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Chi c’è dietro il Project 2025, il piano per una seconda presidenza Trump che mette in pericolo la democrazia americana

19 Settembre 2024 11 min lettura

Chi c’è dietro il Project 2025, il piano per una seconda presidenza Trump che mette in pericolo la democrazia americana

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Chi conosce il 50enne Kevin Roberts lo descrive come un misto fra un allevatore texano, un trivellatore della Louisiana e un professore universitario. In realtà, è molto più della combinazione di queste tre personalità. Nella capitale gira con stivali da cowboy di marca Lucchese – costo non inferiore ai cinquecento dollari –, e guida un pick-up nero da ranchero che suscita l’orrore dei washingtoniani di sinistra per il suo rumoroso motore a benzina. Sulla targa ha applicato lo slogan della guerra di indipendenza Don’t tread on me (“Non calpestarmi”) e sul paraurti l’adesivo Come and take it (“Vieni a prendertelo”), un simbolo dell’orgoglio texano. “Mi identifico con un terrorista interno”, scherza, visto che entrambi i motti sono considerati dall’FBI l’indizio di una possibile simpatia per le milizie antigovernative dell’estrema destra.

I genitori di Roberts divorziarono quando lui aveva quattro anni. A Lafayette, in Louisiana, erano una famiglia povera e travagliata: il padre era alcolizzato; la madre viveva in una casa popolare; il fratello si era suicidato a 15 anni. Roberts fece tutta la trafila delle scuole pubbliche, ricevendo pasti gratuiti o calmierati grazie alle sovvenzioni del governo e ottenendo poi una borsa di studio per l’università (ha una laurea e un dottorato in Storia). Ora è al vertice della Heritage Foundation, think thank che gestisce un portafoglio di donazioni da 95 milioni di dollari e che si oppone all’espansione dello Stato sociale.

Lo scorso gennaio a Davos, durante l’annuale forum economico che riunisce politici, manager e imprenditori da tutto il mondo, Roberts ha provocato i presenti: “Voi élite siete parte del problema”, perché – ha continuato – mentite alla gente per farla pensare come voi. Roberts odia le élite, anche se ormai ne è un membro a pieno titolo. È il presidente della Heritage dall’ottobre 2021 e, da quando vi è arrivato, vi ha impresso una trasformazione radicale, con un solo obiettivo: “Istituzionalizzare il trumpismo”.

Come è nata la Heritage Foundation

La leggenda vuole che la Heritage Foundation sia nata nel 1971 in una caffetteria nei seminterrati del Campidoglio per iniziativa di due giovani assistenti parlamentari repubblicani, Edwin Feulner e Paul Weyrich. Entrambi affascinati dalla corsa di Barry Goldwater alla Casa Bianca nel 1964, il candidato più a destra nella storia del partito (fino ad allora), erano in cerca di un sistema per mettere all’angolo, allo stesso tempo, i democratici e i repubblicani moderati. Dietro finanziamento di un magnate della birra, fondarono così un istituto di ricerca indipendente per influenzare il dibattito politico: la Heritage.

Il più grande successo della Heritage fu un manuale politico di oltre tremila pagine, Mandate for leadership, redatto per l’amministrazione Reagan dopo la vittoria nelle elezioni del 1980. Non conteneva idee nuove, che la Heritage faticava a elaborare, ma era incredibilmente dettagliato e scritto in un’impeccabile prosa accademica. Reagan lo distribuì alla prima riunione di governo e in seguito la fondazione si vantò del fatto che oltre il 60% delle raccomandazioni del testo fossero state implementate, anche se coincidevano con il programma del presidente. Fu un’abile operazione pubblicitaria, che accreditò la Heritage come voce principale della destra americana.

L’allineamento col trumpismo

Da allora la Heritage ha prodotto molti altri manuali. L’ultimo, Project 2025, è un’agenda chiavi in mano per la prossima amministrazione Trump, con le istruzioni per “riprendere il [...] paese dalla sinistra radicale”. Nel corso delle 922 pagine del manifesto si spiega come realizzarlo nella pratica: l’educazione di genere sarà criminalizzata come pornografia e la “cultura woke” contrastata in ogni ambito, dalla scuola all’esercito; il Dipartimento dell’Educazione sarà chiuso e i genitori avranno più voce in capitolo degli insegnanti; i dipendenti non allineati della burocrazia federali saranno licenziati e sostituiti da fedelissimi; i diritti riproduttivi, tra cui l’aborto, saranno severamente ridotti; l’autonomia del Dipartimento di Giustizia e, quindi, anche dell’FBI sarà eliminata e saranno entrambi sottoposti all’autorità del presidente; l’immigrazione legale sarà limitata e potrà essere espulso anche chi ha già ricevuto protezione; le politiche ambientaliste subiranno tagli drastici.

La Heritage si era già avvicinata a Trump nel 2016. Erano – per citare il New York Times – una “coppia improbabile”. Appena pochi mesi prima Michael Needham della Heritage aveva chiamato Trump un “pagliaccio”, mentre quest’ultimo ricambiò includendo la fondazione nel vecchio establishment da abbattere. Trump aveva però bisogno di integrare uno staff misero, composto dalla figlia, dal genero, da un concorrente del suo reality show e dalla sua guardia del corpo. La Heritage esisteva per quello, per fornire idee e personale: così, almeno 70 suoi dipendenti entrarono nell’amministrazione, tra cui lo stesso Feulner.

Sotto Roberts la Heritage si è, tuttavia, sovrapposta completamente al trumpismo, ridimensionando le storiche campagne di lobbying economico per abbracciare, innanzitutto, le guerre culturali della destra radicale. “Marxismo culturale”, “allarmismo climatico”, “culto stalinista woke”, “élite tecnologiche globaliste” sono alcune delle espressioni preferite da Roberts. La sua radicalizzazione risale alla fine degli anni Settanta, quando in Louisiana il crollo del prezzo del greggio ridusse allo stremo le famiglie dei lavoratori delle piattaforme petrolifere. Roberts si aggrappò alla fede cattolica e, da ragazzo, partecipò ai raduni del candidato repubblicano Pat Buchanan, che denunciava il tradimento delle élite cosmopolite contro la classe media bianca. Buchanan fu bollato come un antisemita e un fascista dai commentatori conservatori dell’epoca. Oggi le sue idee rivivono alla Heritage. “Non esiste un conservatore cosmopolita”, insiste tuttora Roberts, che ha fatto piazza pulita di tutti quelli che, alla fondazione, non concordano con la sua visione. Storicamente, alla Heritage il dissenso non è ammesso.

Roberts, ad esempio, non riconosce Biden come presidente legittimo. Oltre alle teorie del complotto sul voto rubato, dà anche credito alla presenza di uno “Stato Profondo” (Deep State) ostile a Trump nei gangli della burocrazia, la stessa formula usata dal culto cospirazionista di QAnon. Nell’ottica di distruggerlo, la Heritage ha elargito 100mila dollari all’American Accountability Foundation (AAF) per rendere pubblico un elenco di cento dipendenti federali che potrebbero rappresentare una minaccia per una seconda presidenza Trump, in una specie di riedizione della caccia alle streghe maccartista, che Roberts, non a caso, ha riabilitato se non nella forma, almeno nel merito.

La rete di organizzazioni partner

L’AAF è, infatti, una delle circa 110 organizzazioni partner della Heritage nel Project 2025, una costellazione di piccoli think tank e gruppi generosamente finanziati – 55 milioni di dollari, secondo NBC – da una rete di oligarchi. Tra questi il miliardario del petrolio Charles Koch, già sponsor del negazionismo climatico, e il filantropo cattolico Leonard Leo, principale architetto della conquista della Corte Suprema come baluardo dei valori conservatori, in primo luogo contro l’aborto.

Dopo essersi incontrati in passato, Leo e Roberts si sono riavvicinati nel 2023, quando Roberts ha tenuto un discorso al Catholic Information Center (CIC), un’istituzione guidata da un prelato dell’Opus Dei e di cui Leo è consigliere. Roberts ha nominato Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei, come patrono della scuola cattolica da lui avviata nel 2006 a Lafayette, di ritorno dall’insegnamento all’Università del Texas.

Il nazionalismo cristiano è, in effetti, un cardine del Project 2025. Tra i suoi partner c’è, ad esempio, il Center for Renewing America (CFRA), fondato da Russell Vought, il nome più accreditato per diventare prossimo capo dello staff di Trump. Vought, già ospite in una puntata del podcast di Roberts, definisce il nazionalismo cristiano “un impegno per una separazione istituzionale tra Chiesa e Stato, ma non per la separazione del cristianesimo dalla sua influenza sul governo e sulla società”. Crede che i diritti dei cittadini discendano da Dio, non dalle leggi.

Uno dei suoi più stretti collaboratori al CFRA, nonché ex alumno alla Heritage, è William Wolfe, autore di un manifesto per il nazionalismo cristiano in cui sostiene la trasformazione del paese in una sorta di teocrazia, con l’istituzione di una magistratura civile per sanzionare i cittadini che violino le prescrizioni delle Sacre Scritture.

Vought è evangelico, Wolfe è battista, ma la convivenza con il cattolicesimo di Roberts non sembra un problema. Nel Project 2025 acquisiscono compatibilità tutte le correnti del cristianesimo, a patto che sia riconosciuta la supremazia della religione nella società. Un altro partner del manifesto è, ad esempio, il Family Research Council (FRC), influente organizzazione guidata dal battista Tony Perkins, che ha confezionato un manuale per creare comitati politici cristiani, superando le divisioni confessionali. Il collante è un’idea eterodossa, storicamente insussistente, cioè che gli Stati Uniti siano stati fondati come nazione cristiana e che gli stessi padri fondatori fossero devoti credenti piuttosto che seguaci dell'Illuminismo. È su questo presupposto inventato che si regge la grande alleanza del nazionalismo cristiano.

Il luogo dove forse è più evidente questa confluenza sono le conferenze del National Conservatism, un progetto la cui dichiarazione di principi – firmata da molte figure vicine al Project 2025 ma anche da conservatori europei come Francesco Giubilei – esige una vita pubblica radicata nel cristianesimo. Roberts è stato uno dei primi a parlare alla conferenza di quest’anno, tenutasi a Washington tra l’8 e il 10 luglio. Ha elogiato la National Conservatism come “il più importante raduno di conservatori del XXI secolo” e ha annunciato l’arrivo di una “Seconda rivoluzione americana”, un’espressione che aveva menzionato appena una settimana prima nel podcast di Steve Bannon, quando aveva aggiunto che sarebbe stata “senza spargimenti di sangue” se la sinistra lo avesse permesso.

I tech bro: Peter Thiel, Elon Musk e la “Pay pal mafia”

Toni celebrativi non dissimili ha usato, l’ultimo giorno del convegno, il vicepresidente designato da Donald Trump, JD Vance, un vecchio frequentatore del National Conservatism. Lo è fin dall’inizio, dal 2019, quando a inaugurare il raduno era stato Peter Thiel, il miliardario fondatore di PayPal. Thiel è, a tutti gli effetti, uno dei padri di NatCon, insieme a Yoram Hazony, un ex consigliere di Netanyahu che giustifica l’imposizione di un nazionalismo cristiano in America tracciando un parallelismo con l’ideologia della destra ultraortodossa nello Stato di Israele. Thiel è, però, anche il padrino politico di Vance, di cui ha favorito l’ascesa, dapprima assumendolo alla Mithril Capital e poi immettendo liquidità nella corsa al senato nel 2022. Senza Thiel, non ci sarebbe Vance.

A differenza degli altri imprenditori della Silicon Valley, Thiel è un libertario anomalo. Gay, sostenitore di Trump dalla prima ora, odia il “marxismo culturale” dei suoi colleghi della Valley e vorrebbe usare la clava dello Stato per perseguirli, ad esempio per punire Google di una presunta vicinanza alla Cina. Ma soprattutto ha idee estreme: “Non credo più che la libertà e la democrazia siano compatibili. […] L’estensione del diritto di voto alle donne ha trasformato la nozione di ‘democrazia capitalista’ in un ossimoro”, ha confessato nel 2009. Secondo il giornalista di Bloomberg Max Chafkin, che ha scritto una biografia su di lui, Thiel non ha un’ideologia coerente. È stato piuttosto influenzato da un’altra figura, piuttosto oscura, che ha a sua volta plasmato la visione di Vance: Curtis Yarvin.

Yarvin è un programmatore informatico, nella cui start-up Thiel ha investito nel 2013. È tuttavia diventato noto come punto intellettuale di riferimento di un movimento popolare in alcuni circoli dell’industria tech: il neoreazionarismo. Si tratta di un’ideologia tecno-autoritaria, che vede nella tecnologia il mezzo per esercitare controllo politico e sociale. Secondo Yarvin, infatti, la democrazia è un sistema fallimentare e dovrebbe essere sostituita da una monarchia tecnocratica retta da un amministrato delegato. Il manuale che Yarvin ha compilato su come “resettare” il sistema assomiglia in modo inquietante alle raccomandazioni delle organizzazioni del Project 2025: centralizzare il potere, indebolendo la separazione tra i poteri e licenziando in massa i dipendenti federali; aggirare le decisioni dei tribunali, anche ricorrendo all’esercito; chiudere i media e le università vicine alla sinistra. In un documento pubblicato dal Center for Renewing America di Vought, vengono ad esempio vagliate le opportunità legali per invocare una legge emergenziale del 1807, che consentirebbe al presidente di schierare l’esercito in caso di disordini; e in un articolo dell’American Conservative, un blog partner del Project 2025, si caldeggia l’abrogazione del 22° emendamento, che limita i mandati presidenziali, in modo che Trump possa eventualmente vincere nel 2024 e ricandidarsi anche nel 2028, come un sovrano elettivo.

Non è ormai un mistero che, nella Silicon Valley, in particolare fra gli imprenditori delle criptovalute, si siano aperti i rubinetti del denaro per Trump. Elon Musk ha dichiarato di versare 45 milioni di dollari al mese nella sua campagna, soprattutto alla luce dell’ingresso di Vance nel ticket presidenziale.

A coordinare gli sforzi ci sarebbe, ancora una volta, Thiel e la cosiddetta “PayPal Mafia” composta dagli ex fondatori di PayPal, tra cui l’imprenditore David Sacks e lo stesso Musk, che potrebbe essere persino ricompensato con un incarico governativo. In campo ci sarebbero interessi economici di portata clamorosa, visto che, a pagina 694 del Project 2025, si raccomanda addirittura l’abolizione della Federal Reserve e la sostituzione della banca centrale con il free banking, cioè un sistema - che gli Stati Uniti hanno già sperimentato per circa trent’anni a metà dell’Ottocento - in cui sono le banche private a emettere moneta. Questo aprirebbe la strada all’uso delle criptovalute come valuta di riserva del governo.

In retrospettiva, assume così senso la trasformazione dell’ex Twitter, ora X, in un megafono del trumpismo. Fra i finanziatori dell’Opa di Musk a Twitter ci sono infatti Ben Horowitz e Marc Andreessen, venture capitalist già donatori dei comitati elettorali repubblicani, l’imprenditore Joe Lonsdale, socio di Thiel in Palantir e donatore trumpiano, e i miliardari tech Douglas Leone e Shaun Maguire, anche loro sostenitori dell’ex presidente. In pratica, una sovrapposizione riconoscibile fra i due network del denaro.

La rete intricatissima riporta comunque sempre a lui, all’ideologo Roberts. “Ci stiamo tutti rendendo conto che è ora di mettere i carri in cerchio e caricare i fucili. Nelle lotte che ci attendono, queste idee sono un’arma essenziale”, scrive Vance nell’introduzione al libro di Roberts, di prossima uscita.

Il modello autocratico di Viktor Orbán

Le crescenti attenzioni rivolte dalla stampa e dai democratici al Project 2025 hanno, tuttavia, spinto Trump a prenderne le distanze. “Non so nulla del Project 2025. Non ho idea di chi ci sia dietro”, ha affermato. Le idee contenutevi suonano troppo radicali persino per lui. Roberts, però, se l’aspettava: “La cattiva rappresentazione del Project 2025 da parte della sinistra è diventata un peso. Comprendiamo che abbia preso una decisione tattica e politica”. Anche Vought, in una conversazione con dei giornalisti britannici sotto copertura, si è lasciato scappare il segreto di Pulcinella: cioè, che la ritrattazione di Trump non significa nulla, vogliono tutti vincere le elezioni, ci sarebbero anzi dei documenti che il pubblico non conosce e che sarà lo stesso Vought a consegnare a Trump nel periodo di transizione fra l’elezione e l’assunzione della carica.

D’altronde, si stima che l’81% di chi ha lavorato al manuale della Heritage abbia avuto ruoli formali nella prima amministrazione Trump. Nel frattempo, però, il direttore del progetto, Paul Dans, si è dimesso e Roberts ha preso in mano la situazione.

“Non vi dirò tutto quello che sta per succedere”, ha detto Roberts, sibillino. I punti nascosti del Project 2025 lasciano presagire un estremismo ancora più marcato. Sappiamo, però, qual è la loro ispirazione: l’Ungheria di Viktor Orbán. Roberts e Orbán si sono incontrati alla conferenza CPAC di Budapest dello scorso anno e quest’anno il premier ungherese ha fatto visita alla Heritage in un incontro a porte chiuse. “Penso che Orbán abbia preso decisioni intelligenti da cui possiamo imparare negli Stati Uniti”, ha dichiarato lo scorso giugno Vance.

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Insomma, non sappiamo tutto del Project 2025 e non sappiamo tutto quello che hanno in testa i loro autori. Ma sappiamo che è un piano per l’instaurazione dell’autoritarismo e terminare la democrazia liberale.

Immagine in anteprima: frame video Wall Street Journal via YouTube

L'articolo è stato aggiornato il 30 settembre 2024 per correggere alcune imprecisioni sull'Opus Dei.

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