’intervista a Mother Jones si era espresso contro la guerra. Il testo di Zavtra, virulentemente antisemita come da tradizione editoriale, invita i siloviki a “terminare il lavoro iniziato”, e indica nel consiglio d’amministrazione e nel comitato dei saggi del fondo Skolkovo, diretto da Dvorkovich, un covo di possibili traditori: tra di essi però vi sono figure, come il sindaco di Mosca Sergei Sobianin e l’ex premier Dmitry Medvedev, non esattamente critiche verso l’operato putiniano, soprattutto nel caso di Medvedev, espressosi a favore dell’abolizione della moratoria sulla pena di morte, come conseguenza dell’esclusione della Russia dal Consiglio d’Europa.
La manifestazione del 18 marzo per l’ottavo anniversario del “ritorno della Crimea” allo stadio Luzhniki di Mosca ha catturato l’attenzione dei media a livello internazionale per la presenza di decine di migliaia di persone, forse non le duecentomila proclamate dalle autorità, ma l’assembramento era considerevole. I metodi utilizzati per assicurarsi una partecipazione di questo tipo sono noti da tempo, con l’organizzazione della presenza di delegazioni di impiegati e lavoratori da enti e stabilimenti statali e parastatali, pressioni sugli studenti di alcuni atenei, e, in certi casi, il pagamento di poche centinaia di rubli alle “comparse”. Vi è anche chi partecipa perché crede nella missione storica del putinismo, come nel caso del Movimento di Liberazione Nazionale, il NOD, organizzazione guidata dal deputato di Russia Unita Evgeny Fyodorov, la cui azione consiste nella provocazione diretta alle manifestazioni delle opposizioni.
Il discorso di Putin, apparso fasciato da un costosissimo piumino (prezzo oltre 12.500 euro secondo la boutique del lusso Tsum) del marchio italiano Loro Piana, si è aperto con la citazione del preambolo della Costituzione russa, dove si fa riferimento al carattere multietnico del popolo della Federazione, unito da un comune destino. Si tratta di una scelta che prova a dare una dimensione non esclusivamente “russa” delle scelte del presidente, ma di chiamare a raccolta anche le altre etnie del paese, di cui è un segnale anche il largo impiego delle forze cecene di Ramzan Kadyrov. All’interno del discorso vi è stato spazio anche per il Vangelo, “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv, 15-13), passaggio particolarmente messo in risalto da Putin perché a suo avviso giustificherebbe l’operazione militare iniziata in Ucraina, causata da un altro refrain sempre presente in queste settimane, ovvero il genocidio dei russi da parte del governo ucraino nel Donbass. L’utilizzo a più riprese della definizione di genocidio, adottata dall’armamentario propagandistico delle forze filorusse impiegate nella regione dal 2014, va ricostruito anche come contrapposizione all’utilizzo compiutone per descrivere l’Holodomor (in ucraino "carestia artificiale"), la terribile grande carestia del 1932-33 che colpì l’Ucraina, "voluta" da Stalin: in questo modo, Putin respinge l'idea di un'azione genocidiaria antiucraina compiuta dai vertici sovietici. Il problema riguardo al proclamato sterminio della nazione russa è che se si legge la definizione di genocidio presente nella convenzione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu il 9 dicembre 1948, risulta difficile poterla applicare al conflitto del Donbass e alla situazione ucraina, perché non vi è stata una persecuzione atta ad eliminare fisicamente i cittadini di lingua russa residenti anche nelle regioni sotto il controllo di Kiev, a differenza di quanto avvenuto in altri momenti della storia.
L’argomento del genocidio torna più volte in queste settimane, e non solo negli interventi di Putin: lo si ritrova in numerose dichiarazioni del ministro degli esteri Sergey Lavrov, negli editoriali dell’agenzia governativa di stampa Ria Novosti, nelle posizioni ufficiali di Russia Unita. L’utilizzo di tale termine spinge sulle associazioni emotive e tragiche che hanno, e si vede operare anche l’utilizzo di paragoni quali gli episodi contro alcuni cittadini della Federazione Russa e la cultura russa, manifestatisi in queste settimane, con le persecuzioni antisemite degli anni Trenta e Quaranta, esemplificate dal videoclip del gruppo Leningrad per la canzone “Vkhoda net” (Nessuna entrata), dove due uomini vestono la classica camicia contadina russa, la kosovorotka, su cui è stata apposta una vistosa stella di David.
Putin si è soffermato anche su una strana coincidenza, l’inizio della guerra nel giorno della nascita di Fyodor Ushakov, leggendario ammiraglio della flotta russa, protagonista di numerose battaglie contro le navi ottomane e delle guerre contro la Francia prima rivoluzionaria e poi napoleonica. Ushakov nel 2001 è stato canonizzato dal Patriarcato di Mosca, e il presidente ha citato una frase dell’ammiraglio, su come le tempeste faranno la gloria della Russia.
La narrazione costruita dal Cremlino si basa su una sintesi postmoderna di vari momenti della storia russa, presentati senza soluzione di continuità come adempimento a una missione storica di grande potenza. Un destino manifesto (vi ricorda qualcosa?), nella visione putiniana, profondamente intriso di una dimensione mistico-religiosa dove il suo compimento passa attraverso il riscatto della nazione. L’unità spirituale e statuale va difesa all’interno e all’esterno: la nazione deve essere depurata dalla presenza dei traditori, e deve ergersi tutt’una contro i nemici che ne minacciano l’esistenza. Durante la manifestazione allo stadio Luzhniki la conduttrice Tina Kandelaki, d’origine georgiana, ha arringato il pubblico dicendo che la nazione russa non è un account dei social network, non può essere eliminata con un semplice click. Una semplificazione forse banale, ma che permette di rendere chiari i termini della questione attuale nell’immaginario del sistema creato da Vladimir Putin.